Mali: cosa sta succedendo e perché siamo in guerra

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Fino all'anno scorso il paese era uno dei più stabili e tranquilli del continente. L'intervento militare è subito stato battezzato sinistramente "l'Afghanistan della Francia". Ma a differenza dell'Afghanistan in Mali non si interviene contro il governo di un paese, ma in suo sostegno

La situazione in Mali è originale e non autorizza paragoni arditi con altri conflitti in corso. Dal 1992 al 20120 il Mali è stato uno dei paesi africani più stabili e con una democrazia discretamente funzionante. Nel 1991 il paese aveva vissuto la “rivoluzione di marzo” e all’epoca l’allora tenente colonnello Touré arrestò il dittatore Moussa Traoré, in seguito al rifiuto dell’esercito di sparare sulla folla e di continuare a sostenere il presidente-dittatore, che era andato al potere con un golpe nel  lontano 1968.



L’INIZIO – A gennaio del 2012 nella parte settentrionale del paese il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MLNA) ha cominciato una serie d’attacchi ai presidi dell’esercito. Attacchi modesti, tuttavia l’esercito a corto di mezzi subiva la sua iniziativa e a Bamako la politica non dava segno di preoccuparsi troppo, oscillando tra proclami bellicosi e offerte di dialogo ai ribelli.

IL GOLPE – Il 22 marzo i militari si sono ammutinati e in un golpe condotto dagli ufficiali più giovani guidati dal capitano Amadou Haya Sanogo ha rovesciato, a un mese dalle previste elezioni presidenziali,  proprio Amadou Toumani Touré, che dopo aver lasciato l’esercito era stato eletto nel 2007 alla presidenza. Un golpe non troppo violento, muore una persona e una quarantina rimangono ferite a Bamako, ma il vero danno è altrove.



L’INDIPENDENZA DELL’AZAWAD – A Bamako dopo il golpe accorrono e premono sia i leader dei paesi vicini membri con il Mali della CEDEAO, la comunità economica dell’Africa occidentale che la Francia, patrono coloniale del paese. È allora che nel Nord dl paese MLNA e Ansar Dine, un movimento d’ispirazione salafita predono il controllo dell’area, che già il primo aprile si può considerare strappata al controllo del governo centrale. Il 4 aprile lo MNLA dichiara con troppo ottimismo la fine delle operazioni militari e l’indipendenza dell’Azawad, come chiamano quella parte del Mali gli indipendentisti. Ovviamene l’Azawad non lo riconosce nessuno e in seguito si capirà che lo MLNA non è in grado di controllare neppure una porzione del territorio occupato, che settimana dopo settimana cade inesorabilmente nelle mani di Ansar Dine e dei suoi alleati, più o meno inquadrabili nell’AQMI, l’al Qaeda nel Maghreb.



CAMBIAMENTI AL POTERE – Nonostante gli stentorei e bellicosi proclami lo MLNA evapora letteralmente, e mano a mano che s’estende il dominio dei sui concorrenti e l’applicazione più estrema della legge islamica in stile talebano, anche la popolazione fugge in massa come e dove può e quelli che restano si devono abituare a un nuovo governo che, come i talebani, proibisce la musica e comincia a demolire gli antichissimi santuari islamici di Timbuctù, che considera eretici. La Francia all’epoca è distratta dalle presidenziali, Sarkozy non ha dato peso alla ribellione dello MNLA e il 6 maggio Hollande vince le elezioni, ereditando una crisi che peggiora ogni giorno.

I TALEBANI S’ALLARGANO – Il passare del tempo deprime il quadro, perché quella che era cominciata come una ribellione indipendista diventa l’esplicito progetto di un emirato islamico a Sud di Libia ed Algeria, da dove cominciano ad affluire qaedisti di diverse nazionalità e in particolare i veterani del GIA algerino, quelli sopravvissuti alla spietata repressione con la quale il regime di Algeri annegò il sorgere politico e militare dell’islamismo estremista nel paese in un bagno di sangue e di orrori.

