Bari, sentenza choc: strage dei clan per i giudici “non è mafia”

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Per i giudici i delitti di aprile e maggio 2013 nel capoluogo pugliese avevano un movente (solo) passionale

Le stragi dei clan criminali non sempre vengono considerati mafiose. Lo dimostra una sentenza appena emessa su un agguato avvenuto a Bari nell’aprile 2013 e la risposta a quell’assassinio, un triplice omicidio avvenuto il mese successivo, commesso anche con l’utilizzo di un kalashnikov.



 

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MAFIA, STRAGI DEL 2013 A BARI GIUDICATE SOLO PASSIONALI –

Ebbene, i giudici non hanno ritenuto opportuno riconoscere l’agravante mafiosa, perché i delitti sarebbero mossi da «motivi passionali». Lo raccontano oggi Gabriella De Matteis e Giuliano Foschini su Repubblica:

La storia è quella dell’agguato a Giacomo Caracciolese, boss ammazzato il 5 aprile del 2013 alle 10 del mattino nel mezzo di un mercato, da uomini del clan Fiore. E la risposta a quell’assassinio: il triplice omicidio avvenuto il 19 maggio, un mese dopo, dove furono uccisi Vitantonio Fiore, considerato uno dei mandanti dell’omicidio Caracciolese, e altre due persone, Antonio Romito e Claudio Fanelli. Anche questa un’esecuzione da guerra: la domenica mattina, un kalashnikov in mano, con Fiore che muore con il giubbotto antiproiettile crivellato dai colpi. «Uno scenario da guerra» disse l’allora sindaco, Michele Emiliano che chiese la convocazione del comitato nazionale per l’ordine pubblico al ministro degli Interni, Angelino Alfano. Ora quella storia è arrivata a un processo. Alle prime condanne. E, a sorpresa, è sparita la parola «mafia». Il tribunale del Riesame prima, la Cassazione poi, e ora il gup, hanno infatti elevato pesanti condanne (anche un ergastolo, insieme ad alcune assoluzioni) per i responsabili di quell’eccidio ma non hanno ritenuto ci fossero le condizioni per riconoscere l’aggravante mafiosa.



Ma come mai ci sarebbe un movente passionale? Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, tra cui anche la moglie di Fiore. Caracciolese avrebbe mosso della avanches alla sorella di Fiore. Dunque, l’onore da pulire con il sangue non era quello mafioso ma quello familiare. Una decisione che non piace affatto al sindaco di Bari Antonio Decaro che ha chiesto – raccontano ancora De Matteis e Foschini su Repubblica – venisse riconosciuta l’aggravante mafiosa e vorrebbe dai clan il risarcimento per i danni d’immagine subiti dalla città.