Contratti per adesione, cambia tutto

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Più tutele dall'Antitrust. Ma senza reali poteri di intervento. Il nuovo assetto delle clausole vessatorie dopo il decreto Cresci Italia.

C’era una volta il contratto. Due parti si accordavano per scambiare, accordandosi, beni e servizi. Il classico esempio è quello della vendita, della serrata contrattazione al ribasso e al rialzo da entrambe le parti, fino ad un punto di equilibrio finale, definitivo. Solo un altro dei migliaia di momenti che, raccolti insieme, vanno a disegnare l’incessante macchina della circolazione delle merci.



PASSATO E FUTURO – Solo che, da molto tempo, non è più così. E il governo di Mario Monti ha posto recentemente mano ad una disciplina che da tempo punta ad aiutare il cliente nella sua vita in un mercato squilibrato dalla parte delle aziende: quella dei contratti per adesione, o contratti di massa. Qualcosa con cui il consumatore medio si trova a fare i conti – e a lottare, meglio – ogni giorno, anche senza saperne nulla: come vedremo, però, la legge pone dei rilevanti rimedi a favore del cittadino, e il governo italiano li ha appena ulteriormente potenziati. Nella società di massa la contrattazione su un livello paritario fra venditore, fornitore di servizi o di merci, e compratore, cittadino, è praticamente scomparsa; relegata alla contrattazione per la frutta al mercato, per i parei comprati dagli ambulanti sulle spiagge, per comprare la consolle usata dall’amico o dall’amica. Nessuno si sogna di entrare da Media World, in una concessionaria di automobili, di chiamare la Telecom e contrattare il prezzo di un computer, di una Fiat Panda o di un abbonamento tutto compreso. Il prezzo è quello, prendere o lasciare. Le condizioni pure.

ADERISCO – Si chiamano “contratti per adesione” e consistono nello squilibrio fra le due parti. Una delle due è costretta, semplicemente, ad accettare le condizioni proposte dall’altra: secondo la normativa europea, che da 10 anni si occupa di queste figure economico-giuridiche, si tratta del rapporto che intercorre fra un “professionista” e un “consumatore”. Non più due “contraenti”, dunque, ma fin dall’inizio una situazione in cui le parti sono squilibrate a favore di chi può permettersi di non contrattare affatto, data la grandezza della sua organizzazione, la complessità dei meccanismi produttivi, la capillarità dei sistemi di distribuzione di merci e servizi. Si propone sul mercato e chiede “adesione”.



SOCIETA’ DI MASSA – Spesso attraverso i cosiddetti “moduli o formulari” predisposti: sono i cosiddetti “contratti conclusi per adesione alle condizioni generali di contratto” di cui parlano gli articoli 1341-1342 del codice civile: si tratta di due articoli distinti che finiscono per disciplinare, nella prassi quotidiana, qualcosa di assolutamente coincidente, i contratti a condizioni generali predisposti su moduli indefinitamente replicabili, ovvero i “contratti di massa”. Qualcosa che non è difficile incontrare nella nostra prassi quotidiana: tutte le automobili dello stesso tipo vendute allo stesso prezzo dalla stessa casa madre a un numero indefinito di clienti; lo stesso abbonamento venduto a un numero indefinito di utenti. Per i beni materiali, non stupisce che questo sistema vada a mancare nel mercato dell’usato: lì, la contrattazione avviene effettivamente fra pari.

RISCHI E DIFESE – Il rischio, individuato dalla normativa europea già anni fa e opportunamente recepito nella normativa italiana nel cosiddetto Codice di Consumo, è che il fornitore di beni o servizi abusi della sua posizione “prendere o lasciare” e inserisca nel contratto una serie di condizioni particolarmente sfavorevoli per il consumatore: le cosiddette “clausole vessatorie”. La normativa europea, recepita in quella italiana, disciplina in materia molto dura questo tipo di clausole: sono radicalmente nulle, dichiarate così d’ufficio da parte del giudice anche in sede di prima cognizione – impianto confermato da una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea – e vanno dunque disapplicate. Il resto del contratto può rimanere “in vita” se queste clausole, disapplicate, non ne pregiudicano radicalmente il funzionamento. Vedremo fra un momento come le recenti scelte del governo italiano di Mario Monti abbiano modificato, integrato e, si potrebbe dire, potenziato, questo tipo di assetto.



VESSAZIONI – Ma quali sono queste clausole vessatorie? Secondo il codice civile sono, riassuntivamente, quelle che “stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità,  facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni , restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi , tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie  o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”. Ad esempio, quest’ultimo caso si realizza quando il contratto sposta il foro competente per le controversie in un luogo lontano dalla residenza del consumatore, costringendolo a lunghi viaggi per farsi valere; pesanti penale per la recessione unilaterale; rinnovazione o proroga tacita, possibilità di modifica unilaterale del contratto da parte del professionista, riduzione dei termini per la contestazione, prezzo da pagare maggiorato al momento della consegna…. Piccole frasi, le famose “scritte in piccolo” che per fretta o incuria i consumatori non leggevano (leggono?) firmando in blocco un contratto per essi svantaggioso.

