Benvenuti nel Paese della Riconciliazione
25/05/2009 di Luigi Prosperi
Il passato spesso si dimentica, spesso si riscrive, a volte si riconcilia. In questo caso, però, ricordare ciò che è successo aiuta
Nel Paese della Riconciliazione si accomunano (nel rispetto e nell’omaggio) i familiari di tutte le vittime di una stagione di odio e violenza. Una stagione tra le tante, la nostra storia ne è piena. Ma nel Paese della Riconciliazione facciamo di più: si ricordano le figure degli innocenti che siano stati due volte vittime, la prima di pesantissimi infondati sospetti; la seconda di un’improvvisa e assurda morte. Non è semplice vivere nel Paese della Riconciliazione, tantomeno esserne Presidenti. Ruolo delicatissimo, che il Nostro Napolitano svolge egregiamente. Con la sua figura che definirei stentorea. Bello, il classico nonnino buono che vuole bene a tutti.
‘A LIVELLA – Dicevamo.In questo Paese riconciliamo tutte le posizioni. E non è esercizio demagogico o ipocrisia. Noi siamo fermamente convinti che i contrasti vadano appianati, dopo 30 40 50 o (ancora meglio) 60 anni. Nel rispetto e nell’omaggio di tutte le vittime. Nel rispetto e nell’omaggio della condizione di vittima, di qualsiasi vittima. Senza giudicarne la vita – o addirittura le scelte. Una volta morti, pari siamo: Totò la chiamava livella. Noi pensiamo che tutti i morti siano uguali, in verità. Non spetta a noi il giudizio sulla loro vita. E una volta morti, dobbiamo rendere loro omaggio. Porgere l’altra guancia, una seconda volta. Riappacificare. Come ci insegna il buon Dio. O chi ci promette in nome suo un posto in prima fila in quella che chiamano vita eterna. Senza più tempo, né storia. Senza più carnefici né vittime: solo figli di Dio. Riappacificati. Fine. (Nel proseguire la lettura ci si assume la responsabilità per eventuali sommovimenti di stomaco milza fegato e quant’altro. L’autore non risponderà della vostra salute.)
STORIA – Il Presidente Napolitano a un certo punto del discorso si è emozionato. Era bellissimo, con quella sua voce rotta. Chi se l’aspetta un Presidente che si commuove? Anche perché come minimo proveranno i discorsi venti volte, prima di leggerli in veste ufficiale. L’ha chiamato Giorno della Memoria. Ha voluto ricordare tutte le vittime dell’odio e la violenza. Si è commosso, parlando di Pinelli e di Piazza Fontana. Perché non deve cadere nell’oblio, il nome di questa vittima innocente. Vittima quanto e forse più dei morti di Piazza Fontana, perché sottoposto al meccanismo spietato della condanna mediatica. Ingiustamente accusato di un crimine orrendo. E poi ucciso. No, morto suicida. No, non è ancora corretto: accidentalmente caduto – da un balcone al quarto piano della Questura di Milano. Nel corso di un interrogatorio che si svolgeva in maniera illegale: perché condotto quando erano già scaduti i termini per la custodia di Pino Pinelli, perché effettuato dopo aver sottoposto a stress fisico ed emotivo l’interrogato, perché centrato su un’accusa falsa che gli inquirenti decisero ciononostante di sostenere e utilizzare – in spregio a ogni regola – facendo credere a Pinelli che il suo compagno anarchico Pietro Valpreda avesse confessato la responsabilità per la strage di Piazza Fontana. Dice che “non si vuole rimettere in discussione un processo“, il Presidente Napolitano. Continua specificando che “non si possono gettare indiscriminati e ingiusti sospetti sull’operato di quanti indagarono e in particolare sull’operato della magistratura“.
