Antieroi antimafia: Boris Giuliano, lo sceriffo
12/09/2010 di Ettore Zanca
Brillante, intuitivo, con il coraggio della paura. Voleva pagare un caffè, pagò tutto.
Questa è una storia che inizia con una imprecisione sul nome. Il Commissario Boris Giuliano, ottimo poliziotto della squadra mobile, diventatone poi anche capo, non si chiamava Boris. Non di primo nome. Per tutti in famiglia era Giorgio. Per i giornalisti Boris era una pennellata nominativa che ben contornava l’intero quadro. Un uomo allegro ma duro, scrupoloso nel suo lavoro con due baffi e un viso da poliziotto americano. Soprannominato non a caso e senza alcuna ironia “lo sceriffo”. Questa è una storia che ricorda vagamente la battaglia delle Termopili. Tra gli anni sessanta e settanta la mafia scatenava tutta la sua potenza di fuoco contro chiunque provasse a contrastarla.
GLI VENIVA FACILE – Era il periodo dei Corleonesi impegnati a fare pulizia dentro e fuori le cosche. A contrastare un esercito invisibile c’erano anche onesti portatori di divise delle forze dell’ordine. Persone che contrariamente a tanti ibridi conoscevano esattamente i confini tra il bene e il male e li difendevano. Boris era uno di questi. Nella gola che separava Palermo dalla sua invasione barbarico-mafiosa c’era anche lui. I giornalisti di cronaca nera che a quei tempi convivevano con gli orari della squadra mobile ricordano con una punta di tenerezza un furgoncino, simbolo della povertà dei mezzi con cui si contrastava il crimine. Era uno dei pochi mezzi civetta usati per il pedinamento. C’era poco materiale ma tanto cervello. Boris era uno dei più brillanti. Il problema, più per la mafia che per lui, era che tutto gli riusciva dannatamente facile.
INTUIZIONE – Sembrava che avesse le stimmate dell’intuizione, ma aveva anche una dote che alla lunga ne ha fatto il nemico numero uno di Cosa Nostra. Non mollava mai. Per questo ancora adesso le vie che conducono al suo omicidio sono plurime, anche se motivate da unica mano. Indagava alacremente sulla scomparsa di De Mauro, giornalista de “l’Ora”, fu il primo a intuire le implicazioni scomode delle piste che seguiva. Una fra tutte quella che chiariva definitivamente la morte di Enrico Mattei, i suoi mandanti e i motivi che portarono al sabotaggio del suo elicottero. Fu tra i primi ad ascoltare il progenitore di tutti i pentiti di mafia, Leonardo Vitale, considerato successivamente pazzo, ma in gradO di snocciolare agli increduli inquirenti un quadro di cosa nostra che Buscetta anni dopo, dovrà solo limitarsi a confermare.
EPISODI – Il meccanismo della sua eliminazione sembra scattare su un episodio, il ritrovamento di una valigia all’aeroporto contenente denaro a pagamento di una partita di droga. È uno degli elementi su cui Giuliano inizia a verificare tutti i rapporti tra mafia e stupefacenti, collaborando con l’FBI allo smantellamento di una porzione importante dell’asse di traffico italo americano. Prima di quel 21 luglio 1979, giorno in cui come dice Daniele Billitteri sul suo libro dedicato al suo amico Commissario Boris Giuliano “voleva pagare solo un caffè al bar Lux e la mafia gli fece pagare tutto”, Boris lascia piccole gocce di episodi allegri. Come quando raccontava che in un paesino i carabinieri stavano indagando su un omicidio e lui stava dando una mano. Il maresciallo incaricato delle indagini aveva in mano un fucile forse usato per il delitto ma sentenziò: “questo fucile non spara da anni!”, Giuliano si accorse che nella stanza insieme all’oro c’era anche il sospetto, fermato e lasciato in disparte.
SCERIFFO SENZA PAURA – Gli chiese solo: “sei stato tu?”, risposta “si!” “e perché non l’hai detto?” , “nessuno me lo aveva chiesto”, “con che hai sparato?” , “con quello”. Stava indicando il fucile in mano al Maresciallo, quello che non sparava da anni. Lascia la sua malinconia nel vedere andare via tra il piombo amici e colleghi, dicendo “è il nostro mestiere, dobbiamo aspettarcelo”. Lascia la sua immagine di uomo coraggioso ma non imprudente. Aveva paura, ma andava avanti anche se come canta Faletti in “signor tenente”: qui diventa sempre più dura quando ci tocca di fare i conti con il coraggio della paura. Quello che più colpisce è che se ne è andato come uno sceriffo a cavallo. Il suo più grande dramma era proprio quello di trovarsi a cavallo tra una mafia rurale e una che metteva le mani su Palermo con tutti i mezzi. Ma questo non può spaventare uno sceriffo.
SCHEDA BIOGRAFICA – Boris Giuliano è stato un investigatore della polizia di stato, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo, dalla fine degli anni sessanta fino al suo omicidio avvenuto il 21 luglio 1979, divenne anche capo della Squadra Mobile dopo la promozione ad altri incarichi di Bruno Contrada, suo ottimo amico e suo superiore. Nei vari procedimenti a suo carico; contrada non volle mai che si facessero illazioni sul rapporto col Commissario Giuliano, è stato uno dei pochi argomenti su cui si è difeso con veemenza maggiore. Chi lo ha conosciuto parla di Boris come di un uomo brillante e allegro e con un intuito investigativo fuori dal comune. Lo stesSo che gli valse anche un tirocinio presso l’accademia FBI di Quantico. Fu ucciso da Leoluca Bagarella all’interno del bar Lux, mentre pagava un caffè. Sul suo omicidio si muovono alcuni moventi. Il primo porta alle sue indagini sulla scomparsa del Giornalista Mauro De Mauro. Si ipotizza che Giuliano o fosse vicino a scoprire l’effettiva sussistenza della tesi dell’attentato a Enrico Mattei, Presidente dell’ENI che osteggiava le compagnie petrolifere americane, tesi appunto battuta da De Mauro, oppure che avesse scoperto che De Mauro era in possesso di informazioni importanti sui legami tra mafia e politica in particolare in merito al Golpe Borghese. La seconda pista porta a una serie di connessioni che Giuliano aveva scoperto tra Leoluca Bagarella e Sindona, mentre cercava di effettuare l’arresto del primo, nonché mentre collaborava insieme agli inquirenti statunitensi allo smantellamento di un traffico di droga. Durante i processi tuttavia ci furono alcune singolari tesi che misero in comune l’omicidio Giuliano con quello del Maresciallo dei carabinieri Basile, avvenuto qualche mese dopo. Secondo alcuni elementi emersi in procedimenti contingenti i due sarebbero stati uccisi per il fastidio che arrecavano alla mafia rurale di Monreale sulla quale si trovavano a indagare. Le orme di Boris sono state seguite dal figlio Alessandro, valente capo della squadra mobile di Milano e autore dell’arresto del serial killer Michele Profeta mentre era in servizio a Padova.