Crocifisso in ospedale, c’è chi dice no: “Toglietelo!”
25/10/2010 di Redazione
Ennio Montesi, scrittore anticlericale, si è trovato degente nella struttura di Jesi: appesa al muro, la statuina. E ha scritto a Napolitano.
Nuova puntata dello scontro Stato-Chiesa giocato sulle pareti delle stanze: il crocifisso nei luoghi pubblici continua a far discutere. La nuova puntata dell’annosa querelle si apre nelle Marche, a Jesi, dove Ennio Montesi, scrittore e militante anticlericale, è dovuto essere operato per un intervento chirurgico. Appeso al muro della corsia ospedaliera, Gesù in croce: e nessun modo per rimuoverlo.
LAICITA’ – A Montesi, stando alle parole in calce all’esposto ufficiale che egli ha indirizzato alla Procura, al Tribunale per i diritti del malato e alla presidenza della Repubblica, il crocifisso causava un fastidio ineliminabile: o lui usciva dalla stanza, o ne doveva uscire la figura appesa al muro. “Ho ripetutamente chiesto ad un infermiere e alla capo sala di rimuovere il “crocifisso” , addobbato nella camera n. 17 assegnatami, ma la mia richiesta non ha sortito alcun esito. Preso atto del diniego verbale ho richiesto formalmente la rimozione del simbolo religioso del “crocifisso” con istanza consegnata a mani della caposala”, ma senza esito alcuno. E la battaglia dei principi, per Montesi, è continuata per tutto il periodo della sua ospedalizzazione: “Non avendo ricevuto alcuna risposta in data 17/09/2010 ho reiterato la mia richiesta con istanza consegnata a mani di tale dott.ssa Lombardi della Direzione sanitaria. Neanche questa istanza è stata presa in considerazione e per tutta la durata della degenza ho dovuto subire l’imposizione forzata del simbolo religioso del “crocifisso” che non mi rappresenta, che offende la mia libertà di pensiero e che in ogni istante mi ricorda che la nostra Sovranità nazionale è limitata per essere stata parzialmente ceduta alla setta denominata “Chiesa cattolica” e allo Stato straniero del Vaticano dei quali non sono suddito essendo io sbattezzato”.
UNA SETTA – Una setta, una limitazione di sovranità, un ospedale pubblico che non garantirebbe i diritti costituzionali ad un malato non credente, afferma Montesi: “Si stava consumando nei miei confronti una discriminazione religiosa che, al pari del razzismo, è considerato grave reato penale. Le ho fatto inoltre notare che la mia lettera per la richiesta di rimozione del “crocifisso” faceva riferimento agli importanti articoli n. 3 e n.19 della Costituzione della Repubblica Italiana, faceva riferimento all’articolo n. 9 della Carta Internazionale per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo”. Ancora: “Ho aggiunto che nessuno poteva obbligarmi a subire un simbolo religioso in un luogo pubblico dal quale non potevo scegliere di andare via, in un luogo pubblico nel quale mi trovavo in stato di debilitazione fisica e morale perché ero in procinto di subire un delicato intervento chirurgico, che in quel contesto la mia libertà di pensiero avrebbe potuto trovare conforto solo nella assenza di simboli religiosi e che nelle strutture pubbliche questo diritto doveva essermi garantito”. E la vicenda, dalla battaglia ideale, rischiava di diventare, per somatizzazione, qualcosa di più serio, viste le condizioni cliniche del ricoverato: “Il diniego alla mia richiesta, mi ha procurato uno stato di angoscia, di stress e di indignazione come poche volte mi è capitato di provare nel corso della mia esistenza”, afferma Montesi. “Tutto questo è accaduto tra i miei prelievi del sangue e dell’urina, tra i vari controlli della mia pressione e temperatura corporea, visite mediche, inserimento dell’ago nel polso pronto per l’entrata in vena dei farmaci liquidi, fasi indispensabili prima della mia anestesia totale ed ingresso in sala operatoria. Il disagio e lo stress si sono ulteriormente aggravati quando, dopo essermi allontanato dal mio letto d’ospedale per svolgere alcuni esami clinici, al mio ritorno ho trovato sul comodino materiale cartaceo con orari di rituali cattolici, icone cattoliche di “madonne” con bambolotto in mano, di “santi” e di “martiri” e una filastrocca cattolica farneticante denominata “preghiera del malato” e altro materiale idoneo al proselitismo e all’indottrinamento cattolico”.
PROVVEDIMENTI – Non avendo ricevuto ascolto dalle strutture pubbliche presso le quali aveva cercato di far valere i suoi diritti, Montesi, autore dei “Racconti per non impazzire”, ha cercato di rivolgersi più in alto: “Poiché vivo in un Paese che si dichiara Laico, poiché ritengo di aver subito una ingiustificata discriminazione religiosa, poiché ritengo che gli atti posti in essere e sopra descritti integrino estremi di reato, poiché ritengo che vi sia stata la violazione dell’art. 3 della L.654/1975, chiedo alle alte Cariche e Autorità in indirizzo di adottare tutti i provvedimenti ritenuti opportuni a tutela dei miei diritti e nel contempo chiedo che siano puniti i responsabili della discriminazione religiosa posta in essere contro di me”: il suo esposto, come detto, è stato indirizzato addirittura al Colle più alto d’Italia. Dopo le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che condannavano il nostro paese per i crocefissi nelle aule scolastiche, in seguito al ricorso di una cittadina iscritta all’Uaar; dopo le minacce della Commissione Europea, intenzionata a far piena luce sulle esenzioni Ici garantite agli edifici di culto, una nuova puntata del caso-Crocifisso.