Debunking Emanuela Orlandi – 1

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Il “coté informativo” del caso della ragazza di cittadinanza vaticana scomparsa nel 1983 in circostanze misteriose passerà prima o poi alla storia come uno dei più grandi depistaggi mai effettuati nella pubblicistica italiana. I cui frutti avvelenati si scorgono ancora oggi.



If you go down to Willow Farm,
to look for butterflies, flutterbyes, gutterflies
Open your eyes, it’s full of surprise, everyone lies,
like the fox on the rocks,
and the musical box.
Yes, there’s Mum & Dad, and good and bad,
and everyone’s happy to be here.

“Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela […] non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso”. E’ il 3 luglio 1983, Emanuela Orlandi è scomparsa da appena 13 giorni quando papa Giovanni Paolo II dalla terrazza dell’Angelus pronuncia queste parole. Lui non lo sa, ma è proprio con il suo intervento che si mettono in moto una serie impressionante di agenzie di disinformazione professionali, che dapprima affiancano e poi superano quelle artigianali, in un turbinio di dichiarazioni e controdichiarazioni che, negli anni, chiameranno in causa i Lupi Grigi, la Stasi, il Kgb, lo Ior, Marcinkus, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la Banda della Magliana e il Banco Ambrosiano (certe cose sono come il nero: stanno bene su tutto). Eppure, al netto dei fiumi d’inchiostro e delle ormai innumerevoli puntate di “Chi l’ha visto?” dedicate alla vicenda, un’opera (sommaria) di debunking comincia a farsi necessaria. Se non altro, per sgomberare il campo da tutta una serie di “falsi miti” che ancora incrostano gli articoli di giornale e l’immaginario collettivo. Coprendo, di conseguenza, qualche “mistero non gaudioso” (cit.).

DALL’INIZIO – Della scomparsa di Emanuela Orlandi si sa poco fin dall’inizio. E’ il 22 giugno quando esce, in ritardo,da Porta Sant’Anna per andare alla scuola di musica, che si trova a un chilometro e mezzo in linea d’aria da casa sua, tra piazza delle Cinque Lune e S.Apollinare, a un tiro di schioppo da piazza Navona e dal Senato. Un vigile, Alfredo Sambuco, dice di averla vista proprio in Corso Risorgimento, parlare con un 35enne che scendeva da una Mercedes verde (metallizzato? Scuro? Cromato?), e andava dalla direzione opposta rispetto alla scuola. Dice che erano le 17, poi le 19 alla tv ben dieci anni dopo, e di nuovo le 17 poi. S’è sbagliato, ma è importante che se erano le 17, Emanuela poteva stare arrivando, se erano le 19 poteva star andandosene. Dice sempre Sambuco che il tizio ha una borsetta, e che Emanuela gli chiede dov’era la Sala Borromini, perché lui la conosce visto che una volta l’ha accompagnata alla Tappezzeria del Moro, per far riparare la custodia del flauto. Ma Ettore Orlandi, il padre oggi scomparso, a Pino Nicotri (“Mistero Vaticano“, pag. 23-30) ha detto: “Mio figlio Pietro e i suoi amici andarono a Piazza Madama pochissimi giorni dopo la scomparsa, e parlarono con il vigile Sambuco e il poliziotto Bosco. Parlando, è saltata fuori la storia di una ragazza che somigliava alle foto di Emanuela che Pietro aveva visto parlare con uno sconosciuto vicino a una Bmw. Se Sambuco dice che conosceva Emanuela, o mente o dice una cosa nuova. La faccenda della riparazione del flauto è un’invenzione: ce l’abbiamo portata noi”. Anche Bruno Bosco rende testimonianza, e parla per la prima volta della borsetta Avon contenente cosmetici, che ricalcherebbe la strategia di qualche altro fatto di sangue accaduto a Roma precedentemente (la tattica dell'”abbocco“).



