«Bersani ci ha rovinato»: la rabbia delle minoranze Pd

“Bersani ci ha rovinato”: è amaro il commento degli esponenti delle minoranze del Partito Democratico a margine della direzione del Pd, dove ieri Matteo Renzi ha chiesto e ottenuto il voto all’unanimità dei presenti sulla nuova versione dell’Italicum: le minoranze del partito, infatti, sono uscite dalla sala conferenze di Largo del Nazareno per evitare di (non) esprimere la propria fiducia alla relazione del segretario, accodandosi così alla linea impostata da Giuseppe Civati, primo oppositore del premier. Secondo Nino Bortoloni Meli sul Messaggero, che riporta i malumori della minoranza, è un amaro, piccolo Aventino.

 

minoranze pd bersani renzi civati
LaPresse

«BERSANI CI HA ROVINATO»: LA RABBIA DELLE MINORANZE PD

E la rabbia non si indirizza verso il segretario dem, ma verso il suo predecessore, Pierluigi Bersani, e con lui verso tutti i cosiddetti “padri nobili” della sinistra Dem. Qualcuno commenterebbe, amaro:

A forza di dire e ripetere che queste riforme non vanno bene, che sono l’anticamera dell’autoritarismo, che l’Italicum è una schifezza che non va votata, come componente siamo finiti all’angolo, a difendere posizioni indifendibili, estremistiche e ultra minoritarie, rendendo difficile la stessa mediazione di Speranza

Ci si riferisce a Bersani, ma anche a D’Alema e agli altri grandi nomi della sinistra storica italiana. Il quadro delle minoranze è molto variegato; Gianni Cuperlo ha chiesto al segretario di “ascoltare ulteriormente” le sollecitazioni che provengono dalla minoranza interna per migliorare la legge elettorale; nessuno, a parole, vuole rompere il Partito Democratico. Ma i toni usati dagli esponenti del Pd più radicati nella tradizione dei Democratici di Sinistra vengono visti come un estremismo verbale utile soltanto a chiudere all’angolo i pontieri.

 

LEGGI ANCHE: Direzione Pd, ecco come è andata

 

LE MINORANZE PD VASTO MONDO

Che la minoranza dem sia in una fase importante di confusione si sarebbe visto, scrive il Messaggero, già all’assemblea romana dell’Acquario. Il dato politico più importante di quella riunione sembra essere stato il distacco dal passato, riporta Bortoloni:

E’ là che si è consumato, forse definitivamente, il distacco dei 30-40enni dai padri nobili, dai Bersani e dai D’Alema, dal loro continuo chiamare alla battaglia finale contro Renzi, puntualmente seguita da una ritirata, con i vari Stumpo, Zoggia, e lo stesso Cuperlo a mugugnare e a masticare amaro. In questo contesto, ha avuto buon gioco Civati, che tatticamente è uno sveglio, a proporre e far passare la sua idea di non partecipare al voto finale in direzione. Ma dal dibattito, e dalle dichiarazioni successive, si è capito subito che le minoranze divise erano e divise restano: tra quanti non hanno votato ci sono quelli, la più gran parte guidati dal capogruppo Roberto Speranza, che pur non essendo d’accordo sono però pronti a seguire i deliberati di maggioranza. E ci sono i barricaderi, i Fassina e i D’Attorre, che già promettono il loro voto contrario in aula, come ha scandito lo stesso Fassina al termine della direzione: «Io l’Italicum in aula non lo voto». La stessa posizione sostenuta da Bersani nelle ultime settimane.

Secondo il Messaggero, l’idea di fondo della minoranza sarebbe quella di mandare a sbattere Renzi per poi portare il paese al voto con la legge elettorale disegnata dalla Corte Costituzionale, il cosiddetto Consultellum, ovvero sostanzialmente un proporzionale puro.

Appare fin d’ora improbo, il lavoro che attende Speranza. La non partecipazione al voto in direzione da quelle parti è presentata come «un tentativo di prendere tempo per arrivare a una mediazione», che a questo punto è ristretta a un solo punto: «Diminuire la quota di capilista bloccati», come ha spiegato Mauri al termine. Se non si riuscirà, come è già ampiamente previsto, Speranza lavorerà per portare il gruppo quanto più possibile unito al voto. 

In commissione Affari Costituzionali alla Camera, le minoranze del Pd sono maggioranza; il segretario del Partito, scrive Bortoloni Meli, non vorrebbe certo utilizzare il “metodo Mineo”, riferito al parlamentare Pd Corradino Mineo, civatiano, rimosso dalla Affari Costituzionali del Senato; ma Matteo Renzi, avverte il Messaggero, alla Camera non vuole nemmeno imboscate.

Share this article