16 colpi di cacchio prima di andare a dormire

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Giornalettismo vi propone in anteprima il primo capitolo del nuovo libro di Vertigoz. Ma perché, Vertigoz ha scritto un libro? Certo che no, solo che ancora una volta era in ritardo con la consegna e ha dovuto ravanare nella cartella documenti alla ricerca di un inedito. E ha così trovato il capitolo primo della sua opera prima, che guarda casa parla proprio di giovani e sessualità. E ha rinunciato a vendere 10 trilioni di copie pur di soddisfare i vostri palati fini. Sei forte papà!



Un libro sulle donne non può che iniziare con un capitolo sulle pippe. Perché le pippe ce le facciamo pensando alle donne e le donne ce la facciamo rimpiangendo le pippe (io almeno faccio così, e mi sento di poter generalizzare). Io personalmente le pippe ho imparato a farmele per merito di Marrachelli, il mio amichetto delle medie con cui facevo loschi scambi di Exogini e ricche merende a base di Frizzy Pazzy. C’erano gli Exogini grigi lucidi che non si trovavano mai per quanto li cercassi ma questa mi rendo conto che è un’altra storia, che avrebbe bisogno di un libro a parte (il mio editore, ne sono convinto, ne sarà entusiasta).

ALLENARSI – Non che prima non mi facessi le pippe ma sostavo per un tempo indefinito in quello che Masters & Johnson ne L’atto sessuale dell’uomo e della donna del 1966 definivano “plateau”. In pratica facevo su e giù, su e giù, poi a un certo punto non lo facevo più, e facevo qualcos’altro. Mi mancava il concetto di orgasmo e lo scoprii mio malgrado. Si era in palestra di judo a cazzeggiare sul tatami e tra un osotogari e l’altro Marrachelli mi fa: «Io ieri mi sono fatte tre pippe. Te quante pippe ti fai?» Capii quell’istante che in me c’era qualcosa che non andava, che ero un pervertito fatto e finito. «Io ieri me ne sono fatte 436». Viene fuori con mio grande scorno che non si deve contare ogni movimento in battere o levare ma che fa numero quando esce questa sostanza maschile chiamata sburra. Tornai a casa con le migliori intenzioni, levai il judoji dalla borsa e appesi la cintura bianca al chiodo prima di potermi sparare il primo maniglione tecnicamente corretto della mia carriera. Marrachelli mi aveva consigliato di darci giù fino a quando “non potevi più andare avanti” (e perché no? chi te lo impediva?), che glie l’aveva detto suo fratello, che bisognava andare via via sempre più veloci, e poi forse a un certo punto, chissà, magari ti spuntavano gli alettoni e prendevi il volo. Ci stavo dando giù come un pazzo, nascondendomi il ciufolo dietro il libro di antologia Testo e Contesto, pensavo a Giorgie che corre felice sui prati e ad Abel e Arthur che entravano nel letto per termoregolarla, a Lady Oscar di cui si vedevano le aristrocatiche minne nella figurina appiccicata nel diario della Bertucci.



