Addio a Cossiga, il presidente dei segreti di Pulcinella

UN PRESIDENTE PAZZO? – Scrive Giovanni Valentini su Repubblica che “di fronte alle continue esternazioni di Cossiga, negli ambienti politici romani cominciano a circolare i dubbi sulla salute mentale del presidente. Ma il primo a porre pubblicamente il problema è il suo vecchio amico Indro Montanelli. “Il punto debole di Cossiga”, scrive il direttore del “Giornale” il 29 ottobre, “è un altro: il suo sistema nervoso, cioè la fucina dei suoi umori. Cossiga appartiene a quella varietà di soggetti che gli psichiatri chiamano, se non sbaglio, ciclotimici, e che alternano fasi di depressione a fasi di euforia”. Soltanto qualche mese più tardi, nel numero del 17 marzo ‘ 91, “L’ Espresso” pubblicherà un intervento per così dire tecnico del professor Paolo Pancheri, direttore della III cattedra di Clinica psichiatrica all’ università La Sapienza di Roma, per spiegare scientificamente in che cosa consiste questa malattia, senza neppure attribuirla tuttavia al presidente della Repubblica. A dicembre dello stesso anno, sarà invece un settimanale familiare come “Oggi” a sostenere apertamente che Cossiga è malato di nervi, in una nota del neurologo Gianluigi Lenzi. Anche la storia del presunto complotto ai danni del Capo dello Stato si protrae a cavallo degli ultimi due anni, con un andamento che alla fine diventa grottesco. Teorico e alfiere di questa scuola di pensiero è il segretario liberale, Renato Altissimo, divenuto poi frequentatore assiduo del Quirinale. Altissimo lancia la sua denuncia il 2 dicembre ‘ 90, davanti al Consiglio nazionale del Pli. La tesi è che un partito trasversale, composto dai comunisti e dalla sinistra democristiana, con la complicità di una lobby editoriale identificata nel gruppo “L’ Espresso-la Repubblica”, tende ad anticipare l’ uscita di Cossiga dal Quirinale: l’ obiettivo sarebbe quello di favorire l’ elezione di un successore gradito a questo fronte, all’ interno del vecchio Parlamento in cui il Pci ha ancora una forza consistente. Nella primavera successiva, il pubblico ministero Pietro Saviotti, incaricato di accertare l’ esistenza del complotto, i suoi autori e le sue modalità, propone l’ archiviazione dell’ inchiesta”.

KO$$IGA BOJA! – Il presidente picconatore si dimette malinconicamente il 28 aprile, dopo averlo annunciato il 25 a Camere appena riunite in quello che passerà alla storia come il parlamento di Tangentopoli. Ma la sua ansia dichiaratoria non finisce lì, anzi. Negli anni la logorrea peggiora, la voglia di tornare ad essere decisivo anche. E così nel 1998 insieme a Clemente Mastella conta in parlamento i suoi straccioni di Valmy che, fuoriusciti dal Polo delle Libertà, daranno vita all’UdR, che sarà determinante per la nascita del governo D’Alema, e Cossiga festeggia regalando al neo presidente del Consiglio, il primo proveniente dall’ex Partito Comunista, un dolce a forma di bambino. Durante un discorso al Senato Marcello Pera ricorda che le sue origini sarde la sua provenienza dalla montuosa Barbagia, dove di solito alloggiavano i rapitori, chiamandolo poi “barbaricino ladro di voti”. Cossiga gli risponde ricordandogli che lui proviene da tutt’altra zona, “contrariamente a chi ha un cognome di cosa, che si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota“. Il senatore-filosofo incassa con eleganza il “figlio di puttana” che il presidente emerito gli ha appena elargito e porta a casa. Vota la fiducia anche al secondo governo Prodi mentre si diverte a scrivere su Libero e sul Riformista con lo pseudonimo di Franco Mauri, e citandosi a bizzeffe in articoli che vanno dall’analisi politica per sfociare nel fanta-thriller internazionale. Si dimette da senatore a vita, ma le dimissioni vengono respinte. E, parlando delle proteste studentesche sulla riforma Gelmini, dice al Resto del Carlino che gli studenti è il caso di “Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri.Nel senso che le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano“.

ADDIO, FRANCESCO – Nel frattempo ottiene anche l’annullamento del matrimonio con Giuseppa, la Peppa first lady del Quirinale con la quale era stato sposato 33 anni, mentre ingaggia una lotta senza quartiene contro l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, individuato come il “colpevole” di tanti complotti ai suoi danni, e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, che non vuole autorizzare la banca del suo amicone Giancarlo Elia Valori. E nel gennaio del 1997 si salva per miracolo in un incidente ferroviario avvenuto su un pendolino Milano-Roma che deraglia alla stazione di Piacenza: al momento del disastro non è seduto al suo posto, nella prima carrozza, quella dove viaggiavano le otto vittime, ma aveva deciso di pranzare in treno e si era appena accomodato nella carrozza ristorante. Ma noi vogliamo ricordarlo con le parole di un altro suo bersaglio preferito, il giornalista Marco Travaglio: “Che il Presidente Emerito Francesco Cossiga fosse un uomo sempre molto lucido, lo si era capito da tempo. Ora sappiamo che è anche molto colto. L’altro giorno, replicando a un mio articolo con un comunicato di 30 righe in cui precisava di non volermi replicare e nemmeno insultare, s’è avventurato in una citazione dotta: “Forse aveva ragione l’ex presidente peruviano Fujimori, che diceva che ‘la storia è proprio finita'”. Per la verità, la “Fine della storia” è un libro di Francis Fukuyama. L’ex presidente peruviano Fujimori è famoso per altre circostanze: dovette fuggire all’estero per evitare un arresto per corruzione. Ma si sa, al cuore non si comanda“.

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