Censura: si comincia? Idioti all’assalto di Internet, o scherzo?

Categorie: Tecnologia

Reso irraggiungibile un intero server di ImageShack per un’immagine pedopornografica. La polizia postale prende il provvedimento su ordine di un magistrato, in base alla legge 38/2006. Ma aggirare il provvedimento è facilissimo. Eppure c’è chi pensa che potrebbe essere una bufala…



Si comincia. Male. O forse si scherza L’annuncio arriva su Friendfeed: la polizia postale ha blacklistato ieri un intero server di ImageShack, un servizio di hosting di immagini, perché in esso erano presenti una o più immagini pedopornografiche. Se si clicca qui, ci si trova di fronte a una pagina che recita: “STOP !! PAGINA INTERDETTA DAL CENTRO NAZIONALE PER IL CONTRASTO ALLA PEDOPORNOGRAFIA SULLA RETE INTERNET. Il tuo browser sta tentando di raggiungere un sito Internet contenente immagini e filmati pedopornografici. La detenzione, la distribuzione, la produzione, la commercializzazione di tale materiale prevedono l’applicazione di gravi sanzioni in base alla legge penale italiana e sono perseguibili anche ad opera di forze di polizia estere. Nessun dato relativo al tuo ip address od altra traccia utile ad identificarti verrà registrato. L’inibizione dell’accesso a questo sito è prevista dalla legge n. 38/2006 ed è stata operata al fine di impedire la commissione e la documentazione di violenze sessuali a minori degli anni diciotto. Questo servizio di protezione della navigazione sulla rete Internet è predisposto grazie alla collaborazione tra il “Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia sulla rete Internet” e gli Internet Service Provider italiani“. La censura non funziona con tutti, visto che dipende da che tipo di DNS si usano.

NON SERVE A NIENTE – Insomma, a quanto pare la polizia postale avrebbe bloccato l’intero indirizzo perché sono state segnalate immagini di tipo pedopornografico caricate dagli utenti.La cosa simpatica è che gli altri server invece funzionano regolarmente, ed è possibile ancora accedere alle immagini incriminate da quegli indirizzi. Inoltre si può aggirare il blocco semplicemente usando un DNS diverso da quello che ci fornisce il provider Adsl: un’operazione semplicissima che richiede soltanto un paio di minuti di settaggi. Insomma, una decisione che non risolve quasi nulla, per lo meno per chi ha una minima dimestichezza con il computer; ma che in compenso serve a a far comprendere l’enorme competenza con cui la giustizia italiana si approccia al web. E si sa, di solito chi è incompetente e però èdotato di grandissimi poteri, prima o poi finirà per combinare qualche guaio grosso. “Imageshack non contiene materiale “di imageshack”, è solo un enorme repository di quello che c’uploada la gente. E’come sequestrare un parcheggio perché qualcuno c’ha lasciato dentro una macchina rubata“, dicono, a ragione, sul forum di HwUpgrade. “E’ la solita scelta ipocrita italiana di chiudere gli occhi ai cittadini invece che perseguire gli eventuali colpevoli. Aggravata dal fatto che viene inibita la navigazione su migliaia di contenuti che non hanno nulla a che fare con quelli incriminati”, commenta Massimo Mantellini sul suo blog.



DOLCETTO O SCHERZETTO? – Almeno questo dimostra una cosa: che era vero che la legge voluta dal senatore Gianpiero D’Alia non era necessaria, visto che gli strumenti per effettuare operazioni di questo tipo – almeno per quel che riguarda un reato orrendo come la pedopornografia – ci sono già nella legislazione italiana. Ma qualche dubbio viene. La legge 38/2006 dice: “Art. 14-quater. – (Utilizzo di strumenti tecnici per impedire l’accesso ai siti che diffondono materiale pedopornografico) – 1. I fornitori di connettività alla rete INTERNET, al fine di impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro delle comunicazioni, di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie e sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei fornitori di connettività della rete INTERNET. Con il medesimo decreto viene altresì indicato il termine entro il quale i fornitori di connettività alla rete INTERNET devono dotarsi degli strumenti di filtraggio”. E’ evidente che si parla d’altro rispetto al sequestro d’un intero server. Anche il “comunicato” a cui si accede reca con sé qualcosa di strano: intanto, reca i link al Ministero dell’Interno, alla Polizia di Stato ed alla PolCom. Una cosa un pochino troppo raffinata per il ministero. Poi, di solito la Postale opera diversamente, anche se in questo caso non poteva visto che i server non risiedono su territorio italiano. Il richiamo al C.i.r.c.a.m.p., poi, appare del tutto arbitrario visto che l’istituzione non è citata all’interno della legge. In ultimo, non risulta che la polizia – e gli enti in genere – utilizzino i punti esclamativi (due, per giunta), all’interno dei comunicati ufficiali, e siano soliti anche avvisare i visitatori che il loro IP non verrà registrato. Insomma, qualche elemento per pensare piuttosto a uno scherzetto dimostrativo di un hacker c’è. D’altronde, sul sito dell’Associazione Italiana Internet Provider si scrive: “A quanto pare il decreto Gentiloni istituzionalizza la funzione del Centro quale collettore di segnalazioni e sancisce in capo ai provider l’obbligo di oscurare un sito entro 6 ore dalla segnalazione. Cosa c’è di diverso rispetto a prima? I provider hanno già l’obbligo di rispondere ad un ordine delle autorità. Non solo: anche la Polizia postale ha la possibilità di intervenire nel sequestro di un sito, impedendone l’accesso a chiunque a maggior ragione quando, come nel caso della pedopornografia diffusa tramite le reti telematiche, il sito stesso è una fonte di prova o costituisce il corpo del reato. Il decreto specifica due «livelli di inibizione» ovvero di filtraggio all’accesso ai siti segnalati. Tali siti potranno cioè «essere inibiti al livello minimo di nome a dominio ovvero a livello di indirizzo ip, ove segnalato in via esclusiva»“. Insomma, le procedure potrebbero essere state rispettate alla lettera. Ma qualche sospetto permane. Abbiamo chiesto lumi alla Polizia Postale. Siamo in attesa di una risposta.



EDIT: Alle ore 10,30 ancora nessuna replica da parte della Polizia Postale.

EDIT #2 (12:55): Possiamo escludere l’ipotesi di hacking: abbiamo verificato che il server, 62.211.65.19, appartiene a Telecom Italia ed è lo stesso al quale si viene reindirizzati tentando di accedere ad altri siti bloccati dalla Polizia delle Comunicazioni per azioni di contrasto alla pedofilia in rete. E’ il caso del famoso ibld.net.

(Francesco Laricchia – Just)