Chi ha paura del carbone pulito?

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Secondo Assocarbone l'Italia dovrebbe incrementare la quota di energia prodotta dal carbone fossile sfruttando le tecnologie che consentono di poter sfruttare un materiale pulito ed a basso costo. I dubbi però sono tanti viste anche le proteste degli ambientalisti ed i dubbi sulla reale efficacia del carbone pulito i cui scarti di produzione sono superiori a quelli del metano

Il futuro energetico del nostro Paese passa dal carbone pulito? L’Italia, nel tentativo di limitare la propria dipendenza energetica dall’estero negli ultimi anni ha investito molto in risorse alternative e rinnovabili. Tuttavia gli investimenti nel carbone non sono mai rallentati ed oggi il Paese si trova ad avere a che fare con 13 impianti sottoutilizzati che potrebbero dare un’enorme sollievo al nostro fabbisogno energetico. Ma i dubbi sono tanti.



QUANTO VALE IL CARBONE IN ITALIA – Secondo i dati raccolti dal National Geographic, in Italia esistono 13 centrali che producono il 12 per cento del mix energetico nazionale, una quota minima se paragonata ai dati diffusi da Assocarboni secondo coi in Europa il carbone pesa per il 33 per cento del fabbisogno energetico mentre la media mondiale è del 40 per cento. Secondo Andrea Ciavarino, presidente di Assocarboni, l’Italia dovrebbe sfruttare il carbone pulito, una nuova tecnologia in grado di mitigare quelle che sono le conseguenze ambientali date dall’uso del carbone coniugando una maggiore produttività energetica ed una migliore indipendenza del nostro Paese da fonti estere, indipendenza che si tradurrebbe anche in un aumento dei posti di lavoro.



GLI SCARTI INQUINANTI – Il carbone ad oggi emette 800 grammi di Co2 per ogni chilowattora di energia prodotta. Un valore alto se confrontato con lo scarto del metano, i cui residui ammontano a 350 grammi per chilowattora, e l’assenza di emissioni per fotovoltaico e nucleare. E tale dato riguarderebbe il carbone trattato e reso per l’appunto “pulito”. Il procedimento per la trasformazione di tale combustibile prevede la frantumazione del carbone per eliminare le impurità ed i minerali che appesantiscono la produzione inquinando l’aria. La frantumazione è seguita poi da un passaggio dentro un filtro che separa le impurità per gravità. Infine la rimanenza viene immersa in un fluido che permette il galleggiamento del carbone con conseguente rimozione degli scarti affondati.



LA STRADA DA SEGUIRE? – Il punto è dato dal fatto che il carbone ancora oggi viene identificato come il sistema più economico in assoluto per produrre energia elettrica. E se si pensa di poter risolvere i problemi legati all’inquinamento chimico, resta ancora molto da fare per le concentrazioni di Co2 nell’atmosfera, in quanto al momento qualsiasi progetto destinato a mitigare la produzione di anidride carbonica non è risultato soddisfacente. Tuttavia, secondo Assocarboni, è questa la strada da seguire visti anche gli investimenti pari a sei miliardi di euro nel settore del carbone pulito, settore che vede l’Italia all’avanguardia rispetto ai propri concorrenti. E nello specifico viene rimarcato il risultato della centrale di Civitavecchia, definita un gioiello di efficienza.

LE CENTRALI ITALIANE – Le centrali a carbone in Italia si trovano in otto regioni così suddivise: in Lombardia c’è Brescia, in Veneto Fusina e Marghera, in Friuli-Venezia Giulia Monfalcone, in Liguria Genova, La Spezia e Vado Ligure, in Sardegna Fiume Santo e Sulcis, nel Lazio Torre Valdaliga Nord, nei pressi di Civitavecchia, in Umbria Bastardo ed in Puglia Brindisi Nord e Brindisi Sud. Ci sarebbero altri due impianti da considerare, quello di Porto Tolle e di Saline Joniche. Il primo ha visto la vautazione d’impatto ambientale bocciata dal Ministero dell’Ambiente mentre la seconda è oggetto di vibrate proteste da parte della popolazione di Montebello Jonico, comune della provincia di Reggio Calabria, dove sorgerà la costituenda centrale.

I GUAI DI PORTO TOLLE – Come spiega Qualenergia, per quanto riguarda la questione di Porto Tolle, il parere della commissione Via ha di fatto bloccato il processo di conversione a carbone della centrale di Porto Tolle. Il progetto è stato definito carente e contraddittorio tanto che la procedura d’autorizzazione per il progetto dovrà ripartire dall’inizio. Peraltro Enel per la centrale di Porto Tolle è stata condannata nella figura degli ex vertici per i danni ambientali dall’impianto a olio combustibile a causa di condotte che, secondo la magistratura, hanno messo in pericolo la comunità in termini d’inquinamento ambientale ed atmosferico. I condannati, Franco Tatò e Paolo Scaroni, hanno riferito che avrebbero impugnato la sentenza in appello.

