I nemici della cannabis sull’orlo di una crisi di nervi

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Negli Usa i proibizionisti sconfitti cercano di affrontare l'ormai travolgente favore per la legalizzazione riposizionandosi in maniera meno scomposta

Dalla remota provincia papalina abbiamo bisogno di guardare verso gli Stati Uniti per capire come evolverà il destino dell’italico proibizionismo antidroga, storicamente succube delle decisioni di Washington e comunque sempre in ritardo nel recepire le svolte culturali che maturano altrove.



NOI, SEMPRE MOLTO INDIETRO – Il punto della discussione sulla legalizzazione nel nostro paese è ben rappresentato dalla posizione di Matteo Renzi, per il quale: «schizofrenico un Paese in cui si passa dal proibizionismo più totale alla liberalizzazione delle droghe leggere». Quello che c’è da fare secondo lui è: «Iniziamo a rimettere la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e mettiamo in prova chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere». Fortunatamente una sentenza della Consulta lo ha tolto dall’imbarazzo, liberando anche chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere dall’angheria proposta dal nostro presdelcons. Il resto se possibile è anche peggio, di tutte le proposte di legge presentate finora in alternativa all’ormai cassata Fini-Giovanardi non ce n’è una che vada oltre una macchinosa depenalizzazione in casi rari e ristretti, al massimo si propone l’autoconsumo individuale come unica via legale per procurarsi la cannabis, che a questo punto non si capisce più se è una sostanza pericolosa da vietare o che, posto che produrla, consumarla e scambiarla diventa una gara a ostacoli disseminata comunque di sanzioni molto moleste e del tutto incongruenti una volta accettata la realtà per a quale si tratta di una sostanza molto meno pericolosa e nociva dell’alcol, che per di più non dà quella tenace dipendenza fisica tipica degli alcolici, il consumo dei quali ha un costo sociale e sanitario enorme senza che nessuno, ma proprio nessuno, proponga di vietarli. A testimoniare il degrado culturale nel quale rimane sprofondato il nostro paese,  si è prestato ieri anche Dj Aniceto, autorevole membro della Consulta per le politiche antidroga di Palazzo Chigi, e «Dj antisballlo», un cattolico che esibisce di continuo la sua devozione e che su Twitter ha dato pubblicamente delle «troie» a una star internazionale come Rihanna e a una sua amica perché (choc!!1!) hanno festeggiato la giornata della marijuana fumando marijuana.



FACCIAMOLA SEMPLICE – Proprio da questo assunto parte il discorso negli Stati Uniti, dove ormai si comincia e finisce con questa constatazione; la cannabis è molto meno pericolosa dell’alcol. Al contrario, l’uso della cannabis come farmaco dimostra che ha molte virtù e poche controindicazioni, e quindi non ha senso che sia sottoposta a limitazioni maggiori di quelle previste per gli alcolici. Qui però ai conservatori americani viene male, come verrebbe male a un Giovanardi dei nostri, sempre pronto a cantare le lodi del Lambrusco, quanto poco a suo agio nell’accettare l’ipotesi del fiorire di una industria della marijuana che si spinga a pubblicizzare il prodotto come accade per gli alcolici. Inutile dilungarsi in eterno a smontare le balle dei proibizionisti, che la cannabis sia molto meno pericolosa dell’alcol è un fatto, una verità scientifica incontestabile, si parte da qui.



COME FANNO IN COLORADO – Un buon riassunto della situazione del dibattito in questo momento è presente in un articolo di Kelley Beaucar Vlahos per The American Conservative, fonte al di sopra di ogni sospetto di collusione con gli antiproibizionisti, che ha riassunto un po’ tutte le posizioni così come si sono ridefinite dopo il crollo del proibizionismo americano. Alison Holcomb, dell’American Civil Liberties Union (ACLU), che ha scritto la proposta di legge per la legalizzazione poi passata nello stato di Washington, sostiene l’approccio messo in campo dal Colorado, il primo stato a legalizzare la vendita della cannabis anche per uso ricreativo. L’80% delle tasse raccolte dal nuovo business vanno in educazione, prevenzione e ricerca: «Non perdiamo troppo tempo a pensare alla questione dell’approvvigionamento. Uno dei grandi fallimenti del proibizionismo è stato nel cercare di controllare le persone che riforniscono il mercato e non spendere abbastanza tempo e risorse dal lato della domanda.» Aiutare le famiglie in difficoltà, seguire i ragazzi con disagi o ritardi formativi, paga molto di più in termini di lotta al consumo che minacciare di sbatterli in galera, dove poi puntualmente finiscono.

