Cosa succede se cade il governo

Uno dei meriti che può essere attribuito al governo insediatosi lo scorso 28 aprile è certamente quello di aver ridato fiducia all’intero sistema economico del Paese e di aver, di conseguenza, contribuito alla diffusione di un nuovo clima positivo capace di avere ripercussioni perfino sui principali indicatori finanziari del Paese. A parlare di un vento cambiato nella direzione giusta, infatti, non sono solo gli interventi di esperti e osservatori, ma anche alcuni dati ufficiali di istituti di statistica e indici di Borsa.

 

Via Caetani - Commemorazione omicidio Aldo Moro

 

LA SFIDUCIA E L’INCERTEZZA – In economia, si sa, le aspettative hanno un peso rilevante. Soprattutto quando la recessione soffoca i consumi e gli investimenti e aumenta a dismisura l’insofferenza dei più deboli. Ed è facile prevedere come una possibile caduta (e mancata riconferma) del governo in carica (e la conseguente instabilità politica) può ristabilire l’incertezza di tutti gli operatori del mercato, dai consumatori agli investitori, dagli imprenditori ai loro dipendenti, proprio sulla base delle mutate aspettative. Per fare un esempio banale, se l’esecutivo trova un accordo per la riduzione di una tassa (come avvenuto per l’Imu sulla prima casa) si innesca automaticamente una maggiore fiducia sia dei consumatori (che hanno maggiore disponibilità di spesa) che degli imprenditori (nel nostro caso quelli che hanno costruito abitazioni e quelli che potrebbero trarre benefici dai maggiori consumi dei clienti). Ma, al contrario, se la realizzazione del progetto del governo diventa incerto, può succedere che i consumatori, pur avendo maggiore disponibilità finanziaria, decidano di mantenere bassi i consumi per coprirsi dal rischio che la tassa eliminata venga successivamente reintrodotta. Il discorso, ovviamente, è più complesso. Ma l’esempio può essere senz’altro utile.

LA BORSA – Le preoccupazioni e le certezze e incertezze del comune cittadino sono anche quelle dell’azienda che fattura diversi milioni di euro e delle banche d’affari straniere che regolarmente, comprando i nostri titoli di Stato, ci prestano denaro consentendo l’acquisto di beni e servizi e il pagamento di stipendi e pensioni. Per scoprire quanto le larghe intese (complice anche l’andamento – negli ultimi mesi meno drammatico – della congiuntura economica) abbiano rappresentato una palese iniezione di fiducia è possibile, ad esempio, osservare l’andamento del Ftse Mib, il paniere delle 40 più grandi società quotate alla Borsa di Milano, che ha ripreso a muoversi seguendo gli indici azioniari stranieri (il tedesco Dax 30 cresce regolarmente da almeno 2 anni). Oggi il Ftse Mib segna circa 17mila punti mentre nell’estate del 2012 oscillava intorno ai 13-14mila punti (15mila lo scorso aprile). Lo sa bene anche Berlusconi, il grande (possibile) protagonista della crisi di governo, la cui holding televisiva, Mediaset, ha conquistato in un anno a Piazza Affari circa il 100% del suo valore.

LO SPREAD – La fiducia può valere milioni di euro anche sul fronte spread, che rappresenta la questione più frequentemente sollevata da chi teme le elezioni anticipate. Quando, nel novembre 2011, alla fine dell’esperienza di governo di Berlusconi, il tasso di interesse sui titoli decennali italiani ha sfiorato gli 8 punti percentuali, siamo seriamente andati vicini a chiedere aiuti internazionali per scongiurare il rischio di insolvenza. Se gli investitori stranieri cominciano a non fidarsi di un paese (è proprio la lezione che abbiamo imparato due anni fa) cresce inevitabilmente il prezzo da pagare (il tasso d’interesse sul debito) per convincere gli stessi a continuare ad acquistare i nostri titoli. Il problema è che i circa 90 miliardi di euro (per la precisione 89 nel 2012) di soli interessi che paghiamo su quella montagna di 2mila miliardi di debito pubblico non costituiscono esattamente una garanzia di atteggiamento rigoroso del debitore. E, se aumentano i tassi d’interesse (e quindi lo spread tra titoli italiani ed omologhi tedeschi) crescono anche i maggiori costi finanziari per le famiglie e le piccole e medie imprese (il vero motore dell’economia). Secondo alcuni studiosi 100 punti base di aumento del differenziale tra Btp decennali e Bund decennali si traducono nel giro di tre mesi in un rincaro di circa 50 punti base sui tassi d’interesse applicati alle imprese e di circa 30 sui tassi pagati dalle famiglie per i mutui. Si stima, inoltre, che un aumento di un punto percentuale su tutto il debito possa costare nel medio lungo periodo una spesa aggiuntiva (chissà quanto sostenibile) di circa 20 miliardi di euro.

LA PREOCCUPAZIONE – Si tratta di numeri amari che i vertici delle istituzioni conoscono benissimo. Il presidente della Repubblica nelle ultime settimane ripete che in caso di caduta del governo Letta «i contraccolpi a nostro danno, nelle relazioni internazionali e nei mercati finanziari, si vedrebbero subito e potrebbero risultare irrecuperabili». E’ la stessa riflessione del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, che tre giorni fa al meeting di Cernobbio ha dichiarato: «Il primo impatto sarebbe sui mercati finanziari. Temo un aumento dei tassi di interesse e un riacutizzarsi dello spread, che significa maggiori oneri per gli italiani». Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, dal canto suo, infine, ha rilevato che «se cade il governo 20 provvedimenti di grande rilievo sono in discussione in Parlamento».

LE RIFORME – Già, perché la questione è anche politica. Mentre i cittadini colpiti da una disoccupazione record e da un potere d’acquisto in continuo calo attendono risposte concrete ai loro bisogni, rischia di essere vanificato il piano che i partiti hanno messo a punto per riformare le istituzioni e le loro strutture decisionali. Al di là dei decreti legge approvati in Consiglio dei ministri e trasformati (o da trasformare ancora) definitivamente in legge, agli atti del Parlamento (in qualche caso già all’esame dell’aula) sono finiti i disegni di legge governativi per la riforma delle costituzione, dei partiti e degli enti pubblici. Il 5 settembre scorso è stato assegnato alla commissione Affari Costituzionali del Senato il ddl governativo che istituisce le città metropolitane e istituisce le unioni di fusioni di comuni e un ddl per l’abolizione delle province. In aula a Palazzo Madama è arrivato invece, il progetto di legge che traccia la road map per la riforme della Costituzione e il superamento del bicameralismo perfetto (da varare entro il 2015). All’esame dell’assemblea di Montecitorio, infine, è finito il ddl per l’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, le disposizioni per la trasparenza e la democraticità, la disciplina della contribuzione volontaria. Tutto alla vigilia del semetre italiano di presidenza Ue. La partita, insomma, è più delicata che mai.

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