Cosa succede dopo la bocciatura della Fini-Giovanardi

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Se qualcuno pensa che cassata la legge si siano risolti i problemi di una legge criminogena e liberticida si sbaglia di grosso

Cassata la Fini-Giovanardi si torna alla Craxi-Jervolino-Vassalli del 1990, una legge percepita all’epoca come criminogena e liberticida, tanto da sollecitare il referendum che nel 1993 sancì un alleggerimento delle pene per i consumatori.



BOCCIATA NEL METODO – La Corte Costituzionale ha cassato quella che è definita come legge Fini-Giovanardi per un motivo tecnico. Aveva infatti visto la luce infilata abusivamente in un decreto che riguardava le olimpiadi invernali di Torino e questa furbata alla fine è arrivata al pettine dei giudici supremi ed è stata dichiarata illegittima. La legge, un esteso articolato, era stata compressa entro gli stretti confini dell’articolo 4 della legge sulle olimpiadi, che poi si apriva a svelare un articolato prolisso e complesso, un’anomalia anche alla vista, 95944 caratteri per l’articolo 4 sui 110.822 totali che componevano i sei articoli presenti nella «Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonchè la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309». Un mostro anche agli occhi di un profano.



CI HANNO PROVATO – Lo sapevano che non si fa in quel modo, la disciplina costituzionale non lascia dubbi ed è consolidata, ma l’arroganza e il disprezzo per le regole della pattuglia che allora sedeva in parlamento sotto l’ala protettiva di Silvio Berlusconi ha portato a identico destino moltissimi provvedimenti, mentre la sua ardita riforma costituzionale è invece stata macellata dal referendum confermativo del 2006. Ben prima dei giudici sono stati quindi i cittadini a sanzionare questo modo di procedere decisionista e poco rispettoso del dettato costituzionale, per non dire delle opinioni della maggioranza dei cittadini sui temi più delicati, quelli etici su tutti. Un dettaglio che la narrazione berlusconiana omette e s’intuisce il motivo, il centrodestra capitanato da Silvio non è che abbia mancato di fare le riforme perché impedito dai giudici o da altri che abusavano dei propri poteri a suo danno, le riforme le ha fatte, gli italiani le hanno valutate e sonoramente bocciate.

PUNIRE E PUNIRE – Lo stesso si può dire per la Fini-Giovanardi, che aveva il suo peccato originale nell’inasprire le pene per consumatori e venditori di droghe leggere, andando così in direzione opposta a quanto sancito dagli italiani nel referendum del 1993, dove si erano espressi nettamente per la non punibilità dei consumatori di droghe leggere. La legge ora cassata ha stabilito infatti l’abolizione della distinzione tra droghe leggere e pesanti, equiparando agli effetti della legge esistente le prime alle seconde e inasprendo le pene. La Craxi-Jervolino-Vassalli del 1990 era considerata una creatura di Vincenzo Muccioli, indimenticato e vulcanico gestore di comunità di recupero e figura molto controversa, che la volle fortissimamente. Fu anche sponsorizzata dall’allora capo del governo che ci teneva a mostrarsi decisionista e duro con la criminalità, anche se di lì a poco avrebbe dovuto scappare dal paese e concludere i suoi giorni da latitante, in un mesto e rancoroso esilio in Tunisia, ospite del locale dittatore.



LE PENE – Con questi presupposti fu quasi naturale che ne risultasse una legge fortemente liberticida, tanto che ai tempi 1/3 dei detenuti era in quella condizione per condanne rimediate grazie a quella legge. Con le modifiche successive si è arrivati a un picco di detenuti per droga di 27.459 nel 2011 e secondo gli esperti, i detenuti per reati legati alle droghe leggere sono il 40% di quelli in carcere per la legge in materia di stupefacenti.Oggi si torna quindi al vecchio regime e questo comporterà una riduzione delle pene per il possesso e anche per lo spaccio di hashish e marijuana. Prima la pena prevista andava dai 6 ai 20 anni per il possesso di qualunque sostanza, ora la pena per il possesso di droghe leggere oltre i limiti concessi per il consumo personale torna a essere compresa tra i 2 e i 6 anni. Una differenza decisiva, perché la condanna minima non porta automaticamente in carcere. In secondo luogo cambia il regime dell’uso personale, quello depenalizzato dal referendum del ’93,  che non è più «esclusivo» ma può essere, in linea teorica, anche di gruppo.