COME FUNZIONA – La normativa europea elaborata nel 1993 andava incontro a questi consumatori “sbadati” fornendogli un rimedio molto efficace: la nullità, radicale, delle clausole che il professionista potesse predisporre contro di loro. Sostanzialmente, dunque, l’assetto precedente alla riforma Monti concedeva al consumatore la facoltà di impugnare il contratto davanti al giudice che avrebbe rilevato la vessatorietà della clausola e, così, disposto la non applicazione della stessa. Non che i professionisti, le aziende e le grandi imprese dunque, non avessero da tempo trovato il modo per aggirare quest’obbligo: la prova della non-vessatorietà della clausola è addossata al professionista convenuto in giudizio, che, se dimostra che quella specifica clausola, pur vessatoria, è stata contrattata e accettata dal consumatore, non subisce nessuna penalizzazione.

LA DISCIPLINA – Ecco spiegata la pratica della “doppia firma” per cui in un modulo, contratto formulario, il consumatore deve firmare due o più volte: una volta per il contratto in generale, e le volte successive per certificare la propria adesione volontaria a quella determinata clausola vessatoria. La riforma del decreto “Cresci Italia”, quello sulle liberalizzazioni, aggiunge al Codice del Consumo – il testo unico che recepisce le indicazioni europee in materia di consumatori – un articolo 37-bis che istituisce un procedimento amministrativo di dichiarazione della vessatorietà di una clausola presso l’Antitrust.

LA NUOVA DISCIPLINA – Su impulso di chiunque dunque, privati cittadini compresi, l’Antitrust può accedere ad un contratto, convocare il professionista in questione e invitarlo a presentare le sue argomentazioni (pesanti multe per mancata ottemperanza o informazioni fallaci); dopo il contraddittorio, l’autorità ha la facoltà di dichiarare la clausola che il consumatore lamenta “vessatoria” e di dare ampia visibilità a questa dichiarazione sul proprio sito internet. Non solo: i professionisti, o le associazioni di professionisti, potranno rivolgersi in via preventiva al garante per sottoporgli una clausola in predisposizione, per conoscere preventivamente se essa sia o non sia vessatoria.

IN PRATICA – Facciamo dunque un esempio. Poniamo che io entri in un grande negozio di elettronica e sottoscriva l’acquisto di un elettrodomestico, magari accedendo anche ad una possibilità di finanziamento. Mi verranno fatti firmare due contratti piuttosto voluminosi – uno per la lavatrice, uno per il finanziamento – con plurime ipotesi di queste “doppie firme” per l’accettazione esplicita delle clausole vessatorie. Supponiamo che, pur avendo io firmato tutto, mi accorga che il contratto è nettamente a mio sfavore e che vi sia, ad esempio, una clausola che mi impone di dirigermi a Torino per impugnare il contratto. Con il contratto in mano (è sempre fondamentale tenerne una copia) posso adire l’Antitrust (attraverso uno dei moduli o via email, come spiegato nella pagina apposita) e far dichiarare la vessatorietà di questa clausola inclusa nel contratto di vendita o in quello di finanziamento (magari in entrambe): per poi far sì che al mio contratto non si applichi la clausola in questione dovrò comunque dirigermi presso il giudice ordinario, che, magari appoggiandosi sulla decisione dell’Antitrust, potrà dichiararne la nullità.

I CAMBIAMENTI – Si possono fare una miriade di esempi: il contratto firmato in uno degli shop delle compagnie telefoniche per un nuovo piano tariffario che comprende una penale esosa in caso di cambio gestore; un contratto stipulato con un prestatore di servizi che per qualsiasi reclamo faccia sottoscrivere un tempo brevissimo per i reclami. Cosa cambia dunque per il consumatore? Poco e molto allo stesso tempo. Molto, perché il governo Monti fornisce al consumatore (e anche alle potenti associazioni del consumo, che spesso hanno dimostrato di poter far sentire una importante voce in queste vicende) un’arma relativamente svelta che può risultare in un danno di immagine non indifferente per il professionista coinvolto: se un contratto predisposto da Telecom finisse per risultare vessatorio, e questa dichiarazione arrivasse ad avere ampia rilevanza sulla stampa, sicuramente qualcosa si smuoverebbe. L’Autorità garante, però, non ha il potere di dichiarare le clausole nulle: questo potere spetta al giudice. E in questo senso la riforma cambia poco il quadro della normativa, perché in ogni caso il consumatore dovrebbe rivolgersi alla magistratura ordinaria. Ma se l’Antitrust avesse già stabilito la vessatorietà della clausola, il giudice ordinario avrebbe la possibilità di accedere a questo giudizio e porlo alla base della sua pronuncia. La parola del garante non sarebbe in nessun modo vincolante per il giudice: di certo, però, non potrà non essere rilevante.