CHI NE AVEVA PARLATO? – Un dato di fatto è qualcosa che è appurato. Uno che dice qualcosa non è un dato di fatto. O meglio, è un dato di fatto che qualcuno abbia detto qualcosa. Ma non è un dato di fatto quella cosa che ha detto, finché essa non è dimostrata. Finora, di dati di fatto non ce ne sono, se non dell’ultima specie di quello descritto. Dalla scuola, Emanuela telefona a casa; parla con una delle sorelle, Federica, e le dice che uno le ha promesso 375mila lire per distribuire prodotti delle sorelle Fontana al Salone Borromini, e viene all’uscita per sapere se può andarci. Le dice. Però combacia, se non fosse che questa storia, secondo Ettore, era già arrivata agli orecchi del vigile e del poliziotto tramite Pietro. Quindi non combacia. O meglio, combacia con quello che dice Emanuela. Quello che è accaduto realmente non lo sappiamo. All’uscita di scuola, Raffaella Monzi – un’altra studentessa – secondo la sua testimonianza raggiunge Emanuela, per aspettare con lei “l’uomo della Avon”. Poi se ne va, mentre le si avvicina “un’altra ragazza” – dirà lei – che le sembra un’altra allieva (Laura Casagrande); questa, però, negherà. Da quel momento la cittadina vaticana sparisce. Tutto qui.

O MEGLIO… – Poi comincia il manicomio. A casa Orlandi è subito allarme, e si può capire. Sabato 25 e domenica 26 chiama Pierluigi, che dice di avere 16 anni. Non esiste, a quanto se ne sa, trascrizione di questa telefonata. “Emanuela è viva e sta bene ma si vuole allontanare da casa per un po’. Tornerà presto”, dice, e aggiunge due particolari decisivi: cita la Avon e riferisce dell’idiosincrasia della ragazza per gli occhiali. Dopo questo, Pierluigi esce di scena e non ci torna più. Si presenta Giulio Gangi. Appena assunto al Sisde con il ruolo di coadiutore, arriva a casa dei genitori di Emanuela per cominciare un’indagine. E’ lì perché è legato da affettuosa amicizia con la figlia di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela; ma ai genitori non lo dice. Mette sotto controllo il telefono e opera una vera e propria perquisizione, ripetuta nei giorni seguenti. Motivo? Crede che Emanuela sia stata rapita da un’organizzazione criminale dedita alla prostituzione giovanile. Ma dice alla mamma che riavrà la figlia a breve, massimo in capo a qualche mese. Perché? Dirà poi che voleva rasserenarla” (Nicotri). Il 28 il telefono torna a squillare: è “Mario” . Ha un bar dalle parti di ponte Vittorio e vuole scagionare un suo amico rappresentante della Avon. Ha visto Emanuela. Si fa chiamare Barbara, è stufa della routine familiare ma tornerà alla fine dell’estate, per il matrimonio della sorella.



SIA CHIARO, EH…? – Fin qui, nessuno ha detto né tantomeno provato nulla. Le informazioni passate da Pierluigi e Mario potevano essere raccattate ovunque, persino spacciandosi per giornalisti o poliziotti e chiedendo ai compagni di scuola di Emanuela, o ai loro genitori. Il caso era già pubblico, ma il Papa non aveva ancora parlato. Arrivano i famosi manifesti, attaccati per tutta Roma, che diverranno simbolo. Ma nessuno sa, nessuno parla di rapimento. Eppure la segreteria di Stato vaticana dedica al caso un vertice segretissimo, al quale partecipano Casaroli, Somalo e Battista Re, secondo la sentenza del giudice istruttore Adele Rando. Nessuno ne parla, fino al 3 luglio quando lo fa il Papa. Apriti cielo. Passano 48 ore, e a volte basta poco per allestire un palco. Ecco la prima telefonata dell’AmeriCano. Alla famiglia? No, al Vaticano. “Teniamo in ostaggio la Orlandi, Pierluigi e Mario fanno parte della nostra organizzazione, vogliamo la liberazione di Ali Agça”. Detta un codice: 158. Attacca, aspetta un’ora o poco più, e chiama a casa Orlandi (dove risponde Meneguzzi), fa sentire una registrazione di una voce di bambina che dice “scuola convitto nazionale Vittorio Emanuele secondo…dovrei fare il terzo liceo quest’altr’anno..” a loop. E dice: “Funzionari vaticani non mancheranno di aver contatto con lei [il fischio di un treno copre le parole]”. Tutto questo non è pubblico. Su richiesta di Orlandi, il Vaticano prima nega e poi ammette la telefonata. La ribalta sui media non è cominciata.