IL DIAVOLO NEI DETTAGLI – La legislazione precedente aveva infatti una concezione di uso personale più elastica, la Fini-Giovanardi parlava invece di «consumo esclusivamente personale», una differenza che ha comportato una stretta repressiva nei confronti dei consumatori. Se prima era considerato personale anche il consumo di gruppo, e conseguentemente anche l’acquisto di gruppo, l’aggiunta della parola «esclusivamente» è servita a depotenziare gli effetti positivi del referendum del ’93 e una giurisprudenza e una prassi che tendevano ormai a lasciare fuori dal circuito penale i consumatori, anche se detentori di dosi superiori al vago limite quantitativo che segnava il limite tra uso personale e spaccio. La giurisprudenza si era orientata a valutare tutte le circostanze per decidere chi fossero gli spacciatori e quali i consumatori, la Fini-Giovanardi introdusse allora limiti molto più netti, anche se non del tutto privi di elasticità. La legge è stata invece clemente stato nell’abbassare il minimo della pena per spaccio di droghe pesanti da 8 a 6 (ora tornerà a 8), perché da un lato l’equiparazione permetteva di condannare alla galera certa anche gli spacciatori, veri o presunti, di droghe leggere, ma otto anni devono essere sembrati uno sproposito anche agli estensori. Di sicuro, rivolgendo la mente i grandi «mercanti di morte» che tutti dicono di voler combattere, si nota che a loro fu fatto uno sconto.

IL MENU DELLE PENE – Oltre alle misure penali però le due leggi esibiscono anche un discreto arsenale di sanzioni amministrative, notevolmente potenziato dalla seconda, per la quale la sospensione del passaporto, la sospensione della patente di guida, o il divieto di conseguirla, nonché la sospensione del porto d’armi e i  programmi terapeutici e socio-riabilitativi dovevano avere durata compresa tra «un minimo di un mese ed un massimo di un anno». Per la legge precedente le sanzioni amministrative avevano durata compresa tra uno e tre mesi nel caso di droghe leggere e tra due e quattro mesi, nel caso di droghe pesanti e rimanevano a discrezione dell’autorità. Quella che non cambia insomma è l’idea di punire comunque il consumatore, anche se non con la sanzione penale, e di punire comunque lo spaccio, ovvero la detenzione e il commercio di sostanze che non è reato consumare. Un controsenso evidente, ma libertari come Craxi e Berlusconi non ci hanno trovato niente di male, era un prezzo che erano disposti a far pagare ai poveri cristi per dimostrare agli occhi dell’elettorato di riferimento di avere gli attributi, figurarsi poi il dinamico duo Fini-Giovanardi, che per storia e cultura non è libertario nemmeno per finta.

LA GALERA C’È ANCORA – Il problema, ora come allora, è che tutte le volte che un consumatore è punito come se fosse uno spacciatore si consuma una notevole ingiustizia e questo non cambierà dopo la sentenza della Consulta, persone come Aldo Bianzino rischiano ancora di essere arrestate e trattate come criminali. Lo spettro di una condanna non evapora, basta qualche decina di grammi per incorrere in una condanna che, anche se non porterà i rei in carcere, diventerà un precedente facendo del condannato un pregiudicato. Per i consumatori di droghe pesanti che dovessero essere inquadrati come spacciatori, il minimo della pena sale invece da 6 a 8. Otto anni che ad esempio potrebbe prendere il ragazzino che compra extasy per sé e per uno o più amici, come minimo.

