Camorra: prime confessioni di Iovine: «Soldi a tutti, anche ai politici»

«So benissimo di quali delitti mi sono macchiato. Sto spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile». Queste le prime parole del super boss dei Casalesi Antonio Iovine, dopo la decisione di collaborare con la giustizia, a 4 anni dall’arresto dello scorso 17 novembre 2010 a Casal di Principe. Nelle sue “confessioni”, rilasciate nel corso di un interrogatorio del 17 maggio scorso e verbalizzate davanti alla magistratura inquirente, il capo di Gomorra ha evocato i legami tra i clan e la classe dirigente del Paese: «Politici, sindaci e imprenditori avevano i loro vantaggi», ha spiegato agli inquirenti. A tremare è tutto l’impero dell’organizzazione criminale. E non solo: dal pentimento del “ministro dell’Economia” della camorra – così come era ribattezzato il boss-manager – potrebbero essere così ricostruite le collusioni tra uno dei più potenti clan, la politica e il mondo degli affari.

Antonio Iovine
L’arresto di Antonio Iovine,  avvenuto il 17 novembre 2010  a Casal di Principe Photocredit: Lapresse/Salvatore Laporta

PARLA IL PENTITO ANTONIO IOVINE – Dalle parole di Iovine cominciano a trasparire i fiancheggiatori della camorra tra amministratori pubblici e mondo dell’imprenditoria: «C’erano soldi per tutti, in un sistema che era completamente corrotto. Si deve considerare anche la parte politica ed i sindaci dei comuni i quali avevano l’interesse a favorire essi stessi, alcuni imprenditori in rapporto con il clan». Dietro queste operazioni illegali, si nascondeva il voto di scambio politico-mafioso: «Tutto per avere vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e finanziamenti», ha aggiunto Iovine. Secondo la versione del boss, «non faceva alcuna differenza il colore politico del sindaco». Questo perché «il sistema era operante allo stesso modo», ha spiegato.

«SOLDI PER I SINDACI, SENZA DISTINZIONI DI COLORE POLITICO»  – «Generalmente io ero del tutto indifferente rispetto a chi si candidava a sindaco, nel senso che chiunque avesse vinto sarebbe entrato in modo automatico a far parte di questo sistema da noi gestito», ha continuato Iovine nel corso dell’interrogatorio. Per poi precisare: «Devo però anche dire che altre persone del clan potevano avere passione per la politica e comunque un interesse per un candidato piuttosto che per un altro». Dai primi di maggio Iovine ha deciso di collaborare con i pm del pool anticamorra (Antonello Ardituro e Cesare Sirignano, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli). I verbali sono stati depositati al processo in corso a Santa Maria Capua Vetere, dove imputato è l’ex sindaco di Villa Literno Enrico Fabbozzi, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ardituro ha chiesto al collegio presieduto da Orazio Rossi di poter sentire Iovine nel processo. «È stato indiscutibilmente uno dei capi del clan dei Casalesi», ha evidenziato il pm. Dovrebbe riferire proprio su vicende legate ai suoi rapporti con il mondo dell’imprenditoria e della politica. Il collegio ha accolto la richiesta e fissato l’interrogatorio per sabato 7 giugno.

Antonio Iovine
Antonio Iovine, Photocredit: Lapresse/Gennaro Giorgio

Come riporta l’Ansa, nell’interrogatorio Iovine ha ricostruito come esista una «mentalità casalese inculcata fin da giovani», basata sulla cultura della raccomandazione, dei favoritismi, delle mazzette e della regola del 5 per cento». Iovine ha attaccato le istituzioni: «Prima ancora che i camorristi, questa mentalità l’ha diffusa nel nostro territorio proprio lo Stato, che invece è stato proprio assente nell’offrire delle possibilità alternative e legali alla propria popolazione». Pur ammettendo le proprie responsabilità in «gravissimi delitti», nell’interrogatorio reso nei giorni scorsi al pm Ardituro l’ex boss del clan ha aggiunto: «Le nostre condotte sono anche conseguenza di questo abbandono che abbiamo percepito da parte dello Stato». Per poi aggiungere: «Forse non mi crederà, ma quando nel 2008 il governo emanò dei provvedimenti emergenziali che miravano nelle intenzioni di chi li predispose a dare delle risposte di legalità maggiori per il nostro territorio, io ne fui contento», ha continuato Iovine. «Anche la parte politica che dovrebbe rappresentare la parte buona dello Stato è stata quantomeno connivente con questo sistema se non complice. Sicuramente era del tutto consapevole di come andavano le cose», ha spiegato il boss pentito, citando come esempio gli appalti per la refezione scolastica in numerosi comuni dell’agro aversano, che erano stati assegnati un’impresa a lui vicina.

IL PENTIMENTO DI ANTONIO IOVINE – Iovine, 50enne, era considerato al vertice dei Casalesi, insieme a Francesco Bidognetti, a Francesco Schiavone (il boss conosciuto come Sandokan, catturato nel ’98) e a Michele Zagaria (l’ultimo ad essere arrestato, il 7 dicembre 2011, ritrovato nel bunker dove si era rifugiato). ‘O Ninno – così com’era ribattezzato per il suo volto da ragazzo – era stato condannato all’ergastolo in via definitiva al termine del processo “Spartacus”, il più importante contro i Casalesi. Arrivato da giovane ai vertici, Iovine era considerato un boss moderno,  mente del riciclaggio dei proventi delle attività illecite – narcotraffico, racket, truffe su tutte – nell’economia pulita e nel business del cemento. Per poi inserirsi nel mondo degli appalti statali. Dopo quattro anni di carcere duro, aveva poi deciso a inizio maggio di pentirsi. Quasi una “prima volta” nella storia della camorra, considerati come non siano stati molti, prima di Iovine, i capi clan che avevano scelto di collaborare. Tra questi Pasquale Galasso, capo della Nuova famiglia. L’altro storico collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi è stato invece Carmine Schiavone. Ma, come aveva ricordato Roberto Saviano, era un capo della vecchia generazione, messo ai margini nell’ultima fase e che aveva deciso di pentirsi proprio perché allontanato dai vertici. Al contrario, Iovine, durante i suoi 14 anni di latitanza prima dell’arresto – dal 1996 fino al 2010 – ha continuato a gestire le attività dei Casalesi, mente affaristica del clan. Per questo le sue rivelazioni potrebbero adesso fornire informazioni essenziali sui rapporti tra imprenditoria e criminalità, non soltanto in Campania e in Italia.

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