Brigate Rosse e Hyperion: una caccia alle streghe che dura da trent’anni

Categorie: Senza categoria

Pietro Calogero scrive un libro per dirci che i terroristi che hanno rapito Moro erano in realtà collegati alla Cia attraverso un centro culturale francese. Nonostante tutte le prove e gli indizi gli diano torto.



Pietro Calogero, chi era costui? Insieme a Michele Sartori e Carlo Fumian oggi firma un libro dal titolo significativo: “Terrore Rosso“, nel quale, tra le altre ‘clamorose rivelazioni’, ne contiene una piuttosto raggelante: ovvero che le sue indagini sul famigerato centro Hyperion di Parigi furono stoppate. Quel luogo, secondo Calogero, era una struttura superprotetta di un servizio di informazione di carattere internazionale, con compiti di supervisione e di controllo su gruppi che praticavano la lotta armata: “verosimilmente” la Cia, come dice ad Articolo 21.

HYPERION, IL MALE ASSOLUTO – Come scrive Panorama, Calogero non è solo in questa battaglia: “A dargli ragione sono altri due magistrati, Priore e il giudice veneziano Carlo Mastelloni, anch’essi impegnati per molti anni in inchieste di terrorismo e che, come Calogero, seguendo gli stessi fili, erano giunti alla stessa conclusione: Parigi e il legame che lì si era saldato fra Autonomia e Br. «I rapporti tra le due organizzazioni erano infiniti» conferma il magistrato romano. «C’erano casi addirittura di doppia militanza. Era dunque l’Hyperion, la famigerata scuola di lingue di Simioni a lungo protetta da un personaggio come l’Abbé Pierre, il «cervello politico» delle Br? Anche Mastelloni sembra non avere dubbi: «Quello che non è emerso sul piano giudiziario è il livello dei mandanti, dei meccanismi superiori che hanno alimentato il fenomeno del terrorismo. Hyperion era una struttura molto “intellettualizzata”, in grado di sfuggire alla capacità di comprensione dei carabinieri, della polizia e dei nostri stessi servizi, che all’epoca non avevano strumenti culturali adeguati».



ANCORA TEOREMI, DOTTOR CALOGERO? – Ma chi è Pietro Calogero? Ebbene, il suo nome – e il suo lavoro – dovrebbero essere studiati nei manuali di giurisprudenza: a lui è legato uno dei più spettacolari casi di ‘caccia alle streghe’ che siano mai riusciti in Italia. Il processo 7 aprile, qui riassunto:

– il teorema giudiziario per antonomasia (il “teorema Calogero”, dal nome del giudice istruttore di Padova che ordinò gli arresti);
– la campagna-stampa colpevolista più unanime e forsennata della storia repubblicana;
– l’uso più disinvolto della carcerazione preventiva e della sostituzione dei capi d’accusa man mano che le imputazioni si dimostravano campate in aria (Toni Negri capo e “telefonista” delle Brigate Rosse etc.);
– un caso addirittura proverbiale in cui le dichiarazioni di un “pentito” (Carlo Fioroni), anche quando andavano contro l’evidenza, pesavano più di tutto il resto (assenza di prove, alibi, testimonianze a discolpa);



Il 7 aprile 1979, agenti della Digos, polizia e carabinieri, effettuano centinaia di perquisizioni in tutta Italia, arrestando, sulla base di 22 ordini di cattura firmati dal sostituto procuratore della Repubblica di Padova Pietro Calogero, 15 esponenti di “Autonomia Operaia”, tra cui Toni Negri e Oreste Scalzone, mentre sfuggono alla retata, tra gli altri, Franco Piperno e Pietro Despali. Sono tutti professori, assistenti e studenti universitari, giornalisti.

