Clemente Russo, lo scippo di Rio dopo la rapina di Pechino: un’ingiustizia insopportabile
10/08/2016 di Boris Sollazzo
CLEMENTE RUSSO –
Due volte nella stessa vita. E se ci mettiamo il primo round molto discusso di Londra, chiudiamo il puzzle di una carriera straordinaria che alle Olimpiadi ha incontrato sempre l’incompetenza di giudici mediocri (e forse anche altro, ma non vogliamo neanche pensarlo). Clemente Russo alle Olimpiadi di Rio si ferma ai quarti di finale di fronte al colosso Evgeny Tishchenko, campione vero che denunciava con gli occhi il disagio di una vittoria che sapeva essergli stata servita su un piatto d’argento da tre uomini che hanno visto un altro match.
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Non entreremo nei dettagli di quel primo round vinto senza ombre dall’italiano e assegnato all’unanimità (!) al russo, né in quella seconda ripresa che lo ha visto portare sette colpi al russo e al massimo poteva essere consegnata a Russo con un verdetto non unanime (e sarebbe stato comunque scandaloso). Non ci dilungheremo su come lo scippo dei due round iniziali possa aver cambiato la strategia dell’italiano nella terza ripresa e così condizionato in maniera determinante il match.
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No, vogliamo inchiodare uno sport alle sue responsabilità. Una federazione internazionale che da decenni cambia regolamenti e punteggi con la spregiudicatezza che in ambito sportivo troviamo solo in Ecclestone nell’automobilismo, di una nobile arte insultata da giudici mediocri e influenzabili che appaiono grotteschi e inadeguati in un mondo che alla tecnologia ha consegnato un’imparzialità che qui viene costantemente tradita. Il pugilato e in particolare quello dilettantistico (ma sarebbe meglio definirlo dilettantesco, perché fuori dal ring tale è) è sacrificio e poesia, è tecnica e grinta, è potenza e strategia. E’ talento, laddove nel professionismo spesso si gioca su doti di resistenza e potenza che spesso coprono lacune.
E che Clemente Russo, il migliore degli ultimi 10 anni nella sua categoria – praticamente da quando ha cambiato categoria di peso, diventando un massimo -, che l’unico pugile che sia entrato nell’immaginario collettivo degli addetti ai lavori (pensate a Don King che lo ha definito “The White Hope” o al Tatanka (de)scritto da Saviano) e dei tifosi non abbia un oro olimpico al collo è una vergogna. Perché nelle ultime tre olimpiadi i combattimenti più belli, serrati ed emozionanti li ha regalati questo ragazzo di Marcianise, ai mondiali (quelli leggendari di Chicago e Almaty su tutti) come alle Olimpiadi. Una macchia insopportabile nella storia della boxe, perché il percorso olimpico di Russo è costellato di ingiustizie.
Nessuno restituirà l’oro che meritava al pugile di Marcianise. E forse non ne ha bisogno: la sua straordinaria carriera è già da oro, sul suo petto c’è una storia sportiva che nessuno potrà togliergli. E che manchi il metallo olimpico più prezioso alla sua bacheca, che nelle manifestazioni a cinque cerchi non abbia mai sentito l’inno italiano, che l’albo d’oro non riporti il suo nome in questa manifestazione conta poco. Immaginiamo la sua rabbia, ora, oggi. E nei prossimi giorni. Abbiamo ancora nel cuore, nella testa e nella pancia il suo sguardo di Pechino, così come quello più maturo e amareggiato di questo 2016. Ma rimane un campionissimo.
Ora, però, la FIP ne faccia un simbolo. Tre Olimpiadi in cui il suo miglior pugile non è mai stato tutelato (e in una di queste, Londra 2012, ha avuto la stessa sorte anche Cammarelle) sono la dimostrazione plastica di un’impotenza politica di una federazione mai capace di farsi rispettare. Laddove spadroneggiano altre realtà internazionali, noi non abbiamo mai avuto la capacità di far pesare la nostra storia, il nostro valore e tutto ciò che ha dato alla nobile arte. Parlano i sorteggi di sei atleti su sette qui a Rio, così come fu ridicolo nella sua estrema difficoltà il tabellone di Russo nei mondiali di Milano. Da Nardiello nel 1988, abbiamo visto piccole e grandi storture costellare la boxe italiana, nell’imbarazzante silenzio di dirigenti capaci, neanche sempre, di presentare ricorsi di facciata.
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Damiani che continua a ripetere la parola “furto” (e lui sa che vuol dire). Gli occhi disillusi di Russo. Solo chi è dentro al ring o all’angolo ha il coraggio di dire la verità. In nome di chissà quale risiko di potere chi dovrebbe sostenerli e proteggerli non parla, non protesta. Continua a insultare il loro talento. “Dove sono gli esperti? Avete visto che è successo? Oggi anche chi non capisce un cavolo di pugilato ha visto che avevo vinto. Nel secondo round ho messo a segno dai sette ai dieci colpi, lui mi ha toccato solo di striscio. Dal 2012 in poi è ricominciato lo schifo di prima, del resto i giudici sono uomini”. Ecco le parole di Russo. Un atto di accusa forte: a chi, invidioso, lo ha raccontato (e persino lui non ha avuto la faccia tosta di non ammettere che fosse uno scippo la vittoria di Tischenko), a chi lo ha giudicato, a una Federazione, mondiale e italiana, che non meritava i suoi 4 anni di sacrifici, di vittorie, di imprese. Lo sport merita rispetto, i campioni come Russo ancora di più. Parliamo di un uomo che a Milano ha staccato il pass olimpico con un braccio solo, combattendo con un infortunio che ad altri avrebbe impedito persino di salire sul ring.
Questa boxe non ti merita Clemente Russo. Questa classe dirigente non è degna di te. E francamente se queste sono le Olimpiadi, un oro a cinque cerchi, in questa disciplina, conta nulla.
Noi possiamo solo ringraziarti Clemente. Sei la nostra medaglia d’oro, ragazzo. Sei il nostro eroe, l’eroe del popolo, il popolo che non ha paura di essere orgoglioso di un campione vero, sempre capace di dire ciò che pensava, di combattere contro tutto e tutti (compresi coloro che dovrebbero essere i suoi alleati). Siamo orgogliosi di te Clemente Russo.
E Clemente Russo, grazie, grazie di tutto. Hai solo una colpa: aver avuto l’ingenuità dei puri, aver creduto che questo sport fosse pulito. Pulito come te, campione. Perché questo non te lo toglierà mai nessuno: qualcuno conquisterà un oro senza valore il 16 agosto, ma il campione rimarrai tu.