Costa Concordia: la tragedia nel racconto dei sopravvissuti
13/05/2014 di Redazione
Abbandonati a se stessi. Le testimonianze dei sopravvissuti della Costa Concordia, nel corso della nuova udienza del processo di Grosseto all’ex comandante Francesco Schettino, stanno ricostruendo le ore drammatiche passate a bordo dai passeggeri, dopo il naufragio della nave da crociera. Un disastro avvenuto il 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia urtò contro gli scogli al largo dell’Isola del Giglio.
PROCESSO COSTA CONCORDIA: IL RACCONTO DEI NAUFRAGHI – Diciotto sono i passeggeri che stanno deponendo nel processo, ricordando quelle ore di disperazione e le responsabilità dell’equipaggio nella gestione dell’emergenza. Nonostante fosse atteso al processo, non si era presentato ieri il timoniere indonesiano della Costa Concordia, Jacob Rusli Bin. Al contrario, l’ufficiale di coperta Silvia Coronica si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Entrambi si trovavano nella plancia di comando al momento dell’impatto, insieme all’imputato Francesco Schettino.Avevano già patteggiato condanne per omicidio colposo, lesioni colpose e naufragio colposo. Era stata la Cassazione, il 13 gennaio, a confermarle, rendendole definitive: venti mesi per Jacob Rusli Bin, timoniere della nave, 18 per Silvia Coronica, ufficiale di plancia. Ma non solo: 23 mesi di reclusione erano stati decisi per Ciro Ambrosio (ufficiale di plancia), 30 mesi per Manrico Giampedroni (hotel director della Concordia) e a 34 mesi per Roberto Ferrarini (capo unità di crisi Costa Crociere). Mancate le deposizioni di Blin e Coronica, si era passati già ieri alle testimonianze dei naufraghi, che hanno ricordato come le informazioni fornite dall’equipaggio fossero state insufficienti. «Ci dicevano di tornare in cabina, ma era una trappola e corremmo verso l’esterno per scappare», hanno ricordato i primi testimoni. Altri hanno sottolineato le responsabilità di chi avrebbe dovuto salvaguardare i passeggeri: «Nessuno ci diceva cosa fare, c’erano soltanto camerieri in divisa», hanno spiegato altri sopravvissuti.
Anche oggi le deposizioni hanno sottolineato il clima di confusione generale, dopo il naufragio della Concordia. C’è chi ha raccontato di aver salvato la propria figlia dalla calca: «La nave si inclinava sempre di più. Ma l’unica cosa a cui pensavo era proteggere mia figlia di 4 anni. Ho cercato di metterla al sicuro, farle da scudo. La gente spingeva da ogni parte, avevo paura di schiacciarla», ha spiegato Walter Cosentini, a bordo della nave da crociera. Per poi aggiungere: «Ho dato mia figlia a uno che era sopra di noi, ma con mia moglie la perdemmo di vista. Mia moglie strisciando andò a cercarla, si tagliò tutta la schiena, ma la ritrovò». Non senza ricordare come, man mano che «la nave cominciava a inclinarsi», i passeggeri iniziarono a scivolare. «Raggiungemmo la parete-vetrata, ormai diventata pavimento», ha concluso.
«COSÌ HO SALVATO MIA FIGLIA» – Tra i testimoni, anche Debora Incutti ha svelato di essere riuscita a salvare sua figlia affidandola a un marinaio: «Misi in tasca della bimba la carta d’identità, in modo tale che, quando avesse raggiunto terra, potessero identificarla». Ma non solo: la sopravvissuta ha svelato le risse per avere i giubbotti salvagente, così come il posto nelle scialuppe di salvataggio. «Alcuni passeggeri tiravano pugni per salire. Scene da film», ha ricordato, sottolineando come tutta la sua famiglia sia ancora in cura da psicologi, nonostante siano passati due anni dal disastro. Non è stata l’unica a spiegare di soffrire ancora oggi per attacchi di panico e stati di ansia.
Il PERSONALE DI BORDO NON DIEDE ASSISTENZA – Non mancano le richieste di risarcimento. C’è chi, come Domenico Garritano, ha chiesto un milione di euro: per salvare la consorte dalla calca, si era infortunato a un tendine e a una spalla. Ma nei racconti di tutti i testimoni è emerso un dato comune: la mancata assistenza da parte del personale di bordo durante la tragedia, assente.