Amarcord: quando il calcio scommesse si chiamava Totonero

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Lo scandalo che sta investendo il nostro calcio ricorda da vicino quello che sconvolse l'opinione pubblica 32 anni fa. E che finì con tante squalifiche

Il campionato italiano sembra preda della psicosi da scommessa. Con l’arresto del difensore dell’Atalanta Andrea Masiello, fino alla scorsa stagione a Bari, si torna a parlare di illeciti, di retrocessioni, di giustizia sportiva, di squalifiche.



DUE MONDI A CONFRONTO – Quello che sta accadendo nelle ultime ore ricorda quanto accadde nel 1980, ovvero quando l’Italia rimase sconvolta dalla scoperta del totonero, il termine giornalistico con cui viene indicata la pratica non autorizzata del gioco delle scommesse in ambito sportivo organizzata dalla Mafia o dalla Camorra. L’Italia calcistica di allora era ben diversa da quella di oggi. I calciatori non portavano a casa grosse somme, l’unica televisione presente era la Rai, le maglie di calcio non erano quel concentrato di tecnologia che sono oggi, l’arbitro aveva ancora la giacchetta nera. L’unico concorso a premi autorizzato per legge era il Totocalcio, nato nel 1946 e per cinquant’anni “mecca” di ogni appassionato calcistico.



LA LEGGE – Come detto l’unico concorso autorizzato dalla legge era il Totocalcio. Qualsiasi altro gioco d’azzardo relativo al mondo del pallone era da considerasi illegale. Come ad esempio il Totonero, un giro di scommesse clandestine, nel quale furono coinvolti direttamente società calcistiche e giocatori disposti ad alterare il regolare andamento di gare e tornei per favorire l’esito di ingenti giocate illegali. Le scommesse sportive in Italia vennero autorizzate grazie al Decreto n°174 del 2 giugno 1998:

Il presente regolamento disciplina l’organizzazione e l’esercizio delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa riservate al CONI sulle competizioni sportive organizzate e svolte sotto il proprio controllo, ivi comprese le competizioni internazionali, i giuochi mondiali, continentali, di area europea ed extraeuropea riguardanti gli sport olimpici.



2. Agli effetti del presente regolamento assume la qualifica di gestore il CONI se direttamente organizza ed esercita l’attività di scommessa. È considerato altresì gestore il concessionario che provvede con propria organizzazione all’esercizio delle scommesse.

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I TESSERATI NON POSSONO SCOMMETTERE – Il gioco è divenuto lecito, ma può essere organizzato e gestito esclusivamente da parte di agenzie munite di concessione dello Stato e di regolare autorizzazione rilasciata dalla questura. Campo libero per tutti quindi? Non proprio. Come confermato dal codice di giustizia sportiva, all’articolo 6, è vietato per tutti i tesserati, i dirigent e i soci dei club professionistici su gare ufficiali in ambito FIFA, UEFA e FIGC, anche presso soggetti autorizzati. La pena minima è una squalifica di almeno 18 mesi. Se oltre a scommettere si compie anche un illecito sportivo, definito nell’art. 7, comma 1°, come il compimento di qualsiasi atto volto: 1) ad alterare il risultato di una gara o di una competizione; 2) a portare un vantaggio in classifica, si paga a prescindere dall’ottenimento dell’esito voluto, come anche ribadito dal comma 6° che prevede un inasprimento delle pene qualora ciò avvenga. È inoltre obbligatorio denunciare l’illecito, compiuto o da compiere.

