Cobain: Montage of Heck – La recensione del film

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Il film, in arrivo nelle sale italiane il 28 e il 29 aprile, racconta la vita del leader dei Nirvana, morto suicida 21 anni fa

«Hey… vieni… voglio mostrarti una cosa» con questa promessa il regista Brett Morgen accompagna lo spettatore in un torbido viaggio nel cervello di Kurt Cobain, ripercorrendo cronologicamente i trascorsi più intimi del leader dei Nirvana.



Morgen racconta la storia di un sorriso. Il sorriso di un bambino angelico, troppo vivace per la pazienza di sua madre e di come quel sorriso si sia spento arrendendosi all’umiliazione. Perché è proprio il costante senso di umiliazione, fortemente sofferto da Cobain, a fare da fil rouge in tutta la pellicola. «Kurt non sopportava il fatto di sentirsi umiliato» racconta il bassista e migliore amico Krist Novoselic, ripercorrendone l’infanzia; dalla separazione dei genitori alla dipendenza da eroina, che fu causa e soluzione dei suoi continui dolori allo stomaco.



Il docu-film, prodotto dalla figlia di Kurt, Frances Bean, descrive senza filtri la vita del cantautore che odiava il successo più di quanto odiasse se stesso. Senza filtri perché a raccontare Cobain è proprio lui stesso, con una sterminata collezione di disegni, pagine del diario e filmini casalinghi. Morgen elimina qualsiasi tipo di intermediazione tra lo spettatore e l’attore, regalando a chi assiste gli stessi sentimenti di nausea e alienazione che caratterizzavano Cobain, e ci riesce facendo susseguire disegni, animazioni e disegni che si animano, rendendo il tutto splendidamente fastidioso. Sono Wendy e Donald Cobain a raccontare il loro divorzio, un trauma che l’angioletto di Aberdeen non è mai riuscito a superare. «Per qualche ragione me ne vergognavo – racconta lui stesso in un’intervista poco prima di suicidarsi -, mi vergognavo dei miei genitori. Non riuscivo più a guardare in faccia alcuni dei miei compagni di scuola perché desideravo disperatamente avere una famiglia normale. Mamma, papà. Volevo quel tipo di sicurezza, e lo rinfacciai ai miei genitori per parecchi anni».



Punto di svolta nel lungometraggio e nella vita del protagonista, l’irruzione di Courtney Love, che fu per Cobain quello che Yoko Ono fu per John Lennon. Con le dovute differenze. Compagna di vita e di droghe, Courtney fu il suo più grande amore, almeno finché non mise alla luce Frances Bean, che portò la coppia a fare i conti tra l’amore per l’eroina e quello per la figlia. Un contrasto che durò fino alla fine, almeno per Kurt. «Il suo sogno» racconta la Love «era mettere da parte tre milioni di dollari e diventare un tossico». A tempo pieno.

Dispiace la grande assenza di Dave Grohl, il batterista che si unì al gruppo nel 1990, ora leader dei Foo Fighters. Tra lui e Courtney Love non è mai corso buon sangue e il suo racconto lascia un vuoto abbastanza consistente nella trama.

Montage of Heck è un film profondo e intimo che abbraccia a tutto tondo il rapporto tra Kurt e Courtney. Manca un atmosfera di contesto, ma Morgen riesce a far respirare il grunge senza mai nominarlo. Con le sue due ore e venti minuti la pellicola è decisamente troppo lunga per essere un documentario, ma troppo bella per essere “soltanto” un film.

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