Il caso di Roberto Berardi e l’impotenza italiana di fronte alla Guinea Equatoriale

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C'è chi vorrebbe che l'Italia facesse la voce grossa con l'India, ma ci lasciamo prendere in giro anche un dittatore africano che regna con il terrore su appena mezzo milione di sudditi

Mentre anche Human Rights Watch denuncia l’ingiusta detenzione e la tortura di Roberto Berardi, piccolo imprenditore ostaggio del regime di Teodoro Obiang, in Guinea Equatoriale, sembra che la Farnesina non sappia o non voglia fare di più che spendere qualche buona parola.



Il caso di Roberto Berardi è perfettamente riassunto in una lettera scritta dallo stesso ormai un anno fa:

Temendo per la mia vita , scrivo nella speranza che qualcuno possa e voglia aiutarmi ad uscire da una situazione che mi vede protagonista e che mi ha portato, da incolpevole, ad
essere detenuto nelle carceri della Repubblica di Guinea Equatoriale ormai da 4 mesi senza nessun capo d’accusa e senza prove a mio carico..
Mi chiamo Roberto Berardi, ho 48 anni e ho passato metà della mia vita in Africa come imprenditore edile e costruttore strade. Ho vissuto in vari stati africani, e negli ultimi 2 anni in Guinea Equatoriale, dove ho fondato un’impresa, la Eloba Costruccion. Conoscendo le leggi Africane e avendo sempre fatto del mio meglio per rispettarle, anche qui mi sono adeguato alla consuetudine che vuole che ogni imprenditore sia associato con un partner locale, e nel mio caso è stato espresso l’interesse da parte del Sig. Teodoro Nguema Obiang Mangue, vice Presidente nonché figlio del Presidente, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Ovviamente lusingato, abbiamo iniziato la nostra collaborazione. Col tempo mi sono stati affidati diversi appalti, per avviare i quali , nella maggior parte dei casi, ho fatto affidamento sulle mie forze economiche, contando poi di rientrare dei miei esborsi a pagamenti effettuati. Sembrava procedesse tutto bene fino a quando ho riscontrato delle anomalie contabili e movimentazioni sui conti di cui non sapevo nulla. In una discussione con il Sig. Vicepresidente, mio socio al 60%, ho chiesto chiarimenti, ottenendo come unico risultato quello di essere prelevato nella notte dalla mia casa, strappato alla mia famiglia e tradotto in carcere.
Accusato di furto, privato del passaporto, e sottoposto ad ogni genere di controllo, che peraltro non ha prodotto nessun addebito a mio carico e non ha riscontrato nessun comportamento scorretto o appropriazione indebita. Nonostante tutto, anche in assenza di accuse precise, vengo ancora detenuto, mi viene negata la possibilità di rientrare in Italia, e di rivedere i mie figli, ai quali manco da oltre un anno, privato di ogni sostegno economico, isolato dal mondo e privato di ogni contatto con l’esterno, senza poter ricevere cure mediche, e alimentazione insufficiente. La mia famiglia sta tentando in ogni modo di coinvolgere gli organi preposti del Governo Italiano, fino ad ora senza risultati. Governo Italiano, fino ad ora senza risultati. Prego chiunque ne abbia la possibilità di aiutarmi a tornare nel mio paese, raggiungendo il limite. Sono consapevole dei numerosi problemi che attualmente gravano sul nostro paese, ma spero che qualcuno trovi un momento per prendere a cuore il mio caso, tentando un intervento diplomatico con il Presidente Obiang e consentirmi di porre fine a questa ingiusta detenzione,prima che sia troppo tardi.



Porgo i miei ossequi confidando nell’aiuto da parte della mia Nazione.

Grazie.



