COP21, dieci giorni per salvare il mondo

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21 è il numero che indica la ventunesima volta in 23 nella quale i governi del mondo cercano di mettersi d’accordo per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi nel 2100. Un obiettivo che molti giudicano già mancato irrimediabilmente, ma anche un limite oltre il quale gli scienziati non sono in grado di immaginare cose potrebbe succedere al nostro pianeta, alle specie che lo abitano e alla sua atmosfera.



IL CLIMA E IL TERRORE –

La cifra delle conferenze COP è quella del fallimento, non stupisce quindi che il presidente Hollande abbia colto l’occasione per coprire con lo spettro del terrorismo parte della delusione che inevitabilmente seguirà la conferenza. Gli attacchi di Parigi hanno fornito il pretesto perfetto per vietare le manifestazioni e in Francia sono stati operati persino degli arresti preventivi giustificati dallo stato d’emergenza antiterrorismo, nessuno dei quali però ha visto confinare qualche islamista radicale. Ad essere colpiti sono stati ambientalisti ed ecologisti, persone che mai hanno dato segno di prediligere il terrorismo come mezzo per l’avanzamento delle proprie istanze, quelli che poi sono i principali esclusi dal summit. Dopo aver proibito le manifestazioni civili durante la COP21ecco che il ministro dell’Interno ha messo ai domiciliari Joel Domenjoud, responsabile del team legale della Coalizione Francese COP21. Domenjoud come altri è ora obbligato a firmare tre volte al giorno al commissariato. Secondo la Coalizione: «Se avevamo bisogno di una conferma che lo stato d’emergenza è un pericolo per la libertà pubbliche, questa misura ne costituisce una prova, rivelando che la lotta al terrorismo viene usata come pretesto per vietare tutte le voci dissonanti. Come avevamo già denunciato, lo stato d’emergenza si accompagna a misure sempre più arbitrarie. Chiediamo con forza di togliere immediatamente i domiciliari a Joel Domenjoud». Colpiti anche gli anarchici che hanno provato a sfidare il divieto e che sono stati immediatamente criminalizzati con la ridicola accusa di aver dissacrato il memoriale per le vittime degli attacchi, che in numerose immagini si vede invece calpestato con noncuranza dalla polizia francese. Scelta diversa per l’associazione che ha promosso la protesta silenziosa, Avaaz, che dai social network ha invitato tutti a «prendere un paio di scarpe, scriverci su il proprio nome, disegnarci e inserire un messaggio di speranza per il futuro. Non potremo manifestare in carne e ossa, ma questa azione altamente simbolica sarà in grado di trasmettere il messaggio che siamo uniti per difendere tutto ciò che amiamo. È il nostro modo di dire che la paura e il terrore non potranno mai ridurre a silenzio il nostro sogno collettivo per un futuro pulito al cento per cento, unito al centro per cento». Poi fine delle proteste, almeno per ora.



CHI PARTECIPA AL VERTICE –

La particolarità di  COP21 (qui il sito ufficiale) è infatti quella che pur essendo un vertice per la salvezza del mondo dagli effetti dell’inquinamento, non prevede la presenza delle associazioni ecologiste, trattandosi in effetti di un negoziato strano e finora inconcludente tra le industrie inquinanti e i paesi più inquinanti, chiamati a mettersi d’accordo tra di loro in un quadro nel quale nessuno vuole rinunciare ai profitti offerti dallo sfruttamento delle energie di origine fossile e nemmeno al loro contributo allo «sviluppo». I negoziati tra l’altro sono per lo più segreti e i testi sono assemblati e discussi da delegazioni nelle quali i confini tra i rappresentanti dell’industria e quelli governativi sono sempre più sfumati. Poca o nessuna voce in capitolo avranno i parlamenti, chiamati al massimo a posteriori a ratificare un accordo già sottoscritto e tessuto negli anni da centinaia d’incontri tra i rappresentanti dell’industria e quelli dei governi, che spesso coincidono. Saranno circa 40mila i delegati in rappresentanza di 195 Paesi (196 con l’Ue), di associazioni e organizzazioni non governative, riuniti a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre per la  Conferenza delle Parti (Cop21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Il punto fondamentale del negoziato è rappresentato dal fatto che il ruolo delle energie rinnovabili, nonostante un evidente boom degli investimenti nel settore, non può che andare a compensare una domanda che nel 2050 dovrebbe essere aumentata del 30% rispetto a oggi. Ancora di più se lo scenario resterà simile a quello di oggi, con i prezzi di gas e petrolio abbattuti dall’improvvisa abbondanza regalata dalle nuove tecniche estrattive. Darsi nuovi e stringenti limiti alle emissioni significa condannarsi a meno «sviluppo» o a uno sviluppo diverso, che ha potenti oppositori.