ANCORA PUNIZIONI – E non evapora neppure lo spettro delle altre sanzioni amministrative, che è bene ricordare non sono legate a circostanze tipiche, perché la patente ai conducenti colti alla guida sotto effetto di sostanze psicotrope la tolgono comunque in virtù di una legge che riserva pene precise e pesanti a chi guida in quelle condizioni. Curiosamente il timore di torme di drogati al volante è spesso evocato dai fautori della repressione, come se queste leggi non esistessero e non fossero più severe di quelle che puniscono e punivano il semplice possesso. Ai consumatori di sostanze vietate invece tolgono la patente o il passaporto come punizione un comportamento che non è reato, ma che è punito lo stesso per soddisfare quelli convinti da tizi come Giovanardi che «la droga» sia più o meno una famiglia di sostanze malvagie dotate di superpoteri, che esistono solo per corrompere la società.

PUNIRE O NON PUNIRE – La limitata portata del quesito referendario del 1993 ha lasciato intonsa la possibilità di erogare sanzioni amministrative e i legislatori del 2006 vi si sono infilati con entusiasmo, ma la sentenza della Consulta di ieri non risolve il peccato originale della legge del 1990, che è quello di essere una legge proibizionista inutile e criminogena come tutti i proibizionismi e ben poco hanno potuto nel limitare i danni le pezze messe nel tempo dalle corti superiori. La decisione della Corte Costituzionale porterà alla liberazione o a sconti di pena per migliaia di persone semplicemente perché il numero dei consumatori di droghe leggere è molto superiore e ridurre le pene, per dare un’idea «l’indagine 2013 sulla popolazione studentesca (su un campione di 34.385 soggetti di età compresa tra i 15-19 anni) ha rilevato le seguenti percentuali di consumatori (una o più volte negli ultimi 12 mesi): cannabis 21.43%, cocaina 2,01%, eroina 0,33%, stimolanti metamfetamine e/o ecstasy 1,33% e allucinogeni 2,08%».Se anche le condanne per le droghe leggere finiscono per ridursi, il loro numero resterà imponente nei confronti delle condanne legate ad altre sostanze.

LA LIBERALIZZAZIONE DELLA CANNABIS – Numeri che rendono evidente la dimensione del fenomeno che queste leggi criminalizzano. Un fenomeno che si riassume nel consumo di massa di una sostanza nota per essere molto meno nociva e pericolosa di altre in libera vendita, gli alcolici su tutti, che viene criminalizzato fuor da ogni logica per puro e semplice pregiudizio ideologico. I cavalli di battaglia di politici come Giovanardi sono vecchi ronzini sui quali si continua a puntare per mancanza d’alternative, ormai abbandonati persino dai grandi alfieri americani del proibizionismo. Fenomeno che è nato proprio negli Stati Uniti e che Washington ha fatto di tutto per imporre al resto del pianeta, arrivando a dichiarare la War on Drug, che magari era un pretesto per coprire attività ancora meno presentabili, ma che oggi comunque è stata dichiarata persa e inutile da tutti, dall’ONU in giù. Tanto che persino negli Stati Uniti è partita la corsa alla legalizzazione della cannabis, unica soluzione razionale e sensata.

NOI NO – In Italia invece no, anche le più recenti proposte di modifica della legge ormai defunta, non vanno oltre la limatura della legge bocciata. E il governo Letta ha schierato l’Avvocatura dello Stato a difesa della legge cassata. Resta il proibizionismo più ottuso per droghe pesanti e leggere, con pene pesantissime per le prime che continueranno a far finire in carcere i ragazzini beccati mentre vanno a ballare con polveri e pastiglie in tasca, resta la punizione per lo spaccio di droghe leggere e si pensa di «aprire» all’autoproduzione quasi che questa sia alla portata di tutti e ce possa soddisfare la domanda. Che è un po’ come autorizzare la produzione in proprio di alcolici e vietarne il commercio pur consentendone il consumo, un’assurdità auto-evidente, che pure viene spacciata come un progresso nella direzione giusta.

