Come funziona il potere delle lobby in America

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Al centro della politica Usa c'è un'area grigia nella quale comanda chi può spendere di più. E così i gruppi d'interesse comandano. Anche oltreoceano

I lobbysti statunitensi non hanno una bella fama, ma non sembrano esserne preoccupati perché la loro funzione appare insostituibile in un sistema politico che privilegia chi paga di più.



IL DATABASE – Arrivano già prima delle nove di mattina, i lobbysti alla Casa Bianca. Un’armata di persone con gli agganci giusti, che vende a caro prezzo a chiunque voglia farsi strada fino all’esecutivo per provare ad imporre una legge o un regolamento che favorisca i suoi interessi. Oggi, grazie ad alcuni provvedimenti presi dal presidente Obama è abbastanza facile tracciare il flusso che di visitatori interessati che raggiunge ogni giorno la Casa Bianca, l’Old Executive Office Building, il New Executive Office Building o la residenza del vice presidente, ma si tratta comunque di dati che lasciano il tempo che trovano, anche se il Washington Post si è dato parecchio da fare incrociando i nomi dei visitatori con gli elenchi dei lobbysti e ottenere così una fotografia dell’insieme e costruito un database nel quale è possibile ritracciare questi particolari visitatori.

VINCONO I DEMOCRATICI – Fotografia abbastanza scontata, nella quale s’osserva che i lobbysti più vicini ai democratici visitano oggi la Casa Bianca molto di più i quanto non facciano quelli di area repubblicana, perché la sorpresa sarebbe stata scoprire il contrario. Obama, nel tentativo di mostrarsi intento a limitare il fenomeno, ha cambiato alcune regole, vietando ai lobbysti di entrare a far parte dell’esecutivo o dei suoi advisory board, proibendo ai dipendenti federali di accettare inviti gratuiti a eventi e conferenze sponsrizzate dai gruppi che si dedicano a promuovere interessi particolari presso l’amministrazione. Iniziative lodevoli, ma di facciata, non tanto perché il cambiamento sia poco significativo al di là del significato politico e d’immagine, quanto perché l’industria americana della lobby non ne ha risentito molto. Il cambio d’amministrazione ha ovviamente messo in difficoltà quanti avevano accesso preferenziale agli uomini di Bush, ma relativamente, visto che al Congresso c’è una maggioranza repubblicana e nessuno si è mai sognato di usare il pugno di ferro contro un’attività che negli Stati Uniti è considerara allo stesso tempo utile e a cavallo della linea, che ha Washington è sottilissima, che divide il lecito dall’illecito.



I FACCENDIERI – Il fenomeno non è sconosciuto nemmeno alle nostre latitudini, dove però chi esercita lo stesso mestiere, per lo più battitori liberi, spesso è riconosciuto con il termine di “faccendiere” e quasi mai con quello di lobbysta. La questione attiene il differente approccio al finanziamento della politica, ma anche una differente visione della politica. Negli Stati Uniti il fenomeno offrirebbe ai cittadini e ai gruppi d’interesse di competere liberamente per l’attenzione dei politici, una competizione che vede inevitabilmente vincitori quelli con gli aggangi giusti e con la possibilità di spendere, contraccabbiando l’interessamento con soldi, posti di lavoro per funzionari e parenti, generosi contributi alle campagne elettorali dei politici. Che in certi stati accodandosi a un preciso mix d’interessi riescono a mantenere i seggi attraverso i decenni.



UNA FORTUNA – Essere uno dei deputati di riferimento delle lobby delle armi o di quelle del settore dell’energia garantisce una carriera priva di scossoni e la certezza della rielezione, oltre all’appartenenza a un club molto coeso di conservatori che hanno tutta l’aria di voler fare gli interessi dell’ormai famoso 1% di americani più ricchi. E non potrebbe essere diversamente, perché la peculiare struttura dei partiti e dei meccanismi elettorali apre le porte della politica solo a candidati cooptati e già più che benestanti, perché le campagne elettorali negli Stati Uniti sono roba da ricchi, per i repubblicani come per i democratici, e quasi sempre sono vinte da quello che può spendere di più.