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Il presidente francese Hollande, il ministro per, l’ecologia, lo sviluppo sostenibile e l’energia, Segolene Royal, e la cancelliera tedesca Merkel (Photo credit MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)

 COSA S’ATTENDE DAL VERTICE –

L’aspettativa teorica è quella per un accordo universale e vincolante nella lotta ai cambiamenti climatici che permetta contenere il riscaldamento globale entro i 2° di aumento alla data del 2100. Presentato come l’ultima spiaggia per il pianeta difficilmente potrà onorare un’aspettativa tanto alta, se una accordo vedrà la luce è facile che si tratti di un dispositivo simile al protocollo di Kyoto, scarsamente vincolante, non universsale e decisamente al di sotto delle esigenze, che reclamerebbero una tagli netto e significativo delle emissioni ovunque a livello globale e in particolare un taglio netto all’utilizzo del carbone come fonte energetica, che è ancora oggi a fonte fonte fossile più utilizzata e il consumo del quale tende all’aumento invece che alla riduzione. La sfida è nel tirare dentro a qualsiasi accordo i giganti che finora vi si sono sottratti, Cina, India, Stati Uniti e Russia sono i paesi che più hanno da sacrificare sul tavolo di COP21, mentre gli europei faranno la parte dei virtuosi, anche se le virtù dell’Europa, unico continente a ridurre realmente consumi ed emissioni, discendono per lo più dall’aver spostato le produzioni più energivore e inquinanti in Cina, dove i limiti di Kyoto non valevano e dove s’è visto com’è finita, con la fabbrica-mondo immersa nello smog asfissiante com’era un tempo per Londra, Los Angeles o la Pianura Padana.

LA STORIA DELLE COP –

La storia della conferenza comincia a Rio de Janeiro nel 1992ed è da lì che si traccia il primo testo che riconosce l’esistenza dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo e assegna ai Paesi industrializzati la maggior parte della responsabilità nel fronteggiarli. Nel 1997 sarà COP3 a dare alla luce il Protocollo di Kyoto, il primo testo che pone obiettivi di riduzione delle emissioni per alcuni paesi industrializzati, che però entrerà in vigore solo nel 2005 ed è scaduto nel 2012. Nel 2007 a Bali si era stabilita una road map per arrivare a un nuovo accordo nel 2009, ma la COP15 di Copenhagen va a vuoto e così le successive fino a oggi, quando non è ancora chiaro cosa, a parte una maggiore urgenza, possa spingere i rappresentanti dei paesi e delle industrie interessate ad assumere impegni che finora hanno fuggito come la peste. L’unico accenno di coscienza comune si è avuto con l’istituzione del Green Climate Fund, che altro non è che un fondo finanziario a sostegno delle azioni di mitigazione degli effetti del globl warming. Un intervento palliativo sulle conseguenze e niente che tocchi le cause. Nel 2012 la conferenza di Doha ha visto entrare in vigore un secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2013-2020), ratificato da una parte dei paesi industrializzati, un impegno che significa tra l’altro che eventuali impegni presi oggi entreranno in vigore dal 2020. L’obiettivo del contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 2°, che è un’enormità, è lontano dall’essere ottimale, ma tiene conto del fatto che prima d’invertire la tendenza assisteremmo al dispiegarsi dei danni già fatti finora ed è piazzato ottimisticamente al confine raggiunto dai modelli predittivi a disposizione degli scienziati, che per aumenti superiori passano a invocare l’imprevedibile, catastrofe compresa. Si tratta di un limite simbolico, ma non troppo, visto che tutti gli scienziati sono abbastanza concordi che oltre quella soglia si potrebbero innescare fenomeni imprevedibili quanto devastanti su scala planetaria, fenomeni che si teme potrebbero rivelarsi irreversibili. I capi di governo sono quindi attesi ad annunciare grossi sacrifici in nome del bene comune, se vogliono davvero fornire una risposta efficace alla minaccia, ma che questo accada per ora è considerata un’ipotesi difficilmente realizzabile.