THE SHOW MUST GO ON – E’ per questo che il 6 luglio un anonimo con voce giovanile telefona addirittura all’Ansa. Leggete con attenzione cosa dice: in realtà non sta parlando; sta dettando: “Stammi bene a sentire: noi abbiamo Emanuela Orlandi, la studentessa di musica. La libereremo soltanto quando sarà scarcerato Mehmet Alì Agça, l’attentatore del Papa. Testuale: con tutta l’inutilità delle due forme “la studentessa di musica” e “l’attentatore del Papa. Eppure i loro nomi sono sulla bocca di tutti. Ma chi ha composto il messaggio, probabilmente, non ha una grande opinione dei giornalisti. Oppure si vuole assicurare al mille per mille che si capisca tutto, anche se il telefonista si facesse prendere dall’emozione. Quello continua dicendo che non importa a quale gruppo appartiene, e dice al cronista di andare a piazza del Parlamento, dove il redattore trova una fotocopia della tessera d’iscrizione di Emanuella alla scuola di musica, e una ricevuta di pagamento, oltre a una frase (“con tanto affetto la vostra Emanuela”). Tutte fotocopie. Prove che Emanuela sia viva? La voce poteva essere stata registrata in un’altra occasione (anzi, pareva proprio che lo fosse, visto quel che diceva), e la scrittura imitata, visto che era abbastanza elementare. Però i documenti confermavano una cosa: che chi li aveva fatti ritrovare aveva avuto come minimo un contatto o con Emanuela, o con qualcuno che ci aveva avuto a che fare dopo la sparizione.

ACCA’ NISCIUNO E’ FESSO – Tutto si può dire dei preti, tranne che siano creduloni. Il giorno dopo il Messaggero dà conto dello scetticismo (non della Segreteria di stato, ma della Curia) “sulla matrice terroristica del presunto rapimento”. In più, si diffonde inquietantemente la falsa notizia che Ercole Orlandi sia andato in udienza dal Papa, con tanto di dichiarazione – “lui ci aiuterà” – completamente inventata. Lo stesso giorno l’Americano si fa risentire a casa Orlandi: riferisce qualche particolare decisivo sui gusti musicali della ragazza (“l’atto…il cantante favorito de la ragazza…Baglioni“); poi dovrebbe rispondere a una domanda fattagli attraverso i media dallo zio (lui non sa che lo è, crede sia il papà; importante: evidentemente non conosce Ettore di persona, altrimenti lo correggerebbe; anche per mostrare la geometrica potenza della sua organizzazione, che potrebbe così dire di avere spie ovunque), ma invece gli dice: “Mi hanno riferito che lei m’ha chiesto il lunedì dove è stata al ristorante… senta, signor Orlandi, io mi meraviglio di lei, questa non può essere una prova… capisce che noi poevamo pedinare la ragazza prima di…de prelievo [e saperlo, evidentemente]…”. Poi invece una prova gliela dà: “…ragazza tua piace un ragazzo di nome Alberto che ora militare. Ascolta, non dire queste cose ai giornalisti, questo mi avere chiesto tua figliola, come una forma di pudore”.