CATTIVE COMPAGNIE – Ma fu solo quando pensai a Marta Miceli e alla sua gonnellina a fiori che tecnicamente mi occorse quello che anni dopo avrei imparato a definire “venire”. Provai la sensazione di un cazzottone sull’ipotalamo, e sbam!, prendi la tua migliore pasta al forno, moltiplicala per cento e non ci sei nemmeno vicino. E subito dopo non avevo più voglia di farlo, non potevo più, proprio come diceva Marrachelli, per quanto ovviamente volessi, ma non volevo. Fu allora che pensai per la prima volta di iscrivermi a filosofia, presumo. Il mercoledì successivo eravamo di nuovo sul tatami a provare certe tecniche di strangolamento mortali quando Marrachelli mi fa: «Allora hai sburrato?» «Beh, proprio sburrato no. Ma ho seguito le istruzioni» «Eh, mi sa che non hai ancora sviluppato» «Eh, mi sa di no. Ma che vuol dire sviluppare?» E in tutta risposta le sue mani mi avvinghiarono il colletto e finii con il culo sul tatami. Il maestro decretò l’ippon e ci mandò negli spogliatoi. A quanto pare non avevo sviluppato. Non so precisamente se fosse grave, ma in compenso avevo un sacco di peli sulle palle e due palle enormi come noci. Purtuttavia facevano da accessorio a un blando cazzetto, anche se all’epoca ignoravo di essere cintura bianca anche di pisello. Righello alla mano misurava 11 cm in prima media, 12 cm in seconda, e 13 cm in terza. Facendo due rapidi calcoli a trent’anni avrei fatto fatica a passare dalle porte, ma per fortuna da una certa età in poi, che non vi sto a raccontare, la progressione geometrica iniziò a scemare. Basti dire che oggi come oggi mi cresce solo di un paio di centimetri al lustro. Per quanto mi sforzassi la sburra non usciva. Marta Miceli, la gonnellina e poi periodo refrattario senza qualsivoglia emissione seminale. Me lo strizzavo con solerzia sperando che uscisse qualcosa ma non ero a quanto pare in grado di emettere sburra. A volte mi beccava mia zia con le mani in pasta, a volte mia madre, ma per il resto non succedeva niente. Marrachelli nel mentre mi aveva introdotto allapornografia.

GIOIA – In un’operazione degna del recupero dei Bronzi di Riace eravamo andati a Villa Sabelli a dissotterrare un giornaletto porno che il Marachelli vi aveva deposto nella prima infanzia. Mentre iniziammo a scavare Marrachelli mi raccontò una storia che aveva dell’incredibile e che la mamma di tale Gioia non sarà contenta di leggere nero su bianco. Signora Gioia, mentre lei litigava con suo suocero, la sua bambina di 9 anni era ben lungi dal giocare con le Barbie, qualsiasi cosa ne pensi ora il suo avvocato. Mentre Marrachelli e Gioia giovano insieme avevano trovato un giornaletto porno, un fotoromanzo in bianco e nero (riuscite a immaginare qualcosa di più sordido di un fotoromanzo porno in bianco e nero?). A quell’età è difficile capire chi fa cosa a chi ma si erano messi d’impegno a ricopiare le posizioni che vedevano con tanto di fumetti esplicativi che dicevano cose come “oh, sì” e “sbrodolo”. Con “sbrodolo” ci rimasi secco. La lingua batte dove il dente duole. Fatto sta che Marrachelli, all’età di 9 anni, aveva tecnicamente scopato con Gioia, glie lo avevo messo dentro. «E che cosa senti?» chiesi. «è come un libro» rispose lui serio. Lo guardai con l’aria di uno che ha capito, mentre lui continuava a scavare. Col senno di poi probabilmente Marrachelli intendeva dire che la vulva ha la stessa consistenza delle pagine di un libro, una fine metafora con tanto di segnalibro e bandelle, ma lì per lì capii che scopare era avvincente come leggere un romanzo. Feci le spese di questa incomprensione all’università, diventando un lettore compulsivo di qualunque cosa mi capitasse a tiro. Un Rocco Siffredi dell’Oscar Mondadori. Venne fuori dopo strati di ghiaia un busta del supermercato ripiegata varie volte su se stessa. Col piglio di un eroinomane che scalda un cucchiaino Maracchelli srotolò la busta e tirò fuori Paradise! vietato ai minori di anni 21. Quanti ricordi doveva significare per lui! Quante letture in compagnia di Gioia!