OK ALL’ATTACCO – Passata l’estate c’era già il consenso per un intervento armato, che Parigi e Washington vollero all’epoca costruire sul modello dell’ultimo intervento in Somalia, dove la guerra che è riuscita a sradicare il gruppo degli shabaab che aveva preso il controllo della parte meridionale del paese è stato portato (quasi) a termine da una forza multinazionale africana con l’appoggio di un discreto numero di paesi occidentali, tra i quali appunto Stati Uniti e Francia.

L’ONU – La risoluzione 2085 dell’ONU, che ha visto la luce a ottobre, autorizzava appunto un intervento militare di questo tipo, a sloggiare i qaedisti dovevano essere gli africani, accompagnati dall’esercito maliano, come in Somalia gli uomini del Governo Federale Transitorio. Il problema principale era però rappresentato dal fatto che l’esercito maliano era da ricostituire e riarmare, in modo che potesse prendere in carico il prima possibile la sicurezza dei territori liberati dalla forza multinazionale. I qaedisti capiscono e mandano un video nel quale minacciano di uccidere un ostaggio francese nelle loro mani se la Francia darà il via all’attacco. Italia e Spagna si erano tolte dall’imbarazzo appena alla fine luglio, quando due cooperanti spagnoli e l’italiana Rossella Urru, dall’ottobre del 2011 nelle mani  del MUJAO. Anche per questo oggi il nostro paese può annunciare il suo appoggio logistico più a cuor leggero.

LA GUERRA A CAPODANNO – Le previsioni a quel tempo parlavano di un intervento che avrebbe dovuto cominciare in gennaio, nella capitale si sfilava dietro lo slogan “Tutti i soldati al fronte” e anche lo MLNA era ormai “pentito” e disposto a colloqui con il governo e ad accontentarsi dell’autonomia amministrativa all’ombra di Bamako per l’Azawad. All’epoca cominciarono anche le pressioni di Washington e Parigi su Algeri, che è la potenza militare regionale, perché si unisse alla compagnia, ma il governo algerino è sempre apparso riluttante. Non è un mistero che fosse contrario all’attacco al regime di Gheddafi ed era abbastanza chiaro che temesse che la guerra in Mali debordasse nel suo territorio attraverso il lunghissimo e incustodito confine che separa i due paesi. Cosa che puntualmente è avvenuta poco dopo il fischio d’inizio dell’intervento francese.

MA FORSE NO – I tempi africani però sono lunghi e allo scarso entusiasmo dei paesi vicini a lanciare i propri uomini in combattimento, si è aggiunto un secondo golpe l’undici dicembre a deporre il primo ministro che avrebbe dovuto traghettare il paese verso nuove elezioni. a portarlo a termine gli stessi militari autori del primo. A sostituirlo Django Sissoko, che è andato ad affiancare il presidente ad interim Dioncounda Traorécon ovvie ripercussioni sull’organizzazione dell’intervento, che secondo alcuni si sarebbe dovuto posporre inevitabilmente verso la fine dell’estate.

E INVECE SI – A togliere tutti dall’imbarazzo ci hanno pensato proprio i qaedisti, che con i primi giorni dell’anno hanno cominciando a muovere verso Sud e a puntare sulla capitale, iniziativa alla quale il presidente Traorè ha risposto chiedendo l’intervento della Francia che dopo poche ore era già sugli obbiettivi impegnata nei bombardamenti. Il consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato all’unanimità l’intervento e in pochi giorni hanno cominciato ad affluire nel paese le truppe dei paesi africani, mentre di fatto i francesi stanno conducendo all’attacco quel che c’è dell’esercito maliano.

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IL QUADRO LEGALE – Il quadro legale dell’intervento non pone grossi dubbi, già la risoluzione 2085 autorizzava la guerra contro gli occupanti dell’Azawad, i caveat e il disegno dell’intervento servivano più alla Francia per evitare accuse di colonialismo di ritorno e a soddisfare la dignità dei militari e dello stato maliano, che ad imporre modalità precise. Tanto più che la Francia non aveva bisogno di alcuna risoluzione per intervenire militarmente in piena legalità nel paese su invito del governo. Tra i due paesi c’è un accordo d’assistenza militare comune a quello che tante ex-colonie hanno con Parigi, accordi simili hanno legittimato negli anni scorsi gli interventi in Costa D’Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana e oltre. Tutte occasioni nelle quali la Francia è intervenuta e ha impegnato in combattimento rivoltosi e ribelli che a vario titolo cercavano di mettere in discussione i “legittimi” governi riconosciuti da Parigi. Nessuno di questi interventi ha mai provocato la minima reazione internazionale negativa, se n’è discusso in Francia e poco più.