 


IL REGIME DEGLI OBIANG – Berardi è stato poi processato e condannato a due anni di carcere, che come si scoprirà hanno avuto lo scopo principale nell’impedirgli di testimoniare sul destino della società che aveva costituito il il figlio del dittatore Teodoro Obiang, da tutti conosciuto come Teodorin. Secondo l’ultimo rapporto di HRW il dittatore Obiang ha «dimenticato» le promesse proferite ormai anni fa, quando giurò di smettere con la tortura, le detenzioni arbitrarie, la soppressione della libertà di stampa e d’associazione, la corruzione e in genere di tenere sotto il suo pugno di ferro un piccolo paese sul quale regna con la violenza dal 1978, da quando fece fuori suo zio, dopo un apprendistato nel ruolo di capo della sua famigerata polizia segreta. Obiang è il decano dei dittatori africani e il suo regime è considerato forse il peggiore del continente, ma dagli inizi del secolo la Guine Equatoriale è diventata il Kuwait d’Africa, tanto che in teoria il suo mezzo milione d’abitanti godrebbe di un reddito medio pro-capite superiore a quello dei cittadini di diversi paesi europei.

UNA DITTATURA CORROTTA E SPIETATA – Il condizionale è d’obbligo, perché in realtà gli equato-guineani vivono per lo più nella miseria e sono pochi quelli che hanno beneficiato delle enormi rendite petrolifere e quasi tutti fanno Obiang di cognome. Così Teodorin può esibire diverse ville milionarie tra la Francia e gli Stati Uniti, una collezione di auto da sogno e persino l’ordinazione per lo yacht più costoso di sempre, nonostante con gli stipendi cumulati suoi e del padre non avrebbe potuto permettersi nemmeno l’ormai famosa villa di Malibù. Famosa perché  sequestrata dalle autorità americane che, come quelle francesi, lo hanno messo sotto accusa per il riciclaggio dei proventi da corruzione e gli hanno sequestrato i beni (nel video sopra il sequestro delle sue supercar a Parigi) sui quali sono riusciti a mettere le mani. E qui entra in gioco l’Eloba, la società di Berardi, perché gli investigatori americani hanno scoperto che fu usata ad esempio per comprare memorabilia appartenute a Michael Jackson per un valore superiore al milione di euro. Da qui l’interesse degli americani per Eloba e per Berardi, che una volta venuto a conoscenza della questione ha visto sparire il suo sogno imprenditoriale e si è trasformato in uno scomodo testimone.

LE INUTILI PRESSIONI DI ROMA – Berardi è stato percosso, frustato, gli sono stati negati medicinali, cibo e di recente persino l’acqua. In favore di Berardi ci sono state interrogazioni parlamentari, in Italia e in Europa, le pronunce degli investigatori americani e le testimonianze dei suoi dipendenti, quelli italiani che sono stati sollecitati a fuggire dal paese e che non vi hanno fatto più ritorno, lasciando beni e crediti ormai dati per persi. Scarsa invece la pressione della nostra diplomazia, visto che il nostro rappresentante nel paese non ha avuto accesso diretto a Berardi, che comunica con l’esterno solo per telefono e lettere; ora purtroppo, pare che Berardi abbia visto addirittura il suo regime carcerario farsi ancora più severo.

La bidonville attorno a Bata

UNA VITA IN PERICOLO – La famiglia è comprensibilmente preoccupata anche perchè la posizione del governo italiano sembra essere quella d’attendere la fine della pena, sempre che Berardi ci arrivi, non essendo in salute e nemmeno conservato in un ambiente salubre.

Ora Berardi ha depositato una  denuncia del suo legale  in Guinea Equatoriale l’AVV Ponciano Mbomio Nvo, contro il comandante del carcere penitenziario di Bata, che lo tiene a digiuno a piacimento, una mossa che probabilmente non gli gioverà, come non gli hanno giovato molto le proteste rivolte dalla Farnesina all’ambasciata equato-guineana a Roma e nemmeno l’interesse di alcuni parlamentari, in particolare quello di Luigi Manconi, che è sembrato il più attivo.

UN PAESE IMPOTENTE – Viste le premesse resta evidente che il nostro governo non possa o non voglia fare di più, visto che il regime di Obiang si regge sul filo della benevolenza delle potenze occidentali. Obiang però spende di più in pubbliche relazioni che in servizi sociali e il sistema funziona, visto che nessuno lo disturba e che si mantiene al potere grazie a una guardia mercenaria. Probabilmente non sarebbe necessarie nemmeno le minacce armate, probabilmente Obiang si lascerebbe convincere con molto meno, ma non lo sapremo mai, perché finora da Roma al suo indirizzo sono volate solo proteste ben educate e timide richieste perché Berardi non sia torturato come invece accade.