Cina e Stati Uniti litigano per le isole Spratly

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Pechino fa terraforming e costruisce isole sulle quali appoggiare presidi a sostegno delle sue pretese territoriali nell'arcipelago

Le isole Spratly e quelle di Paracelso sono al centro di una contesa territoriale che coinvolge sei dell’area e che vede la Cina quantomai decisa a rivendicarle come proprie, al punto da modificare alcune delle isole contese in vere e proprie basi militari. Una pretesa che gli Stati Uniti hanno cominciato a contestare apertamente.



La più aggiornata mappa interattiva delle rivendicazioni sulle Spratly e isole limitrofe

LE PROVOCAZIONI SONO SEMPRE DI MODA ALLE SPRATLY –

Pechino non ha dubbi, è una provocazione bella e buona far passare una nave da guerra americana a meno di 12 miglia dalle isole dell’arcipelago delle Spratly rivendicate e occupate da Pechino. Washington è altrettanto sicura che invece si tratta della sacrosanta rivendicazione della libertà di navigazione in acque che sono ancora oggetto di una contesa internazionale alla quale la Cina cerca di anteporre alla soluzione negoziata un’occupazione – de facto – dell’arcipelago a suo vantaggio. Il transito della USS Lassen si è completato senza incidenti e sotto l’occhio attento dei cinesi, che nei decenni nei quali si è trascinata la contesa hanno avuto anche di che spararsi con i concorrenti, ma c’è da star sicuri che non sarà l’ultimo episodio del genere nella storia della contesa sull’arcipelago, per il quale da più di mezzo secolo è in corso una lotta fatta di rivendicazioni e provocazioni, solo di recente culminata con l’iniziativa che vede i cinesi impegnati nel terraforming di alcuni atolli in modo da costruirvi sopra una presenza significativa, un’occupazione che per quanto costosa potrebbe un giorno portare alla conquista del tesoro tanto ambito.

 



L’OGGETTO DELLA CONTESA –

Le isole Spratly si trovano nel Mar Cinese Meridionale tra il Vietnam e le Filippine, ma alcune di loro sono rivendicate anche da Cina, Taiwan, Brunei e Malaysia, alimentando così un contenzioso che non sembra facilmente risolvibile e che ora Pechino sembra intenzionata a superare mettendo i paesi vicini di fronte al fatto compiuto con la trasformazione di alcuni scogli in vere e proprie isole artificiali, sulle quali costruire edifici e aeroporti utili a presidiare l’arcipelago, che per la Cina dovrebbe essere tutto cinese, al punto che di recente un ministro di Pechino ha definito l’area il «cortile di casa» cinese, aggiungendo che quello che ci fa il suo governo non dev’essere messo in discussione da altri paesi.

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UNA QUESTIONE VECCHIA DI DECENNI –

La contesa sulle Spratly e sul vicino arcipelago delle Isole di Paracelso, ugualmente conteso, è annosa e negli ultimi anni ha risentito dell’accelerazione imposta alla crisi da Pechino, che negli ultimi anni si è particolarmente data da fare per ribadire la sua petizione di sovranità sulle isole, spalleggiata in questo da Taiwan, che in quanto provincia cinese rivendicando le isole fa il gioco di Pechino. Ad opporsi alle pretese di Pechino sono in particolare il Vietnam e le Filippine, in questo caso sostenute dagli Stati Uniti, che vedono male la proiezione cinese nell’area.

LE RIVENDICAZIONI DI PECHINO –

Le pretese di Pechino, che sconta una notevole distanza geografica delle sue coste più prossime, si fondano (debolmente) sul fatto che le isole, per lo più minuscole quando non veri e propri scogli, sono state usate dai pescatori cinesi come base per la pesca nei secoli scorsi, ma è altrettanto vero che solo i vietnamiti le hanno abitate con continuità in epoca recente, almeno fino a quanto agli inizi degli anni ’70 non sono stati sfrattati a mano armata dai cinesi, che sbaragliarono il presidio vietnamita in una battaglia che fece una settantina di morti. LEGGI ANCHE: Spratly della discordia

IL MOTIVO DEL CONTENDERE –

Le isole hanno una discreta importanza strategia ed economica, la loro posizione permette il controllo del traffico marittimo in una delle aree più trafficate del pianeta e per di più i fondali nei pressi sembrano nascondere vasti giacimenti di gas naturale, oltre ad essere un’area apprezzata per la qualità e varietà della pesca. Così, nelle more di negoziati che da decenni cercano di sciogliere il dilemma posto da una serie di rivendicazioni a macchia di leopardo da parte dei paesi coinvolti, Pechino ha deciso di approfittare della sua superiorità tecnica ed economica per trasformare alcune delle isole e costruirvi un presidio permanente tale da risultare molto difficile da rimuovere in futuro.