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L’INIZIO – Quando il primo giugno 2011 venne arrestato Beppe Signori su indicazione della Procura di Cremona, si parlò di un giro di amici che parlavano ad alta voce di scommesse nei campionato di serie B e Lega Pro. Peccato però che grazie al lavoro della Procura di Cremona si arrivò ad avere le prove dell’esistenza di un’organizzazione criminale costituita da calciatori ed ex calciatori professionisti di comprovata esperienza anche a livello nazionale, nonche’ di titolari di agenzie di scommesse, liberi professionisti ed altri individui i quali manipolavano i risultati calcistici. Il 19 dicembre 2011 vennero arrestati Carlo Gervasoni, difensore della Cremonese e gli ex calciatori Luigi Sartor e Cristiano Doni, già squalificato qualche mese prima per tre anni dalla giustizia sportiva per aver “aggiustato” Atalanta – Piacenza, conclusasi 3-0 per i neroazzurri partita che costò agli orobici una penalità di sei punti da scontare nell’attuale campionato. Il 4 febbraio venne bloccato il portiere del Piacenza Mario Cassano. Durante la seconda fase la Procura di Cremona ha rivelato che si è giunti all’arresto dei nuovi indagati in seguito ad una inchiesta transnazionale sul calcio scommesse che parte da Singapore, in particolare grazie alle dichiarazioni di Wilson Raj Perumal, cittadino di Singapore arrestato in Finlandia. L’organizzazione sarebbe stata gestita da Eng See Tan detto “Dan”. L’organizzazione aveva poi delle diramazioni in tutto il mondo e in particolare in Italia tramite il gruppo dei “bolognesi”, riconducibile a Signori, e quello degli “zingari” riconducibile a Gegic e Gervasoni. La forza economica e corruttiva del “Dan” sarebbe stata tale da arrivare a ipotizzare l’acquisto dell’Albinoleffe al fine di truccare le partite, come confermato dal sito Last Bet.

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CHE EVOLUZIONE! – Con il passare del tempo si è scoperto che le squadre di Serie A coinvolte sono: Bari, Lecce, Lazio, Chievo, Novara, Siena, Bologna, Genoa. Il derby pugliese taroccato. Tre nuovi arresti: Andrea Masiello e i suoi amici Gianni Carella e Fabio Giacobbe. Un’accusa: associazione a delinquere finalizzata ala frode sportiva. Queste le partite incriminate nel 2011: Cesena-Bari 1-0, Bari-Lecce 0-2, Bologna-Bari 0-4, con tripletta del primavera Grandolfo. Nel 2010 invece quelle sospette sarebbero Udinese-Bari 3-3 e Bari-Genoa 3-0. Tra gli indagati i calciatori Daniele Portanova, Alessandro Parisi, Simone Bentivoglio, Marco Rossi, Abdelkader Ghezzal, Marco Esposito, Antonio Bellavista e Nicola Belmonte, insieme al factotum dei giocatori del Bari Angelo Iacovelli, a tre ristoratori e agli scommettitori tra cui c’è lo “zingaro” Victor Kondic. Dopo aver negato, Masiello, con una nota inviata al pm sabato scorso, ha ammesso di aver segnato volontariamente un’autorete nel derby col Lecce del 15 maggio 2011: “quando il risultato era sull0 0-1, ho sfruttato un’occasione che mi si è posta per poter cristallizzare definitivamente l’esito della sconfitta per il Bari e ottenere il pagamento promessomi”. Ovvero 300.000 euro che sarebbero stati pagati da un soggetto vicino al Lecce.  Per Cesena-Bari, il difensore dell’Atalanta ha rivelato di aver ricevuto “20mila euro” da Antonio Bellavista, ex capitano del Bari, arrestato nei mesi scorsi nell’ambito dell’inchiesta di Cremona.  Infine dalle indagini emerge il ruolo degli ultras del Bari che, secondo le dichiarazioni ai pm di Marco Rossi e Jean Francois Gillet, avrebbero esercitato pressioni sulla squadra per «perdere contro Cesena e Samp», partite in cui i pugliesi furono sconfitti 1-0 e 0-1. Altro che ragazzata.

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IL PRIMO SCANDALO – Quanto successo in questi ultimi mesi non può non portare alla memoria l’evento chiave, la madre di ogni scandalo scommesse. Domenica 23 marzo 1980. 24esimo turno di campionato Serie A e 27esimo di Serie B. La primavera è arrivata da soli tre giorni. Nessuno poteva aspettarsi che al novantesimo sarebbe avvenuto qualcosa che avrebbe cambiato lo sport italiano. Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri entrarono con le volanti nei terreni di gioco per arrestare quattordici persone. Le manette scattarono per i giocatori Stefano Pellegrini dell’Avellino, Sergio Girardi del Genoa, Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson della Lazio, Claudio Merlo del Lecce, Enrico Albertosi e Giorgio Morini del Milan, assieme al presidente Colombo, Guido Magherini del Palermo, Gianfranco Casarsa, Mauro Della Martira e Luciano Zecchini del Perugia.