HOLLANDE I GLI SCEICCHI – Appena a novembre Hollande escludeva un intervento diretto francese, ma si è dovuto ricredere di fronte all’ipotesi di vedere arrivare i qaedisti a Bamako. Qaedisti che secondo i servizi francesi sono finanziati dal Qatar e dagli stessi paesi del golfo che hanno finanziato formazioni simili intervenute in Libia e in Siria, ma anche autofinanziati attraverso i sequestri, e che non hanno avuto grosse difficoltà a procurarsi ogni genere d’arma grazie alla porosità dei confini e alla grande disponibilità d’armi nel continente, in particolare nella vicina Libia, da dove interi arsenali di Gheddafi avevano preso il volo durante la guerra che ha rovesciato la sua dittatura. Il silenzio della diplomazia dei paesi del Golfo sulla sorte del Mali dice più di mille parole e della vicinanza dell’AQMI al wahabismo che i sauditi e alcuni dei loro colleghi cercano di diffondere o imporre come e dove possono.

AFGHANISTAN?  – Pur nella sua originalità l’intervento è subito stato battezzato sinistramente “l’Afghanistan della Francia”, etichetta peraltro poco corretta , anche se con l’Afghanistan ha in comune il genere d’avversario, la dimensione del territorio da riconquistare e ora la dimensione d’intervento internazionale. Nella quale la parte del leone tocca alla Francia socialista che tanto aveva lamentato le guerre di Sarkozy,  non ultima la decisione con la quale cercò la fuga in avanti per offrirsi come il liberatore della Libia agli occhi del mondo, quasi a rimediare l’incauto sostegno  offerto pubblicamente dalla Francia al dittatore tunisino Ben Alì. La speranza dell’Eliseo è sicuramente per un esito alla libica più che per incubo in stile Kabul e non è chiaro perché nell’ottavo paese “musulmano” attaccato in pochi anni da paesi dell’Occidente dovrebbe andare come Afghanistan.

LE DIFFERENZE – A differenza dell’Afghanistan in Mali non si interviene contro il governo di un paese, ma in suo sostegno, non contro militanti locali, ma contro gruppi composti per lo più da stranieri che ai maliani vogliono imporre uno stile di vita talebano che da quelle parti non s’è mai visto e non appartiene culturalmente nemmeno all’Islam maggioritario nel paese, dove nessuno ad esempio si era mai sognato di vietare la musica, anche perché quella locale è uno dei pochi vanti del paese, che da sempre giace sul fondo della classifica tra i PMS, i Paesi Meno Sviluppati del pianeta. Un paese nel quale il consenso all’intervento francese tra i politici come tra la popolazione è elevatissimo ed evidente, nonostante nei paesi africani l’intervento degli ex colonizzatori sia tradizionalmente visto male, una differenza non di poco conto rispetto alla quasi totalità dei conflitti recenti.

CHI VINCE? – La Francia ha tutto da perdere e poco da guadagnare dall’intervento, l’attacco con il quale i qaedisti hanno velocemente risposto colpendo in Algeria a In Amenas, conferma che il network qaedista è ramificato e può colpire anche lontano dal Mali, facendo quindi temere per attentati o attacchi al cuore metropolitano della Francia. Un attacco, quello in Algeria, che però si potrebbe rivelare un errore rilevante da parte dei talebani del Maghreb, perché la rabbiosa reazione algerina lo ha vanificato facendo strage degli attaccanti, e degli ostaggi, ma anche e soprattutto perché l’azione avrà probabilmente l’effetto di trascinare nel conflitto un attore di primo livello come l’Algeria, che nell’interesse dei qaedisti era sicuramente meglio tenere fuori.

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