LE ACCUSE – Dodici degli imputati sono incriminati “per aver… organizzato e diretto un’associazione denominata ‘Brigate Rosse‘ … al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e mutare violentemente la Costituzione e le forme di governo sia mediante propaganda di azioni armate contro persone e cose, sia mediante la predisposizione e la messa in opera di rapimenti e sequestri di persona, omicidi e ferimenti e danneggiamenti, di attentati contro istituzioni pubbliche e private”. Tutti gli imputati, per avere organizzato e diretto “Potere Operaio” e “Autonomia Operaia” al fine “di sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti dello Stato sia mediante la propaganda e l’incitamento alla pratica cosiddetta dell’illegalità di massa di varie forme di violenza e di lotta armata, espropri e perquisizioni proletarie, incendi e danneggiamenti ai beni pubblici e privati, rapimenti e sequestri di persona, pestaggi e ferimenti, attentati a carceri, caserme, sedi di partito, associazioni e cosiddetti ‘covi di lavoro nero’ sia mediante l’addestramento all’uso delle armi, munizioni, esplosivi, ordigni incendiari e, infine, mediante il ricorso ad atti di illegalità, di violenza e di attacco armato contro taluni degli obbiettivi sopra precisati”. L’inchiesta trova gli applausi, tra gli altri, persino del presidente della Repubblica Sandro Pertini.

LA SENTENZA – Il processo arriva a sentenza arriva qualche anno dopo, nel giugno 1987: “i giudici della Corte d’ Assise e d’Appello prosciolgono totalmente i principali imputati del processo 7 aprile dal reato più grave loro contestato (l’insurrezione, appunto) che prevede la condanna all’ ergastolo. Le motivazioni della sentenza nei confronti degli imputati (nel frattempo diventati 66). Tra i più noti figurano i due latitanti, Toni Negri (condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, ridotti a 12 anni in appello) e Oreste Scalzone, che vede ridotta la condanna da 20 anni a 9 anni. Nella motivazione della sentenza si afferma che Toni Negri e altri tre coimputati (Gianfranco Pancino, Silvana Marelli e Egidio Monferdin) non sono colpevoli del sequestro e dell’ omicidio di Carlo Saronio”. Scriveva Franco Scottoni su Repubblica, che sull’indagine aveva inizialmente posizioni giustizialiste: “In conclusione, il noto teorema Calogero è stato ridimensionato dalla sentenza di appello. In particolare i giudici affermano che non si può prospettare il reato di insurrezione armata per l’ assoluta inidoneità delle azioni, contestate ai gruppi facenti capo a Autonomia operaia organizzata, a provocare eventi insurrezionali, per l’esistenza di linee strategiche non omogenee e di contrasti anche personali all’ interno di questi gruppi“. Ma passiamo ad Hyperion, e alle accuse di Calogero di oggi.

FORZA CON HYPERION Vladimiro Satta, nel suo libro Il caso Moro e i suoi falsi misteri, alle tesi sull’Hyperion radice e motore immobile di ogni complotto non crede. “Esso nacque – scrive – nell’ottobre 1976 con il nome di Agorà (successivamente cambiato in Hyperion per risolvere un problema di omonimia con un’altra organizzazione francese); quindi, circa sei anni più tardi di quando ebbero luce ufficialmente le Brigate Rosse“. I fondatori erano gli italiani Corrado Simioni (indicato come il “grande vecchio” del terrorismo dalla stampa in seguito ad alcune dichiarazioni ambigue di Bettino Craxi, il quale in seguito le ritrattò totalmente), Vanni Mulinaris, Innocente Salvoni, Francesco Troiano e la francese Françoise Tuscher. Simioni era presente alle riunioni del 1969 e del 1970 da cui nacquero le BR, ma nel ’70 aveva lasciato la struttura perché a suo avviso (sic) troppo poco militarizzata e troppo vicina all’area dell’ultrasinistra. Curcio stesso a più riprese scrisse che il gruppetto di Simioni venne isolato dalle Brigate Rosse, e parlò delle intenzioni sue e degli altri di creare una struttura superclandestina alternativa alle BR. Nei confronti di Mulinaris, Satta cita anche una sentenza del 1977 arrivata dal tribunale di Milano, nel quale si esclude la sua partecipazione attiva a bande armate.