3,6 MILIARDI DI EURO DI DANNI? – Il pronunciamento in primo grado però è stato appresantito da una perizio dell’Ispra che stima un danno da parte di Enel di 3,6 miliardi di euro. E di questi soldi, 2,6 miliardi dovrebbero coprire i danni sanitari ed ambientali causati dal mancato adeguamento della centrale di Porto Tolle agli standard tecnologici previsti dalle normative. La mancata autorizzazione di Via ha fatto esultare Wwf e Greenpeace secondo cui la conversione a carbone di una centrale nel mezzo di un parco naturale, in un ecosistema fragile e prezioso, rappresenta una sciocchezza enorme specie se si considera che il nostro Paese, hanno continuato le associazioni ambientaliste, detiene un parco di generazione elettrica doppio rispetto alle necessità di consumo nazionali.

LA POPOLAZIONE CONTRO LA CENTRALE DI SALINE JONICHE – E la protesta è arrivata anche in Calabria. E tra i protagonisti c’è il senatore di Forza Italia Domenico Scilipoti. Secondo il politico già nelle fila dell’Italia dei Valori il mostro antiquato, così è stata chiamata la centrale, sconvolgerebbe la vocazione turistica dell’area violando il microclima e la purezza ambientale che ha reso la zona ad essere la patria del bergamotto. Scilipoti, presidente del club Forza Silvio Villa Uno, ha poi aggiunto che la centrale a carbone è pericolosa per la salute pubblica ed ha un impatto abiemntale troppo forte e che per questo è necessario trovare alternative che passano da fonti rinnovabili perché è inaccettabile parlare di tutela del territorio ipotizzando la nascita di una centrale a carbone.

CONTRO ANCHE DOMENICO SCILIPOTI – Il club Forza Silvio Villa Uno ha poi spiegato che la combustione del carbone rappresenta una fonte di produzione di anidride carbonica, di ossido d’azoto, di zolfo e di polveri sottili. Questo porta alla diffusione di sostanze cancerogene e tossiche per la salute dell’uomo oltre che destabilizzanti per l’ambiente circostante. E per questo bisogna dire no alla costruzione della centrale di Saline Joniche. Peraltro l’azionista della centrale, la svizzera Repower, è vincolata da una votazione avvenuta nel suo cantone, i Grigioni, dove i cittadini hanno chiesto che non venisse usato carbone per produrre energia. Quindi gli svizzeri usciranno dal progetto entro il 2015 lasciando la palla ad Hera, multiutilty emiliana oggetti di vibrate proteste da parte degli ambientalisti.

IL SEQUESTRO DI VADO LIGURE – A seguire c’è la questione di Vado Ligure. La centrale è sotto sequestro e Tirreno Power, la società proprietaria, è sotto inchiesta per disastro ambientale ed omicidio colposo. Secondo la perizia richiesta dalla procura di Savona, la centrale avrebbe causato 400 decessi tra 2000 e 2007. La società dal canto suo ha contestato il metro di valutazione smentendo il nesso causale. Ma queste storie si mal conciliano con il decisionismo di Assocarboni secondo cui il progetto di potenziamento dell’attività delle centrali a carbone potrebbe portare ad una crescita della produzione energetica dal 12 al 16 per cento. E c’è un secondo problema da non sottovalutare, espresso da Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia di Wwf Italia.

UN ELEMENTO DA IMPORTARE – «Oggi il carbone non conviene a nessuno. In Italia non lo produciamo, se non in quantità scarse e qualità non eccezionale in Sardegna -spiega la Midulla- costa poco importarlo, ma i prezzi sono bassi per i produttori, non per i consumatori. E nel prezzo finale non si tiene conto del danno che produce, per via del cambiamento climatico». A Civitavecchia i fumi vengono depurati da sistemi ad alta efficienza mentre per le emissioni con i filtri a manica i fumi passano in un tessuto che blocca le particelle e trattiene il 99,9 per cento del particolato. Ma per Davide Tabarelli di Nomisma Energia, tutto questo è insufficiente anche perhé il carbone pulito non esiste.

«IL CARBONE PULITO NON ESISTE» – «Il carbone pulito non esiste: bisogna dirlo chiaramente.Per un chilowattora di energia elettrica il carbone emette circa 800 grammi di Co2, contro i 350 grammi del metano e l’assenza di emissioni del fotovoltaico o del nucleare. E vale anche per Civitavecchia, tra le centrali più moderne al mondo». E poi c’è il nodo dei costi dell’energia elettrica italiana, che secondo Tabareli superano del 20 per cento la media europea, con conseguenze reali attravero il cuneo fiscale sui costi industriali. Eppure la particolarità della situazione è facilmente comprensibile attraverso uno sguardo su quanto accade intorno a noi.

PROSPETTIVE IN CRESCITA – La Germania ad esempio nel 2012 ha visto un aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, passando dal 20,3 al 21,9. Ma contestualmente aumentò anche la domanda di energia dal carbone, passata dal 18,5 al 19,1. Certo, si doveva compensare il calo della produzione del nucleare a seguito del disastro di Fukushima, ma questo dato conferma che nonostante tutto il carbone rappresenta ancora un’alternativa seria alle fonti energetiche rinnovabili, tanto che s’ipotizza che la domanda rimarrà ai livelli attuali fino almeno al 2035, anno in cui coprirà il 25 per cento del fabbisogno energetico globale, nonostante il calo nell’uso del combustibile fossile nel 2013 causato da una diminuzione della domanda per colpa della crisi. Il carbone nonostante i suoi problemi è più vivo che mai, nonostante l’ambiente.