Arsenico nell’acqua, l’allarme a Roma e nel Lazio
02/03/2014 di Redazione

Al Festival dell’acqua a L’Aquila, nell’ottobre scorso, l’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando propose, come soluzione al problema dell’arsenico nelle forniture idriche, di aiutare le famiglie ad acquistare strumenti per la depurazione. Incentivi un po’ come quelli previsti per le ristrutturazioni delle case. Oltre naturalmente a interventi sulle infrastrutture, cioé sugli acquedotti. Nel caso delle zone della periferia nord di Roma, dove il consumo e l’uso personale è stato vietato dal sindaco fino a fine anno, si tratta di adeguare gli acquedotti dell’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio. In attesa che passino sotto la competenza dell’Acea, la municipalizzata romana che eroga anche energia elettrica.
L’ARSENICO NELL’ACQUA NEL LAZIO – Sette gli acquedotti coinvolti nell’ultima emergenza, 500 le utenze interessate: l’ordinanza del sindaco Marino, datata 21 febbraio ma pubblicata ieri sul sito del Campidoglio, vieta fino al 31 dicembre di consumare acqua per uso alimentare, igiene personale e ogni altro utilizzo in diverse strade dei Municipi XIV e XV (Primavalle, Labaro e Giustiniana). “Una comunicazione tardiva”, accusa l’opposizione, pronta a gridare alla sottovalutazione del problema. L’eccessiva concentrazione di arsenico nell’acqua potabile puo’ provocare dopo un certo tempo infezioni intestinali e altri disturbi. E’ un problema che riguarda soprattutto il Viterbese. Secondo Legambiente Lazio nella sola citta’ di Viterbo riguarderebbe oltre 82 mila persone. In tutto il Lazio i comuni interessati sono circa 90, mentre in altre regioni (Lombardia, Toscana e Trentino-Alto Adige) la questione interessa solo alcune aree limitate. Complessivamente le persone coinvolte in Italia sarebbero quasi un milione, secondo il sito di un’azienda specializzata nella depurazione.
GLI ACQUEDOTTI – Gli acquedotti in questione sono quelli di Malborghetto, Camuccini, Piansaccoccia, Monte Oliviero, Santa Maria di Galeria, Brandosa, Casaccia-Santa Brigida, che servono una zona scarsamente urbanizzata nell’estrema periferia nord-ovest del territorio di Roma Capitale, un ‘arco’ all’incirca tra il Comune di Fiumicino e la via Flaminia, oltre il Raccordo Anulare. Si tratta dei vecchi acquedotti rurali dell’Agenzia per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura della Regione Lazio. Un ente che pero’, spiega il commissario straordinario Antonio Rosati “non e’ piu’ attrezzato a gestire acquedotti da anni, e lo sanno tutti”. Una competenza “del dopoguerra” che dovrebbe “essere subito presa in gestione da Acea Ato 2, che ha il know how. Dieci mesi di autobotti non e’ una cosa da Paese civile” ha aggiunto. Che gli acquedotti dovessero passare ad Acea e’ in effetti deciso da anni, e la Regione Lazio aveva gia’ stanziato, nell’ambito di un protocollo con la stessa Acea, 13,5 milioni di euro proprio per la ristrutturazione e l’adeguamento delle reti Arsial.
L’ACEA CHE FA? – Secondo Rosati, Acea sarebbe in grado in “venti giorni- un mese di abbassare chimicamente i livelli di arsenico. Poi, tra amministratori, vedremo il Piano di investimento. Anche se le zone sono molto estese ma poco popolose, Acea fa gia’ grandi profitti dalla gestione idrica”. Si dovrebbe cominciare a discuterne tra domani e dopodomani, nel corso di un vertice con Rosati, l’assessore regionale all’Ambiente Fabio Refrigeri, il presidente di Acea Ato 2 Sandro Cecili e rappresentanti del Campidoglio (forse l’assessore alle Periferie Paolo Masini). E in quella sede molto probabilmente si chiedera’ conto ad Acea dell’uso del denaro regionale, come ha sottolineato il vicepresidente del Consiglio regionale Massimiliano Valeriani (Pd).
COME NASCE IL PROBLEMA DELL’ARSENICO – Il problema nasce dall’adeguamento ai limiti di concentrazione dell’arsenico nell’acqua previsti dall’Unione europea (10 microgrammi per litro). Norme recepite anche in Italia, ma in alcune zone con una serie di deroghe prorogate per anni in attesa di adeguare gli impianti. Le amministrazioni locali si sono impegnate a realizzare i cosiddetti ‘potabilizzatori’ per depurare l’acqua, ma i tempi risultano lunghi. E nel frattempo i sindaci dei Comuni interessati – a rischio di multe – hanno dovuto promulgare ordinanze per vietare l’uso e il consumo dell’acqua quando i livelli di arsenico salivano troppo. Con conseguente impiego di autobotti per rifornire la popolazione, come a Roma. Una situazione che in certe zone dura da anni e che ogni tanto torna alla luce.
COSA SUCCEDE ADESSO – Mentre l’Arsial fa muovere le prime autobotti per il rifornimento idrico, il vice presidente del Consiglio regionale del Lazio, Massimiliano Valeriani, parla senza mezzi termini di “questione molto grave che richiede la massima trasparenza anche nella gestione delle responsabilita’, considerando che riguarda circa 500 famiglie che sulla propria bolletta hanno da tempo ben evidenziato la dicitura ‘acqua non potabile'”. Il divieto sara’ pure “a titolo precauzionale”, e applicato in larga parte a utenti che gia’ si servivano di pozzi ma Luca Gramazio, Giovanni Quarzo e Vincenzo Leli (Forza Italia) rinfacciano all’amministrazione di centro-sinistra di avere fatto “ancora un gran bel buco nell’acqua. E, anche se avvelenata, se n’e’ lavata le mani.
L’ACQUA DI MARINO – Una cosa è certa – dicono – l’acqua non porta bene a Marino e compagni, prima con l’alluvione e ora la figuraccia con gli acquedotti pieni di arsenico e il roboante silenzio stampa, senza nemmeno un manifesto ad avvertire la cittadinanza”. C’e anche chi come Fabrizio Santori, consigliere regionale membro della commissione Ambiente, tramite il comitato ‘DifendiAmo Roma’ ha promosso “una class action contro Roma Capitale, la Regione Lazio, Arsial, Acea Ato 2 che nel 2004 avevano sottoscritto un protocollo d’intesa per effettuare degli interventi di sistemazione degli acquedotti, ora inquinati dall’arsenico, denominati Malborghetto, Camuccini, Piansaccoccia, Monte Oliviero, Santa Maria di Galeria, Brandosa, Casaccia-S.Brigida”. E’ stata “messa a rischio”, dice, “la salute pubblica di interi quartieri”, e i cittadini hanno diritto a sapere fino a che punto. (ANSA)