Bruno Contrada e le sue troppe ambiguità

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L'ex numero tre del Sisde è tornato in libertà dopo aver scontato una pena di 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Eppure restano ancora molte, troppe perplessità per un uomo che ha sempre proclamato la sua innocenza nonostante sia stato ritenuto un traditore dello Stato

Raramente la libertà di un uomo condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ha creato tanto scalpore, ma quest’uomo si chiama Bruno Contrada, ed allora le cose cambiano notevolmente.



IL PROCESSO – Il funzionario, già numero tre del Sisde, oggi Asi, ha lasciato la sua abitazione di Palermo venerdì mattina, alla scadenza dei 10 anni di reclusione figli della condanna da lui sempre ritenuta infamante, sotto tutti i punti di vista. Nella stessa casa venne arrestato il 24 dicembre 1992, la vigilia di Natale, a seguito di varie dichiarazioni rilasciate da alcuni “pentit”, tra cui Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Salvatore Cancemi. Il primo processo ebbe inizio il 12 aprile 1994 e si concluse oltre un anno e mezzo dopo, nel gennaio 1996, quando il Pubblico Ministero Antonio Ingroia chiese 12 anni di carcere.



L’ASSOLUZIONE – Il 5 aprile arrivò la condanna: 10 anni di carcere con tre di libertà vigilata. Come spesso avviene, la sentenza venne ribaltata in appello, con tanto di assoluzione con formula piena. Era il 4 maggio 2001. Un nuovo ribaltone arrivò il 12 dicembre 2002, quando la Cassazione annullò la sentenza di appello ordinando un nuovo processo da tenersi davanti ad una diversa sezione della Corte d’Appello, la quale il 26 febbraio 2006 confermò la sentenza di primo grado, quindi 10 anni di carcere ed il pagamento delle spese processuali.

IN GALERA – Con la conferma della condanna d’appello da parte della Corte di Cassazione, il 10 maggio 2007, Contrada venne chiuso in carcere, a Santa Maria Capua Vetere. La storia giudiziaria dell’ex numero tre del Sisde non finì qui. Il 24 settembre 2011 la Corte d’appello di Caltanissetta dichiarò ammissibile la revisione del processo, salvo smentirsi un mese e mezzo dopo. L’8 novembre, difatti, la richiesta venne respinta in quanto dichiarata “inammissibile”.



DATEGLI LA GRAZIA – Negli ultimi giorni del 2007 Giuseppe Lipera, difensore di Contrada, chiese la grazia per il suo assistito al Presidente della Repubblica a nome del suo assistito, in quanto lui, convinto della sua innocenza, non sente di dover chiedere nulla a nessuno. Qualche giorno dopo, il 28 dicembre, il magistrato di sorveglianza dispose il ricovero dell’ex agente segreto nel reparto detenuti dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, dal quale lo stesso Contrada volle uscire denunciando le condizioni inaccettabili del reparto.

NON MANGIA PIU’ – Contrada chiese anche l’eutanasia. La richiesta venne presentata dalla sorella al giudice tutelare del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 16 aprile 2008 spiegando come il fratello volesse morire in quanto ritenesse che questa fosse l’unica strada per porre fine alle sue pene. Niente da fare. Il 21 luglio i legali diffusero la notizia secondo la quale Contrada in galera dimagrì 22 chili, dichiarando come questa fosse la prova che il regime carcerario mal si addiceva al loro assistito. Ma gli stessi avvocati non dissero che tale dimagrimento era dovuto al rifiuto dell’agente di nutrirsi.

PERICOLO SOCIALE – Contrada uscì dal carcere il 24 luglio 2008, in quanto gli vennero concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Appunto perché non mangiava. All’uomo venne però negata la possibilità di recarsi a Palermo in quanto, secondo i giudici, vi era ancora la possibilità che Contrada rappresentasse un pericolo sociale. Perché quest’uomo venne sottoposto a tale “tortura” giudiziario? Come mai lo Stato li ritenne colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa con tanta certezza, tanto da ordinare la revisione del processo d’appello nel quale venne assolto con l’ordine di cambiare il collegio?

