Giornalettismo vi propone in anteprima il primo capitolo del nuovo libro di Vertigoz. Ma perché, Vertigoz ha scritto un libro? Certo che no, solo che ancora una volta era in ritardo con la consegna e ha dovuto ravanare nella cartella documenti alla ricerca di un inedito. E ha così trovato il capitolo primo della sua opera prima, che guarda casa parla proprio di giovani e sessualità. E ha rinunciato a vendere 10 trilioni di copie pur di soddisfare i vostri palati fini. Sei forte papà!
Un libro sulle donne non può che iniziare con un capitolo sulle pippe. Perché le pippe ce le facciamo pensando alle donne e le donne ce la facciamo rimpiangendo le pippe (io almeno faccio così, e mi sento di poter generalizzare). Io personalmente le pippe ho imparato a farmele per merito di Marrachelli, il mio amichetto delle medie con cui facevo loschi scambi di Exogini e ricche merende a base di Frizzy Pazzy. C’erano gli Exogini grigi lucidi che non si trovavano mai per quanto li cercassi ma questa mi rendo conto che è un’altra storia, che avrebbe bisogno di un libro a parte (il mio editore, ne sono convinto, ne sarà entusiasta).
ALLENARSI – Non che prima non mi facessi le pippe ma sostavo per un tempo indefinito in quello che Masters & Johnson ne L’atto sessuale dell’uomo e della donna del 1966 definivano “plateau”. In pratica facevo su e giù, su e giù,
CATTIVE COMPAGNIE – Ma fu solo quando pensai a Marta Miceli e alla sua gonnellina a fiori che tecnicamente mi occorse quello che anni dopo avrei imparato a definire “venire”. Provai la sensazione di un cazzottone sull’ipotalamo, e sbam!, prendi la tua migliore pasta al forno, moltiplicala per cento e non ci sei nemmeno vicino. E subito dopo non avevo più voglia di farlo, non potevo più, proprio come diceva Marrachelli, per quanto ovviamente volessi, ma non volevo. Fu allora che pensai per la prima volta di iscrivermi a filosofia, presumo. Il mercoledì successivo eravamo di nuovo sul tatami a provare certe tecniche di strangolamento mortali quando Marrachelli mi fa: «Allora hai sburrato?» «Beh, proprio sburrato no. Ma ho seguito le istruzioni» «Eh, mi sa che non hai ancora sviluppato» «Eh, mi sa di no. Ma che vuol dire sviluppare?» E in tutta risposta le sue mani mi avvinghiarono il colletto e finii con il culo sul tatami. Il maestro decretò l’ippon e ci mandò negli spogliatoi. A quanto pare non avevo sviluppato. Non so precisamente se fosse grave, ma in compenso avevo un sacco di peli sulle palle e due palle enormi come noci. Purtuttavia facevano da accessorio a un blando cazzetto, anche se all’epoca ignoravo di essere cintura bianca anche di pisello. Righello alla mano misurava 11 cm in prima media, 12 cm in seconda, e 13 cm in terza. Facendo due rapidi calcoli a trent’anni avrei fatto fatica a passare dalle porte, ma per fortuna da una certa età in poi, che non vi sto a raccontare, la progressione geometrica iniziò a scemare. Basti dire che oggi come oggi mi cresce solo di un paio di centimetri al lustro. Per quanto mi sforzassi la sburra non usciva. Marta Miceli, la gonnellina e poi periodo refrattario senza qualsivoglia emissione seminale. Me lo strizzavo con solerzia sperando che uscisse qualcosa ma non ero a quanto pare in grado di emettere sburra. A volte mi beccava mia zia con le mani in pasta, a volte mia madre, ma per il resto non succedeva niente. Marrachelli nel mentre mi aveva introdotto alla
GIOIA – In un’operazione degna del recupero dei Bronzi di Riace eravamo andati a Villa Sabelli a dissotterrare un giornaletto porno che il Marachelli vi aveva deposto nella prima infanzia. Mentre iniziammo a scavare Marrachelli mi raccontò una storia che aveva dell’incredibile e che la mamma di tale Gioia non sarà contenta di leggere nero su bianco. Signora Gioia, mentre lei litigava con suo suocero, la sua bambina di 9 anni era ben lungi dal giocare con le Barbie, qualsiasi cosa ne pensi ora il suo avvocato. Mentre Marrachelli e Gioia giovano insieme avevano trovato un giornaletto porno, un fotoromanzo in bianco e nero (riuscite a immaginare qualcosa di più sordido di un fotoromanzo porno in bianco e nero?). A quell’età è difficile capire chi fa cosa a chi ma si erano messi d’impegno a ricopiare le posizioni che vedevano con tanto di fumetti esplicativi che dicevano cose come “oh, sì” e “sbrodolo”. Con “sbrodolo” ci rimasi secco. La lingua batte dove il dente duole. Fatto sta che Marrachelli, all’età di 9 anni, aveva tecnicamente scopato con Gioia, glie lo avevo messo dentro. «E che cosa senti?» chiesi. «è come un libro» rispose lui serio. Lo guardai con l’aria di uno che ha capito, mentre lui continuava a scavare. Col senno di poi probabilmente Marrachelli intendeva dire che la vulva ha la stessa consistenza delle pagine di un libro, una fine metafora con tanto di segnalibro e bandelle, ma lì per lì capii che scopare era avvincente come leggere un romanzo. Feci le spese di questa incomprensione all’università, diventando un lettore compulsivo di qualunque cosa mi capitasse a tiro. Un Rocco Siffredi dell’Oscar Mondadori. Venne fuori dopo strati di ghiaia un busta del supermercato ripiegata varie volte su se stessa. Col piglio di un eroinomane che scalda un cucchiaino Maracchelli srotolò la busta e tirò fuori Paradise! vietato ai minori di anni 21. Quanti ricordi doveva significare per lui! Quante letture in compagnia di Gioia!