PECHINO COSTRUISCE LE ISOLE –

La politica del fatto compiuto passa così dai lavori di terraforming che si possono apprezzare dalle immagini satellitari distribuite da diversi istituti specializzati, un’attività alla quale i paesi concorrenti possono opporre ben poco, ad esempio le Filippine, che «occupano» nove isolotti dell’arcipelago, hanno fatto arenare la Sierra Madre, una nave da sbarco americana, per ospitarvi il presidio sull’Ayungin Shoal, poco più di un banco di sabbia che affiora a poca distanza da Mischief Reef, una formazione rocciosa che invece i cinesi stanno trasformando in una vera e propria isola abitabile e abitata, e che in teoria si trova all’interno della zone di sfruttamento economico esclusivo che spetterebbe alle Filippine.

West London Reef dal 2010 al 2015. Foto CSIS Asia Maritime Transparency Initiative/DigitalGlobe

PECHINO TIRA DRITTO –

La contesa sembra quindi subire la politica cinese del fatto compiuto, anche perché non è chiaro a nessuno come si potrebbe risolvere il puzzle di rivendicazioni multiple e incrociate e i negoziati languono da anni, anche se l’unica certezza è che la sola soluzione possibile sia quella che si concluda con l’accordo delle parti coinvolte. Le immagini del prima e del dopo gli interventi cinesi non lasciano dubbi sulle intenzioni di Pechino che in pochi anni, dopo aver trasformato scogli e banchi in isolotti, ora li sta popolando con stazioni di sostegno alla pesca, piste d’atterraggio, stazioni meteo e porticcioli.

COSÌ FAN TUTTI –

Una politica assecondata da Taiwan, che sulla maggiore delle isole, Itu Aba, che è anche l’unica con riserve d’acqua dolce, ha costruito un aeroporto e sta ampliando le infrastrutture portuali con un investimento di 100 milioni di dollari. L’isola, conosciuta anche come Taiping (perché tutte le isole o isolotti, sono un centinaio sparsi su un’area di quasi mezzo milione di chilometri quadrati nel Mar della Cina Meridionale, hanno nomi diversi a seconda di chi li reclama), è rivendicata anche da Cina, Vietnam e Filippine, ma la presenza di un distaccamento delle truppe di Taipei è funzionale alla rivendicazione cinese. Più imponenti i lavori cinesi che hanno trasformato in vere e proprie isole il Gavel Reef, il Johnson South Reef e il Fiery Cross Reef, che insieme al già ricordato scoglio di Mischief sono ora pronte ad accogliere le guarnigioni permanenti previste da Pechino. I concorrenti non stanno a guardare, anche se procedono con maggiore lentezza e prudenza. Il Vietnam è al lavoro su Southwest Cay, strappata alle Filippine nel 1975, Manila ha costruito un aeroporto sull’isola di Thitu, mentre la Malaysia lavora sullo Swallow Reef. Tuttavia solo la Cina si è data al terraforming e all’ampliamento degli isolotti occupati, i paesi concorrenti si sono limitati a costruire su isole già esistenti.

I PERICOLI DI UN CONFRONTO DEL GENERE –

L’attività cinese non è quindi intrinsecamente diversa da quella dei concorrenti, anche se è decisamente più vistosa e massiccia, e non pone in pericolo immediato uno status quo che ha portato a qualche confronto teso tra le marine dei diversi paesi, ma nessun incidente di rilievo negli ultimi decenni. Il pericolo di un incidente resta però incombente, anche perché la questione eccita i nazionalisti in quasi tutti i paesi coinvolti, al punto che in occasione di una delle ultime liti tra vietnamiti e cinesi, in Vietnam si sono avute manifestazioni e aggressioni contro le aziende cinesi che producono in loco. Anche se una guerra aperta per le isole resta improbabile, ma il rischio d’incidenti dalle conseguenze sgradevoli e sanguinose resta sempre dietro l’angolo.