UN TRADITORE – Semplice. Come spiega 18 luglio 1992, per molti, anzi, per tutti, Bruno Contrada era un traditore dello Stato. Viene ricordata un’immagine molto forte relativa a Giovanni Falcone. Al termine dell’interrogatorio a seguito del delitto di Piersanti Mattarella, Contrada strinse la mano ad entrambi se ne andò. Falcone guardò Antonino Caponnetto e si pulì la mano sui pantaloni. Contrada non ispirava fiducia. Boris Giuliano, il “padre” della squadra mobile di Palermo, ucciso dalla Mafia nel 1979, non credeva in lui. E non credevano in lui neanche Beppe Montana, Ninnì Cassarà, lo stesso Falcone e Paolo Borsellino.

TESTIMONIANZE INCROCIATE – Contrada venne ritenuto colpevole del reato di associazione a delinquere pluriaggravata fino al 29 settembre 1982, e di associazione mafiosa da quel momento in poi. Per le varie corti non poteva esserci neanche uno spiraglio di innocenza. E’ bastato incrociare le testimonianze dei vari pentiti, i quali hanno creato una rete talmente fitta da non lasciare adito a nessun dubbio.

GOLA PROFONDA – Ai tempi della morte di Giuliano, Contrada frequentava senza scorta, un appartamento in via Guido Jung, messogli a disposizione dal Angelo Grazione, costruttore mafioso. Rosario Riccobono rassicurò Tommaso Buscetta, desideroso di tornare in Brasile con la sua famiglia, dicendogli: “Stai tranquillo, io ho il dottore Contrada che mi avvisa se ci sono perquisizioni o ricerche di latitanti in questa zona. Qua puoi stare tranquillo”. Giuseppe Marchese, uomo vicino a Totò Riina e primo “pentito” dei corleonesi aggiunse: “Mio zio Filippo mi tirò da parte e mi disse di andare ad avvisare, dice, u zu Totuccio e ci dici fici sapiri u dottore Contrada che hanno individuato la località dov’è che praticamente lui stava, dice che nella mattinata dovrebbero fare qualche perquisizione”.

CE L’HANNO BRUCIATO – Un’altra testimonianza schiacciante arrivò da Gioacchino Costa, affiliato alla ‘ndrangheta. Lui non conosceva Contrada, ma condivideva la cella all’Asinara con tre mafiosi, Cosimo Vernengo, Pietro Scarpisi e Vincenzo Spadaro. La sera del 24 dicembre 1992, alla notizia dell’arresto di Contrada, Spadaro si mise le mani nei capelli esclamando “nnu cunsumaru”, ce l’hanno bruciato. Ce lo hanno bruciato. L’arresto di Bruno Contrada provocava un grave danno all’organizzazione mafiosa. Contrada sosteneva davanti ai colleghi che era impossibile opporsi al potere mafioso, eppure i riscontri depositati nel processo di primo grado dimostrarono come quello che è definito “il traditore” fu colluso prima con Stefano Bonante e poi con i corleonesi.

QUEL GIUDICE INDAGATO – Eppure, nonostante tali evidenze, venne assolto in appello. A certificare tale decisione fu il giudice Gioacchino Agnello, a sua volta indagato per mafia in un’inchiesta, poi archiviata, della procura di Caltanissetta. Eppure l’accusa portò dei pentiti che testimoniarono all’unisono come il Contrada informasse preventivamente i criminali di ogni blitz, che accettava regali di ogni tipo e che era a contatto con le cosche più feroci della Sicilia.

L’ASCESA – Come ha fatto allora un uomo del genere a diventare un servitore dello Stato? Andiamo con ordine. Bruno Contrada, classe 1931, fu un funzionario di polizia ed agente dei servizi segreti civili. Entrato nel corpo nel 1958, dal 1973 al 1976 fu a capo della squadra mobile di Palermo, mentre dal 1976 al 1982 fu dirigente della Criminalpol per la sicilia occidentale. Nello stesso anno entrò nel Sisde con il ruolo di coordinatore degli uffici sardi e siciliani. Nel settembre di quell’anno venne assunto come capo di gabinetto del primo Alto commissariato per la lotta alla mafia, ruolo che ricoprirà fino al 1985. Nel 1986 il suo ultimo incarico, in quanto, richiamato a Roma, divenne il numero “tre” del Sisde con delega all’antimafia.