CHE FAI, CAMBI DISCORSO? – L’amerikano così evita di replicare a una domanda della quale non sa una risposta, ma dice un’altra cosa del presente della Orlandi, vera, che lo accredita come rapitore. Chiede di non divulgare, per volontà della Orlandi (dice), ma l’effetto è che così magari chi l’ha confidata a lui non viene sapere che serviva per questo. Chissà. Comunque sono tutti elementi che ruotano attorno alla scuola di musica: la tessera d’iscrizione, il filarino, eccetera. E l’8 luglio chiamano proprio una studentessa della scuola di musica Laura Casagrande, il cui numero compariva sull’elenco del telefono. Ma Laura aveva anche dato il suo numero a Emanuela proprio il giorno della sparizione (Nicotri, pagg. 26 e 46). Questo lo farà notare il telefonista all’Ansa in una telefonata successiva, che dovrebbe essere “prova” della sua attendibilità. Dice che rivendicano tre contatti: le prime due telefonate dell’americano e quella “dettata” all’Ansa. Non l’ultima, sempre dell’Americano, a casa Orlandi. Dicono che non hanno sollecitato l’intervento del Papa, e che la chiave della trattativa non è una sigla. Chiede ancora la liberazione di Agça. Nomina anche Pertini, indirettamente: quindi sa che il terrorista turco non è sotto la giurisdizione del Vaticano. Fa un riferimento a una città della Germania Orientale, avvalorando così implicitamente la “pista dell’Est” nell’attentato al Papa.

STO BENE QUI, GRAZIE – Agça viene interrogato in merito alla storia, ma dice di non saperne nulla, che augura alla Orlandi ogni bene, e che rifiuta ogni libertà o scambio con qualcuno. Stava collaborando con gli inquirenti, dopo la condanna definitiva all’ergastolo. Faceva nomi che trovavano riscontri. Aveva cominciato a parlare di “pista bulgara”, e converrete che lo faceva in modo più sicuro dal carcere di massima sicurezza ad Ascoli dov’era rinchiuso, e non a piede pericolosamente libero. A questa pista però gli inquirenti non vogliono credere. E allora si rincara la dose. Altre tre chiamate dell’Americano, stavolta a Paese Sera, altre frasi manoscritte. Meneguzzi va in tv e chiede una prova decisiva: una foto di Emanuela con il giornale di oggi e sapere cosa ha fatto la ragazza il lunedì precedente la scomparsa. I congiurati si fanno risentire, stavolta a casa di una compagna di Emanuela il cui numero non è nell’elenco telefonico; dicono che hanno un nastro da far recapitare all’Ansa, sta a piazza San Pietro. I cronisti ci vanno e non trovano nulla. Due giorni dopo a piazza del Quirinale invece sì: nastro registrato con una voce femminile che dice “ma perché mi fai questo? O dio ma cos’è? Sangue!” da un lato, dall’altro con un comunicato che riassume il contenuto dei precedenti. E’ lunghissimo, contiene altri particolari sulla vita privata di Emanuela, attacca la disinformazione e dice che avranno le foto quando Agça verrà liberato, che lo voglia o no. L’americano poi chiama il Vaticano per far dare ai giornali il comunicato, ed è significativo che in questa occasione usi il codice 158, ma Casaroli ai primi due incontri non arrivi in tempo al telefono. La famiglia “nomina” l’avvocato Egidio: a dire il vero, Ettore sosterrà di non aver mai pagato né lui né Krogh, e che questi venivano pagati dal Sisde. Da questo momento i comunicati, in turco o in italiano stentato, si moltiplicheranno. E un motivo c’è.