CON MOLTA CALMA – Sono passati 24 anni dalla Craxi-Jervolino-Vassalli, 21 dal referendum, 8 dall’apparire della Fini-Giovanardi e ancora l’orizzonte di tutti i partiti presenti in parlamento è lo stesso, quello di giungere a limature poco più che cosmetiche di una legge orrenda. Manca il coraggio di abbracciare la legalizzazione immediata della cannabis, manca il coraggio di guardare la realtà delle tossicodipendenze con la volontà di ridurre i danni che soffrono i tossicodipendenti e non con quella di chi mira a colpire altri perché ne disapprova la condizione o le scelte di vita. Un limite ancora meno sopportabile se si pensa che negli ultimi venti anni e più non esiste un solo sondaggio che abbia restituito altro che una netta maggioranza a favore della non punibilità del consumo, alla quale non si può certo arrivare continuando a confinare nell’illegalità le sostanze psicotrope e le azioni di chi, se mai le vuole consumare, le deve giocoforza acquistare, trasportare e conservare o trovare chi lo faccia per lui. Tra i partiti in parlamento solo SEL si è pronunciata a favore della legalizzazione, anche se poi si è accodata alla posizione del PD, che dalla proposta poi depositata si attestava su posizioni che sono state superate di slancio dalla sentenza della Consulta. Posizione perfettamente riassunta poi nella dichiarazione con la quale il neo-segretario dello stesso partito ha tracciato la sua linea programmatica in materia: «Mi pare schizofrenico un paese in cui si passa dal proibizionismo più totale alla liberalizzazione delle droghe leggere. Iniziamo a cambiare la Fini-Giovanardi che è una leggiaccia, rimettiamo la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e mettiamo in prova chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere». Il segretario del principale partito progressista (per dire) è già rimasto spiazzato, perché «chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere» non andrà in prova, ma a casa e perché il suo programma è già stato realizzato con il ritorno alla pur orribile Craxi-Jervolino-Vassalli.

OCCASIONI PERSE – La Consulta ci ha messo molto meno di quanto non ci abbiano messo quelli che in teoria si sono sempre opposti a leggi del genere e che non le hanno riformate di corsa nemmeno quando avrebbero potuto, anche se per agire ha dovuto attendere che qualcuno piazzasse il ricorso giusto e ce n’è voluto. Anche per questo chi è finito in prigione con le legge bocciata ha poco da recriminare, se all’epoca l’avessero presentata nei modi dovuti la legge sarebbe ancora tra noi, non è stata dichiarata ingiusta la legge, ma il modo nel quale è stato promulgato, che non fu determinante, tanto che poi il decreto fu convertito in legge e sostenuto da una maggioranza. Hanno invece ragione d’esultare quanti vedranno la loro pena ridotta o quanti vedranno il loro reato estinto dal ritorno ai vecchi termini di prescrizione, dilatati dalla furia antidroga della legge bocciata, ma nemmeno loro potranno dirsi contenti di un mutato orientamento della giurisprudenza o del legislatore, che non c’è e non è nemmeno all’orizzonte visibile, a meno che prima o poi non ci arrivi addosso il vento del cambiamento americano.

CHI PAGA? – La politica invece è rimasta inattiva per decenni consumando un inutile teatrino alle spalle di una maggioranza degli italiani che per lo stesso tempo è stata favorevole alla depenalizzazione quanto alla legalizzazione. E questo nonostante l’enorme costo sociale imposto al paese e a decine di migliaia di famiglie, gravate dal peso dei processi, quando non dal dramma della carcerazione, per un reato-non-reato che non minaccia i diritti altrui e che senza la repressione statale potrebbe essere trattato con estrema civiltà e assenza d’ipocrisia con enormi vantaggi per la collettività, visto che ne trarrebbero giovamento sia la salute dei consumatori che l’amministrazione della giustizia, sia per il calo dei carichi di lavoro che per la riduzione dei reati indotti da una repressione che spinge senza necessità i consumatori a contatto con il tessuto criminale. Non pare per niente schizofrenico un paese che prenda atto della storia degli ultimi decenni e della lezione che la somma maestra di vita ci ha impartito a proposito dell’efficacia del proibizionismo, sia assoluto o temperato da eccezioni che lascino spazio alla clemenza come quelle presentate dai nostri legislatori nel menù preposto al castigo dei drogati. Perché di questo in fondo si tratta, di punizioni del tutto arbitrarie, sancite al solo fine di soddisfare le pulsioni moraleggianti di un’Italia immaginaria che non ha più corrispondenza nel paese reale da più di vent’anni e che in tutta evidenza sopravvive solo nei riflessi condizionati e nell’inerzia dei media e della politica.