LA SPIRALE – Si genera così un circolo vizioso che non diventa virtuoso solo perché i portatori d’interessi più diffusi, come le tante ONG e associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani e civili vi prendono parte. Anche perché tale e tanta è la pressione corporate sulla politica americana che oggi buona parte di tale associazioni sono in effetti dei cavalli di troia costituiti da chi ha interessi opposti. Esemplare ad esempio è l’esistenza di un gran numero di associazioni “ecoogiste” che fanno lobbying a Washington fornendo ai legislatori idee e argomenti utili a non danneggiare l’interesse dei petrolieri. Gli stessi che sostengono queste avventure e strapagano i rari “scienziati” che si prestano a inventare o a sostenere fantasie da opporre agli avversari.

IL CONGRESSO VENDUTO – Il grosso del problema, a dispetto delle decisioni prese da Obama, riguarda e assemblee legislative, il Congresso su tutte, perché lì che i lobbysti e i loro clienti picchiano duro, spesso arrivando a spadroneggiare. Sono noti i casi di gruppi d’interesse sostenuti da alcune multinazionali chiaramente schierate sul fronte conservatore che funzionano da ufficio legislativo sussidiario e che producono leggi che saranno invariabilmente approvate nei diversi stati dove comandano i repubblicani. L’idea d’insegnare il creazionismo a scuola come le leggi che espandono sempre di più il diritto a portae armi e alla legittima difesa fino al punto da scriminare chi spari e uccida un altro uomo solo perchè teme che questo lo aggredisca escono da questa macchina ben rodata e si diffondono prima attraverso gli Stati e poi arrivano a bussare la Congresso.

VINCE CHI HA I SOLDI – Non è un caso che i portatori d’interessi che possono spendere di più ottengano di più, i lobbysti vendono la loro preziosa capacità di arrivare alle orecchie e al cuore dei governanti al miglior offerente e così trionfa inevitabilmente il più ricco. Si tratta di un modello che secondo gli americani è perfettamente compatibile con la competizione democratica tra i portatori d’interessi diversi, ma non sfugge come questa attività e lo stesso accesso alla politica passino attraverso il censo e non attraverso il sostegno del maggior numero di teste, come democrazia comanderebbe.

NELL’UNIONE – Anche in Europa il fenomeno esiste e ha un suo spessore, a Bruxelles i lobbysti che attendono al varco funzionari e legislatori della UE sono parecchie migliaia e quasi 3.000 gruppi d’interesse hanno una sede permanente a nella capitale belga. Diversa però è la composizione di questa armata, rispetto a quella accampata alle porte di Washington, perché qui non ci sono in ballo le campagne elettorali, i destini delle quali resta affidato ai rispettivi partiti nazionali, e perché quegli stessi interessi debbono prima trovare alleati continentali per avere qualche speranza d’influire sul serio. Circa il 32% ei lobbysti europei sono espressione delle federazioni del commercio, il 20% consulenti, il 13% emanazione diretta di qualche compagnia, l’11% ONG, il 10% associazioni a carattere nazionale, il 6% a carattere regionale e il 5% a organizzazion internazionali.

UN MONDO SIMILE, MA DIVERSO – Una differenza abbastanza marcata dalla fotografia dei lobbysti americani, che non disdegnano nemmeno di farsi portatori d’interessi stranieri, spesso platealmente in contrasto con quelli dei cittadini americani. Capita ad esempio con la lunga teoria di dittatori che si rivolgono alle migliori e più potenti agenzie, quelle che oltre alla benevolenza dell’amministrazione hanno il medesimo tipo d’accesso ai media e possono far celebrare le virtù di governanti dal pessimo pedigree o mettere il silenziatore alla denuncia dei loro crimini, non è un caso che il tiranno del Bahrein insieme  quello della repressione abbia impennato anche gli investimenti in “immagine” e lobbying a Washington. Un esempio perfetto di come funziona la poitica quando il suo finanziamento diventa una questione tra privati.