POLITICA, POLITIK, POLITICS – Intanto in Vaticano si sta svolgendo una battaglia politica, tra chi è per la tolleranza zero nei confronti del blocco comunista, e chi (come Casaroli) parla di Ostpolitik, dialogo con l’Est. Il Sabato e Comunione e Liberazione sposano la teoria dell’attacco a Papa Wojtyla, legittimando la pista Agça. Sei volte il Papa parla, arrivano ultimatum che poi vengono spostati quando è sicuro che non andranno rispettati. Il settimanale Panorama pubblica un articolo nel quale parla delle altre scomparse, e la prima di queste è Mirella Gregori, mentre gli inquirenti si domandano come mai a firmare il sequestro non ci sia una sigla. Puntuale, il 4 agosto arriva il primo comunicato del Fronte Liberazione Turco Anti Cristiano Turkesh, che rivendica tutto e nomina anche la Gregori. Turchi, forse. Lettori di settimanali, sicuramente. Le informazioni su Emanuela sono generiche (genericamente giuste), riguardano alcuni dei suoi migliori amici. Arriva un altro comunicato, che “indovina” la cena del lunedì precedente – chiesta da Meneguzzi al Tg1 – ma sbaglia il cantante preferito (Gino Paoli). Altri ne seguiranno, con particolari raccapriccianti e alcuni attribuiti persino ad Emanuela: di uno, audio, i magistrati hanno appurato che non della voce di Emanuela si trattava, bensì del riversamento di parte del sonoro di un film porno. Ridicoli, sempre più ridicoli. Sembra che a lavorare dietro il caso Orlandi non ci sia qualcuno, ma una folla. Solo che un gruppetto spinge per addossare la responsabilità ai turchi. Dietro questi (o meglio: alcuni di questi), si appurerà, c’è la Stasi.

E L’ALTRO? – L’altro gruppo manda messaggi più raffinati, politicamente parlando. E quando il Turkesh annuncia l’esecuzione di Emanuela Orlandi, l’Americano si rifà vivo fornendo invece “prove” del fatto che è in vita (“un foglio di musica con appunti e un elenco di numeri di telefono di amiche”, tra cui quello della ragazza che non aveva il numero sull’elenco). E poi dice che l’operazione è conclusa. Gli risponde il Turkesh, si fa viva una fantomatica Phoenix che se la prende con Pierluigi e Mario, minacciandoli. I giornali pubblicano senza chiedersi perché. L’Americano chiama l’avvocato Egidio, e gli dice che “per Mirella non c’è nulla da fare”, mentre è possibilista per Emanuela. Di nuovo la Phoenix, di nuovo il Turkesh che tira in ballo un giocatore della Lazio (non Giordano, ex marito di Sabrina Orlandi, ma un altro), altri anonimi, poi la Phoenix che continuava a dire di aver preso i responsabili. Intanto sono passati 6 mesi. Grafomani e mitomani, spie e controspie hanno detto e fatto di tutto. Nessuno ha dato però uno straccio di prova dell’esistenza in vita di Emanuela Orlandi. Ma ormai sia nelle indagini che tra i giornali la linea del sequestro politico ha prevalso. Emanuela in un gioco più grande del suo. Emanuela insieme alla Gregori. Emanuela semplice pedina di uno scacchiere internazionale. Emanuela che anche Agça dice esser stata rapita per colpa sua, ad Enzo Biagi, in tv, nel 1985. Emanuela che alla fine viene persino dipinta come sposata a uno dei suoi rapitori, e madre di due figli, oppure suora di clausura in Venezuela. Tutte chiacchiere. Emanuela Orlandi nessuno sa con certezza se è ancora in vita, dal 22 giugno 1983.

(1 – seguirà con: “A’ Renatì, ma che davero davero…?”)

(alcune informazioni di questo articolo – e alcune di quelle che seguiranno – sono tratte da Pino Nicotri, Mistero Vaticano, Kaos Edizioni, 2002, e talune fonti aperte; altre da atti processuali e ricerche d’archivio; altre ancora da colloqui privati; la canzone citata nel distico iniziale è Supper’s ready dei Genesis)