LODI, LODI, LODI – Pacatamente riconciliante, Napolitano. Assiste all’abbraccio tra le vedove Calabresi e Pinelli. Mogli di guardie e “ladri“; guardie vere, ladri presunti. Vittime entrambe, le due donne. Su questo non si discute. Riconcilia, questo Paese. Inizia dai repubblichini di Salò, li chiama partigiani, li equipara a quelli veri, e non si sa dove finisce. Ha imboccato la strada giusta, il Paese. Era ora. Basta odi. Ha ragione Napolitano quando dice che non può rimettere in discussione un processo. Non è il suo ruolo, c’è la magistratura per quello. Ha torto Napolitano quando si presenta come deus ex machina della storia recente del Paese: neanche questo è il suo ruolo. Pronuncia parole importanti, parole coraggiose. Tuttavia semplifica la storia (coscientemente) quando include Pinelli tra le vittime di Piazza Fontana. Ha torto Napolitano perché riscrive la storia secondo i meccanismi della politica. La politica non strumentalizzi la storia, mai. La storia si legge sui documenti, è fatta di documenti: il lavoro dello storico è quello di metterli in relazione, ricostruire il meccanismo di causa-effetto, studiare le dinamiche dopo che l’evento si è realizzato. Il contrario della politica, che è lettura del presente e del futuro e loro interpretazione, per forza di cose parziale. E’ lotta tra ideali, conflitto (democratico) tra visioni diverse. Delle quali una deve vincere, a prescindere dalla ragione e dalla logica. Non c’è documento che tenga, in politica. Né condanna da parte di un giudice, e noi italiani lo sappiamo bene. La politica vive di vita propria, di regole che non sempre accettiamo. “Non si processi chi viene eletto dai cittadini “. E giù lodi (Alfano).
IN BICICLETTA – La storia no. E’ crudele la storia. Vive di vincitori e sconfitti, di bene e male. La storia la fanno i vincitori, si dice. E per di più la politica blinda quest’idea, vietando ogni negazionismo, ogni interpretazione diversa da quella ufficiale. Creando vittime di serie A e di serie B. Ma è sempre la politica a storpiare la storia. A usarla. Mai il contrario. E’ questo il motivo per cui almeno stavolta vorrei non fosse la politica a precedere la storia, Presidente Napolitano. Questa storia. Perché di questa storia ancora tanto va detto. Ricordiamola. Poche ore dopo la strage di Piazza Fontana il questore di Milano, dott. Guida, e il giovane Luigi Calabresi, commissario 32enne, orientarono con decisione le indagini sull’attentato verso gli ambienti dell’estrema sinistra. Fu questa decisione a condurre agli anarchici. Fu questa decisione a condurre a Pinelli. Il commissario Calabresi della sezione politica conosceva quegli ambienti, conosceva Pinelli, si era convinto della matrice anarchica della strage. In poche ore. Quel Giuseppe Pinelli che sarebbe arrivato in Questura con la sua bicicletta. Sulle sue gambe. Tranquillo. [Voi fareste arrivare in Questura un presunto attentatore e stragista sulla sua bici?] Quel Giuseppe Pinelli che sarebbe volato giù da una finestra, innocente ammazzato dalla sua innocenza. Dall’incapacità altrui di attribuirgli la strage. [Voi usereste una falsa confessione per mettere alle strette uno che vi segue in Questura con la sua bicicletta, senza farsi tante domande, probabilmente fidandosi di Voi?] Il giorno dopo la morte di Pinelli, il 16 dicembre 1969, viene arrestato il suo compagno Pietro Valpreda. C’è un tassista, Cornelio Rolandi, che lo avrebbe riconosciuto. “L’ho accompagnato fino a Piazza Fontana, aveva una grossa valigia”. Rolandi è credibile, Rolandi è un tesserato del glorioso PCI, figuriamoci se Rolandi non viene creduto. Il PCI gli crede, la sinistra gli crede: gli anarchici sono pericolosi, schegge impazzite, incontrollabili. Senza referenti in Parlamento. Politicamente indifesi e indifendibili. Con Valpreda vengono arrestate altre persone, tra cui Mario Merlino.