LA DENUNCIA – Questi arresti seguirono l’esposto presentato il primo marzo 1980 alla Procura della Repubblica di Roma da Massimo Cruciani, commerciante ortofrutticolo all’ingrosso il quale sosteneva di essere stato truffato da tale Alvaro Trinca. Il Trinca era proprietario di un ristorante che veniva rifornito dal Cruciani, il quale venne messo in contatto dallo stesso Trinca con alcuni giocatori della Lazio che lo avevano indotto a scommettere su alcune partite di Serie A “combinate”. Tuttavia, non tutti i risultati concordati si erano verificati, facendo perdere a Cruciani somme ingenti, nell’ordine di centinaia di milioni di lire.

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CHE PROVE! – L’esposto di Cruciani fu la “pistola fumante” che diede il via al complesso meccanismo d’indagine. La FIGC diede il via a un’indagine nel febbraio 1980 per fare luce su una serie di scommesse compiute a partire dagli anni ’70 da molti atleti o direttamente o attraverso complici, i quali puntavano somme di denaro sui risultati degli incontri ai quali avrebbero partecipato essi stessi. Un evidente conflitto d’interessi, oltre che a essere vietato dalle norme sportive. L’indagine della FIGC però non portò a capo di nulla, mancando le prove evidenti.

Verso la metà del 1979, frequentando il locale ristorante «Le Lampare», di proprietà del Sig. A. T. (Alvaro Trinca, n.d.r.), che rifornivo di frutta possedendo un magazzino all’ingrosso, ebbi modo di conoscere alcuni giocatori di calcio, tra i quali in particolare Giuseppe WILSON, Lionello MANFREDONIA, Bruno GIORDANO, Massimo CACCIATORI. […] I quattro giocatori, in proposito, mi dissero chiaramente che era possibile «truccare» i risultati delle partite, con il che, ovviamente, scommettendo nel sicuro. Mi precisarono, a titolo di esempio, che era scontato il risultato della partita PALERMO-LAZIO (amichevole) verificatasi, mi pare, nel mese di ottobre 1979 attraverso l’intervento dì Guido MAGHERINI, giocatore del PALERMO. Accettai l’idea e decisi di intraprendere una serie di attività di gioco d’accordo […] Iniziò così, per me, una vera e propria odissea che mi ha praticamente ridotto sul lastrico ed esposto ad una serie preoccupante di intimidazioni e minacce […] Successivamente, ad esempio, alla partita PALERMO-LAZIO accennata, presi contatti con il MAGHERINI per combinare il risultato della partita TARANTO-PALERMO prevista per il 9-12-1979. In proposito il MAGHERINI organizzò il pareggio delle due squadre a patto che io giocassi sul risultato, nel suo interesse, 10.000.000 e altri 10.000.000 consegnassi a ROSSI Renzo e QUADRI Giovanni del TARANTO. Contrariamente ai patti, vinse il PALERMO. Il MAGHERINI, a tal punto, avrebbe dovuto rifondermi i 10.000.000 giocati per lui ed i 10.000.000 consegnati ai giocatori del TARANTO, ma si rifiutò. Inoltre in seguito al mancato rispetto degli accordi ho perduto, insieme ad altri scommettitori che meglio preciserò in prosieguo, L. 160.000.000 presso svariati allibratori clandestini…

NESSUN REATO PENALE – A onor del vero c’è da dire che alcuni punti di questa ricostruzione, durante il processo sportivo, non vennero mai provati e alcuni tesserati vennero scagionati dalle accuse. I giocatori coinvolti vennero scarcerati in pochi giorni, e il 23 dicembre 1980 si conclude l’inchiesta della magistratura con un’assoluzione generale, in quanto il fatto non costituiva reato. All’epoca, infatti, la frode sportiva non era reato, lo divenne nel 1989, e non fu riconosciuta la truffa ai danni degli scommettitori clandestini. A livello sportivo invece le conseguenze furono clamorose: Milan e Lazio furono retrocesse in Serie B, Avellino, Perugia, Bologna Palermo e Taranto penalizzate, squalificati da 6 anni a 3 mesi i calciatori coinvolti, tra cui anche Paolo Rossi, che portò poi l’Italia alla conquista del mondiale del 1982.