IMPARARE – Ci sedemmo sotto un albero e leggemmo il giornaletto dalla prima all’ultima pagina. Mi era difficile seguire bene la trama perché non capivo sempre esattamente dove il camionista Nick mettesse il suo sesso. C’erano sempre nuove possibilità, che fino ad allora erano rimaste inesplorate. Quando pensavi di aver capito, ecco che usciva fuori un nuovo pertugio. La scena finale comprendeva il protagonista che si faceva succhiare il pisello da due donne contemporaneamente. Non avevo mai pensato che le donne potessero succhiarti il pisello ma ad occhio e croce mi sembrava una grande idea. Tutto stava a convincerle a farlo, ma il protagonista di Paradise non sembrava avere di questi problemi. Ci sapeva chiaramente fare con il suo camion e alle donne sembrava piacere pressoché all’istante. Ogni sosta all’autogrill si trasformava in una “bella chiavata” e c’era sempre qualche cassiera molto scollata che poi finiva per darsi da fare nel retrobottega. Marrachelli si congedò con permesso, si prese il giornaletto, e andò a farsi una sega in disparte, in piedi dietro un albero. Io ero troppo turbato da tutto quello che avevo visto e sentito e declinai l’invito. Da allora io e Marrachelli, uniti dalla ghiaia e dal turpe segreto, diventammo compagni di seghe inseparabili. Andavamo a casa sua dopo la scuola, leggevamo Gin Fizz e guardavamo le puntate registrate di Colpo Grosso. Nonera come Paradise, ma io ero più a mio agio con le tette che con le triple penetrazioni. Erano decisamente più facili da capire. Marrachelli si copriva le sue pudenda con un giornaletto e io mi coprivo le mie con un altro e ci facevano una sega in compagnia, ciascuno col suo viaggio, ciascuno diverso, ciascuno in fondo perso. Poi si eiaculava, o almeno lui eiaculava, e si giocava insieme ai videogiochi. Era una spada Marrachelli ai videogiochi. Infine un giorno fondammo il Club del Porno, un circolo vizioso ed esclusivo che comprendeva anche un certo Pirotti, che però, così si diceva, ce l’aveva corto (non c’erano requisiti minimi di iscrizione). Il Club del Porno comportava tra gli oneri il dover andare a turno a comprare un giornaletto porno. Miravamo a espandere il capitale sociale, erano i magnifici anni ’80, la Milano da bere, e quelle robe lì. C’erano giornalai che te li davano, probabilmente convinti della funzione pedagogica di un bel paio di pere, e giornalai che non te li davano, e ci segnalavamo alla più vicina comunità neocumenale. A me, per inciso, non me li davano mai, quasi che un bambino con l’apparecchio, le scarpe ortopediche e gli occhiali non avesse diritto a una sua sessualità.