AMERIKANI E RAPITORI – Come tutta questa struttura, con gli uomini e le storie qui raccontate, sia assimilabile con una organizzazione al soldo della Cia è un mistero che soltanto Calogero potrebbe spiegarci, con i suoi meravigliosi teoremi. Senza contare che la distanza temporale tra la sua costituzione e l’agguato a Moro rende davvero complesso tentare di pensare a una partecipazione di Hyperion al sequestro e all’omicidio dell’esponente democristiano. In più, dopo lo scherzetto di Silvano Girotto, il Frate Mitra rivelatosi poi un infiltrato, le Br erano diventate molto caute nei contatti con quelli che ritenevano ‘esterni’. E Simioni e gli altri, ce lo dice Curcio in molte occasioni, erano considerati ormai fuori dalla storia delle Brigate Rosse. Di Hyperion si è anche favoleggiato a proposito di due sedi romane, attive durante il periodo del sequestro Moro. In realtà, Hyperion aveva una sede a Roma (in via Nicotera), aperta due giorni dopo l’agguato di via Fani, e una a Milano. Si è puntato il dito, durante indagini e inchieste giornalistiche, su Carlo Fortunato e Luigi Perini, come agenti infiltrati Usa. In realtà entrambi avevano passati ‘di sinistra’, chi extraparlamentare, chi nel PCI stesso.

INCONTRI RAVVICINATI? – Sempre nel libro si ricorda che si è spesso parlato di punto di collegamento a proposito di Hyperion, e di incontri al vertice con altre associazioni più o meno segreti. Ma, che siano servizi segreti dell’Est, terroristi della Raf o discutibili arabi, mai nessuno parlò di collegamenti con la Cia. Se Hyperion era un trait d’union, lo era tra potenze e forze antioccidentali, e non occidentali. Simioni e i suoi vennero inquisiti da Mastelloni a Venezia e a Roma da Rosario Priore, i due magistrati oggi citati a supporto di Calogero: nel 2003 Mastelloni ammise che “non si è mai avuto un riscontro diretto della loro partecipazione al sequestro Moro“. Anche la storia che oggi Calogero porta a sostegno dell’onnipotenza di Hyperion, ovvero che le sue indagini furono bloccate da una fuga di notizie della quale sarebbe stato responsabile Federico Umberto D’Amato, l’anima nera della Prima Repubblica con il suo Ufficio affari riservati – un articolo di Paolo Graldi uscito nell’aprile 1979 – e incolpando dapprima Silvano Russomanno, numero due di D’Amato. L’Ufficio affari riservati, però, fu sciolto nel 1974. Graldi però venne interrogato, e proprio da Mastelloni. E a lui disse che non era vero che era stato un uomo del Sisde a dargli la notizia, che fu ‘personale’: “Presi lo spunto da una serie di voci e articoli“, disse a verbale. Nell’occasione Mastelloni non contestò la falsa testimonianza a Graldi. Come oggi il Sisde entri nel teorema Calogero è anch’esso un mistero che soltanto il nostro giudice potrebbe svelarci.

CHIUSURA DEI FRANCESI? – A ormai trent’anni di distanza, Calogero continua a ripetere che i francesi, arrabbiati per la fuga di notizie, rabbiosamente chiusero i canali di comunicazione con le autorità italiane consentendo a Hyperion di farla franca. Anche qui c’è molta fantasia intorno alle motivazioni che produssero la realtà della troncatura dei rapporti: quelle francesi erano chiare, e riguardavano, scrive Satta, “l’applicazione del diritto d’asilo e la valutazione delle vicende in discussione, ossia la determinazione del confine tra legittima attività politica e terrorismo”. Ai francesi dava fastidio il clima da caccia alle streghe che in Italia qualche pm aveva messo in atto: come abbiamo visto prima, questo non piacque nemmeno ai giudici italiani, che assolsero e fecero a pezzi i teoremi. La pista Hyperion, nella sua inconsistenza, non ha alcun punto d’appoggio sotto forma di indizio nei confronti della Cia e degli amerikani, storicamente e giuridicamente parlando. Se davvero Hyperion era la testa delle Br, era una testa che guardava ad est, e non ad ovest. Ma prove o indizi che ne fosse la testa, allo stesso modo, non ce n’erano. Se Calogero ne prendesse atto, invece di continuare a promuovere una ormai trentennale caccia alle streghe, la logica, la storia e le risultanze giudiziarie gliene saranno profondamente grati.