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IL MISTERIOSO BOLOGNA – JUVENTUS – Le Iene hanno riportato alla ribalta un altro episodio, relativo alla partita Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980, conclusasi con il risultato di 1-1. La “Vecchia Signora” fu tirata in ballo nello scandalo per via di una presunta combine, ma non venne condannata. Secondo il racconto postumo di Carlo Petrini, all’epoca giocatore felsineo, le due società si accordarono per un pari, con tanto di scommesse da parte di molti giocatori rossoblù e del tecnico Marino Perani, avvenute tramite Massimo Cruciani. Dopo circa un’ora di gioco a ritmi parecchio bassi, la Juventus passò in vantaggio grazie ad un errore del portiere rossoblù Zinetti su un tiro dalla distanza. Segnò Causio, ma non esultò. Passarono 10 minuti, e il Bologna pareggiò grazie a un’autorete di Sergio Brio. Per l’assoluzione della società juventina il 26 maggio fu decisiva l’assenza dall’aula del superteste Cruciani, avvenuta due giorni prima, il quale non si presentò a testimoniare contro il Bologna. Sempre a detta di Petrini, fu il presidente bianconero Giampiero Boniperti a convincere Cruciani a non testimoniare, chiedendo allo stesso Petrini di fare da intermediario, per evitare una possibile retrocessione dei bianconeri. La Juve non ha mai smentito questa versione dei fatti.

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LO SCANDALO DEL 1986 – I giocatori avranno imparato? Evidentemente no. Passano solo pochi anni e il 2 maggio 1986 si assiste a “Totonero-bis”. Tutto partì dall’arresto di Armando Carbone, braccio destro del dirigente del Napoli Italo Allodi, che confessò l’esistenza di un giro di scommesse riguardanti alcune partite di calcio nei campionati professionistici, dalla Serie A fino alla Serie C2, dal 1984 al 1986. Dario Maraschin, all’epoca presidente del Lanerossi Vicenza, confessò di aver versato 120 milioni di lire per vincere la partita contro l’Asti e lo spareggio contro il Piacenza nel Campionato di 1984-1985, ma di non aver truccato nessun incontro nel 1985-1986 in Serie B. In realtà vennero raccolte alcune intercettazioni telefoniche che dimostrarono il contrario, soprattutto negli incontri contro Monza e Perugia, il cui Presidente, Spartaco Ghini, ammise che la sua società aveva commesso illeciti sportivi. Peraltro il Perugia fu l’unica squadra a preferire la retrocessione alla penalizzazione.

QUASI IMPUNITI – Vennero deferite alla FIGC per la serie A Bari, Napoli, Udinese. In Serie B vennero coinvolte Bescia, Cagliari, Empoli, Monza, Perugia, Sambenedettese, Triestina, Lanerossi Vicenza, Lazio e Palermo. Le ultime due rientrarono nell’occhio del ciclone sei anni dopo il primo coinvolgimento totonero. In C il coinvolgimento riguardò Cavese, Foggia, Reggiana, Carrarese, Salernitana e Pro Vercelli. L’ultima però era iscritta al campionato di C2. Dopo la sentenza d’appello l’Udinese venne condannata a nove punti di penalità da scontarsi nel campionato 1986-1987. Il Vicenza non venne ammesso in Serie A, il Perugia venne spedito in C2, e vennero assegnati dei punti di penalizzazione a Lazio, Triestina e Cagliari. Un brodino, se paragonato a quanto successe nel 1980 e ancora di più nel 2011. Almeno nel primo caso le scommesse erano vietate.

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