IL CLUB – Dati i miei scarsi contributi potevo essere estremesso dal Club del Porno ma per fortuna eravamo solo in tre e alla fin fine non conveniva a nessuno. Me la cavai con una strigliata di capo, ma nessuno contestava il mio impegno. Ero sempre lì con il mio giornaletto a dare di gomito, a dare il mio contributo. Fu proprio in quel periodo, se non erro, che Pirotti forse per compensare le voci sulla sua pochezza virile prese ad andare in giro con una foto di una vulva nel portafogli. La vulva constava di un rettangolino di 3 cm per 3, che metteva nel suo Invicta rosa fucsia nel comparto degli spicci. Quando andavamo a comprare la pizza cominciava a essere un problema e per questo mi ero guadagnato l’imperitura amicizia del Pirotti offrendomi di comprargli qualsiasi cosa sotto le mille lire di cui avesse bisogno. Una vulva estrapolata da un contesto non è un gran bell’oggetto va detto, ma Pirotti la mostrava a tutti, quasi che fosse merito suo che esistesse un oggetto di tal guisa. Sembrava una specie rara di malattia tropicale, ed era molto più difficile da inquadrare della banale convessità di un pisello. Appariva come un organo interno dalle incertezze sembianze, un origami di escrescenze, un florilegio di bargigli. I pratica faceva vomitare, anche se non si poteva dire. Nel frattempo Marachelli faceva progressi, io un po’ meno. Un giorno mi raccontò che si era sborrato sui capelli, un altro sul soffitto. Ci ho creduto fino a 25 anni, come un dogma. Tuttora stento a convincermi che non fosse vero. Poi un giorno Marrachelli si mise con Raffaella Vignoli e il club del porno andò alla deriva. Avevo solo Pirrotti nella mia squadra e neanche lui era granché portato per comprare giornalini porno. Per non parlare di farsi le seghe insieme, non ne voleva sapere. Forse era omosessuale. Non so di preciso cosa facesse Marrachelli con la Vignoli ma erano cose che io mi potevo solo immaginare. Anch’io volevo una fidanzata e avevo un piano per ottenerla. Impararai a memoria Gimme Five di Jovanotti, tratta l’album Jovanotti for President. L’avevo comprato in forma di audiocassetta pirata a tremila lire da un marocchino su una spiaggia calabrese in cui andavo in vacanza con i miei. Se pensate che la scena non sia sufficientemente triste posso anche aggiungere altri dettagli. Volevo fare colpo su Marta Miceli e tradurre le mie fantasie in realtà (fare colpo su Georgie e Lady Oscar era senz’altro fuori dalla mia portata). Sarei sceso al suo pianettorottolo durante l’ora di ricreazione, l’avrei incrociata sulle scale e le avrei cantato: “It’s a new sensation really good vibrations c’mon gimme five body stimulation tell it to everybody wanna be allright dig it as a game, give it like i like when you party to the left when you’re rockin’ to the right when you roll up, when you hold up when you fell dynamite”. O qualcosa che gli assomigliava dal punto di vista fonetico. E lei a quel punto si sarebbe alzata la gonna. Ma non andò esattamente così e se non andò così fu colpa di Daniele Corsetti, un frocetto del cazzo che era solito schernirmi perché avevo la cinta del Campero, una volgare imitazione della sua cinta del Charro, un accessorio paninaro di discutibile utilità. E poi mi scherniva anche perché, beh, perché ero io. Ero talmente buffo che se mi avesse visto una psicologa, di quelle che adesso vanno in televisione a parlare di bullismo, probabilmente mi avrebbe malmenato.

VENDETTA – Si era all’alimentari a fregare un po’ di limoncelli, delle gomme tossiche a forma di limone, che costavano 50 lire e contenevano con ogni probabilità dell’uranio impoverito. Il rubarle non aveva a che fare col risparmio ma con l’incipiente testosterone e tutte quelle cose che fanno i bonobo per capire chi sta sopra e chi sta sotto. Daniele Corsetti era amico di Marta Micelli, il frocetto del cazzo, e quando la fata dei miei sogni umidi entrò nel negozio non riuscii a profferire verbo, figuriamoci Gimme Five (“It’s a new sensation really good vibration. Oh. Lascia perdere”). Mi misi in bocca una quantità spropositata di limoncelli mentre il filantropico Daniele per aiutarmi a vincere l’imbarazzo disse ad Marta Micelli: “Lo sai che a lui gli piaci?”. Non potevo credere che l’avesse veramente detto e forse quello era il momento buono per attaccare la seconda strofa ma riuscii a dire solo “Gimme Five!” sperando in un “Allright” che avrebbe salvato tutto.Marta Miceli mi guardò in faccia, mi guardò le scarpe, e rise. E non con me, giacché io non ridevo. Fregò un limoncello e uscì insieme a Daniele Corsetti. Pagai i limoncelli fino all’ultimo centesimo. A quanto pare in quella cosa dei bonobo io stavo sotto. Ma non tutto volgeva al peggio. Quella stessa primavera accadde l’imponderabile. Mi stavo facendo la solita sega dietro a Testo e contesto pensando a Marrachelli con Raffaella Vignoli quando ad un certo punto venni. E intendo dire proprio venni. Sentii qualcosa uscire, ma non vedevo niente e me lo dovetti strizzare, letteralmente, per poter dire “sbrodolo”. Venne fuori una piccola gocciolina di quello che poteva essere solo sperma, e mi veniva quasi da piangere. Ma avevo perso abbastanza liquidi per quel giorno e lasciai correre. L’ho poi rivista Marta Miceli, molti anni dopo. Era grassa, seduta su un muretto, e aveva l’aspetto di una che aveva abortito più volte da poco. Sono andato a casa e sono venuto di nuovo.