PIZZA CONNECTION – Una crescita tanto fulminea quanto chiaccherata. Nel 1984 Buscetta fece il suo nome a Giovanni Falcone:  “Contrada passa informazioni a Rosario Riccobono, sulle operazioni di polizia”. Tale posizione venne confermata da Francesco Marino Mannoia. Nel 1989 il magistrato svizzero Carla Del Ponte interrogò Oliviero Tognoli, imprenditore coinvolto nell’operazione “Pizza Connection”, relativa al riciclaggio di denaro proveniente dai traffici di droga. Ad interrogatorio finito, Falcone chiese all’industriale bresciano se fosse stato avvertito del blitz che avrebbe portato al suo arresto da Bruno Contrada.

LUI CI STA – La risposta fu un cenno del capo con un sorriso. Tognoli però si rifiutò di verbalizzare le accuse, nonostante le insistenze di Falcone. “U dutturi” faceva quindi il doppio gioco. A confermarlo un altro pentito, Gaspare Mutolo, a fine 1991. Negli anni ’70 Contrada faceva parte degli “integerrimi”, assieme a Boris Giuliano, Ignazio D’Antone e Antonino De Luca. Mutolo pedinò Contrada per seguire le sue abitudini, ma nel 1981 arrivò la dichiarazione di Rosario Riccobono: “Contrada ci sta”. L’arresto però vi fu solo il 24 dicembre 1992.

Contrada venne arrestato e messo in regime di carcere preventivo fino al luglio del 1995. Per Rosario Spatola, ex imprenditore edile inquisito da Giovanni Falcone: “Contrada era un massone a disposizione di Cosa Nostra, così mi venne riferito da Rosario Caro, l’uomo d’onore di Campobello di Mazara, anch’egli massone”. Eppure dopo il suo arresto la Polizia si mobilita giudicandolo un funzionario irreprensibile. A definirlo così il capo della Polizia Vincenzo Parisi, il prefetto Finocchiaro ed il generale Mori.

 

PERCHE’ I DOMICILIARI? – Il resto è storia. Ma c’è ancora qualcosa da chiarire. Contrada è stato scarcerato perché non mangiava più. Sono fatti, non illazioni. Il ministro della Giustizia dell’epoca, Clemente Matella, disse: “mi sembrava un atto dovuto visto anche l’allarme destato dalle condizioni di salute. Normalmente per l’attivazione di questi strumenti si impiegano sei mesi. Io mi auguro che si faccia molto, molto prima”. Secondo il libro di Alfio Caruso “Milano ordina uccidete Borsellino”, Mastella ricevette una lettera di spiegazioni e scuse di Francesco Campanella, presidente del consiglio comunale di Villabate e già uomo di Provenzano.

PASSATO OSCURO – Oggi Contrada è un uomo libero, ma sono troppe le ombre che gravitano sulla sua persona. Le indagini hanno dimostrato come ci fosse un legame diretto tra l’ex agente del Sisde e Paolo Borsellino, tanto che fu lo stesso Contrada a segnalare un’anomalia particolare, ovvero l’attività frenetica degli uffici del servizio segreto civile a Roma il giorno dell’attentato, una domenica. Contrada si dichiarò amico di Borsellino, ma i familiari respinsero questa versione. Tutti i responsabili di polizia con i quali collaborò morirono di morte violenta, mentre lui godette di appoggi non solo politici. Oggi Contrada è un 81enne malfermo, ha pagato secondo la giustizia ogni sua colpa, ma certo sentirlo chiedere “grazie” ad uno Stato che secondo lui ha sempre servito con onestà, visto il suo passato, è francamente chiedere troppo. (Photocredit Lapresse)