IMPARARE – Ci sedemmo sotto un albero e leggemmo il giornaletto dalla prima all’ultima pagina. Mi era difficile seguire bene la trama perché non capivo sempre esattamente dove il camionista Nick mettesse il suo sesso. C’erano sempre nuove possibilità, che fino ad allora erano rimaste inesplorate. Quando pensavi di aver capito, ecco che usciva fuori un nuovo pertugio. La scena finale comprendeva il protagonista che si faceva succhiare il pisello da due donne contemporaneamente. Non avevo mai pensato che le donne potessero succhiarti il pisello ma ad occhio e croce mi sembrava una grande idea. Tutto stava a convincerle a farlo, ma il protagonista di Paradise non sembrava avere di questi problemi. Ci sapeva chiaramente fare con il suo camion e alle donne sembrava piacere pressoché all’istante. Ogni sosta all’autogrill si trasformava in una “bella chiavata” e c’era sempre qualche cassiera molto scollata che poi finiva per darsi da fare nel retrobottega. Marrachelli si congedò con permesso, si prese il giornaletto, e andò a farsi una sega in disparte, in piedi dietro un albero. Io ero troppo turbato da tutto quello che avevo visto e sentito e declinai l’invito. Da allora io e Marrachelli, uniti dalla ghiaia e dal turpe segreto, diventammo compagni di seghe inseparabili. Andavamo a casa sua dopo la scuola, leggevamo Gin Fizz e guardavamo le puntate registrate di Colpo Grosso. Nonera come Paradise, ma io ero più a mio agio con le tette che con le triple penetrazioni. Erano decisamente più facili da capire. Marrachelli si copriva le sue pudenda con un giornaletto e io mi coprivo le mie con un altro e ci facevano una sega in compagnia, ciascuno col suo viaggio, ciascuno diverso, ciascuno in fondo perso. Poi si eiaculava, o almeno lui eiaculava, e si giocava insieme ai videogiochi. Era una spada Marrachelli ai videogiochi. Infine un giorno fondammo il Club del Porno, un circolo vizioso ed esclusivo che comprendeva anche un certo Pirotti, che però, così si diceva, ce l’aveva corto (non c’erano requisiti minimi di iscrizione). Il Club del Porno comportava tra gli oneri il dover andare a turno a comprare un giornaletto porno. Miravamo a espandere il capitale sociale, erano i magnifici anni ’80, la Milano da bere, e quelle robe lì. C’erano giornalai che te li davano, probabilmente convinti della funzione pedagogica di un bel paio di pere, e giornalai che non te li davano, e ci segnalavamo alla più vicina comunità neocumenale. A me, per inciso, non me li davano mai, quasi che un bambino con l’apparecchio, le scarpe ortopediche e gli occhiali non avesse diritto a una sua sessualità.
IL CLUB – Dati i miei scarsi contributi potevo essere estremesso dal Club del Porno ma per fortuna eravamo solo in tre e alla fin fine non conveniva a nessuno. Me la cavai con una strigliata di capo, ma nessuno contestava il mio impegno. Ero sempre lì con il mio giornaletto a dare di gomito, a dare il mio contributo. Fu proprio in quel periodo, se non erro, che Pirotti forse per compensare le voci sulla sua pochezza virile prese ad andare in giro con una foto di una vulva nel
VENDETTA – Si era all’alimentari a fregare un po’ di limoncelli, delle gomme tossiche a forma di limone, che costavano 50 lire e contenevano con ogni probabilità dell’uranio impoverito. Il rubarle non aveva a che fare col risparmio ma con l’incipiente testosterone e tutte quelle cose che fanno i bonobo per capire chi sta sopra e chi sta sotto. Daniele Corsetti era amico di Marta Micelli, il frocetto del cazzo, e quando la fata dei miei sogni umidi entrò nel