CI PROVANO CON LE «REGOLE» – Per i conservatori invece quella della definizione in senso restrittivo del futuro mercato e della sua catena di distribuzione è l’ultima trincea, quella sulla quale si combatte prima di tutto una battaglia culturale per la quale, in quanto «droga», la cannabis dovrà essere commercializzata in maniera originale e se possibile in modo da minare le possibilità di farne un prodotto di massa, anche se lo è già. Bisogna trovare il modo di ridurne la disponibilità e bisogna fare in modo di conservare parte di quell’irrazionale stigma di malvagità che da sempre ne fa il bersaglio prediletto dei perbenisti. Ecco allora che fior di conservatori alfieri del libero mercato propongono per la commercializzazione della marijuana «piccoli negozi», cooperative (!) e c’è persino chi arriva a pronunciare la bestemmia: monopolio pubblico. Questo per «proteggere i giovani» ovviamente, che par di capire non siano protetti abbastanza dalle leggi che regolano la vendita dell’alcol, per le quali non c’è nulla in programma, anche se l’alcol è molto più dannoso e pericoloso per quegli stessi giovani.

CONTRO IL LIBERO MERCATO – Stranamente i conservatori antiproibizionisti si lamentano del fatto che le compagnie che commercializzeranno marijuana potrebbero non avere in mente «la salute pubblica o valori controculturali», quelli che fatalmente proprio loro finiranno per rappresentare. Ai proibizionisti l’idea che la cannabis diventi un prodotto come un altro proprio non va giù, che poi in futuro possa essere anche pubblicizzata rasenta la bestemmia. Anche Susan Rusche della National Families in Action è del tutto contraria a lasciare il mercato alla mercé della libera impresa e insiste pure perché tutti i prodotti alimentari che impiegano la marijuana come ingrediente siano vietati. I dolcetti alla marijuana spingerebbero i giovani al consumo, quelli imbevuti d’alcolici ancora una volta non la preoccupano. Ovviamente le conseguenze temute sono apocalittiche e spaziano dall’abbandono scolastico in massa a problemi sanitari simili a epidemie, anche se oggi i giovani consumano marijuana in massa senza che succeda nulla del genere.

NON FUNZIONA – Un trincea che però non sembra molto resistente, che pare anzi destinata a essere superata di slancio dagli appassionati come, soprattutto, dagli investitori. Se è legale e ci si può guadagnare non c’è forza che tenga e in un’economia che da decenni recita il mantra della deregulation proposte del genere finiscono presto sepolte con un consenso che va molto oltre gli aspiranti commercianti di cannabis, visto che sdoganare questo tipo d’ingerenza morale nel mercato metterebbe a rischio altre industrie di subirne di simili in futuro. In Colorado c’è già chi ha fatto il suo primo milione con la cannabis e non appena il quadro nazionale sarà abbastanza chiaro e omogeneo, anche la grande industria e i grandi capitali scenderanno in campo. Già oggi le agenzie federali hanno dato luce verde alle banche, investire in cannabis è sicuro e non comporta conseguenze legali. Se, com’è più che probabile, spunteranno una o più Big Marijuana, con capacità d’investimenti finanziari, tecnologici e pubblicitari all’altezza delle grandi corporation che controllano altri settori, questo non vuol dire che tutti gli americani finiranno a consumare cannabis, tanto che non è nemmeno detto che che i consumatori aumenteranno significativamente, il mercato attuale rappresenta già una torta enorme per ingoiare la quale bisogna organizzarsi molto in grande. L’apparire di giganti industriali non impedirà comunque l’autoconsumo o le produzioni artigianali, nel fare riferimento all’industria dell’alcol non si può fare a meno di notare che la presenza di gruppi di rilevanza mondiale non impedisce il fiorire di migliaia di distillerie e produzioni minori.

RESTIAMO A GUARDARE GLI AMERICANI – Fanno quindi sorridere i conservatori americani che all’improvviso scoprono il monopolio pubblico o invocano la protezione dei consumatori dalla «avidità» delle aziende che perseguono unicamente il profitto, che poi sono gli stessi che strillano come aquile se qualcuno propone di limitare la vendita dei fucili d’assalto gridando alla lesa libertà, e che nulla hanno da dire, ad esempio, se i produttori di armi fanno pubblicità ai loro prodotti fin nelle scuole proponendo corsi «per la sicurezza» nel maneggiare le armi da fuoco o se producono armi da fuoco funzionanti con le quali i bambini possono fare il tiro a segno, sotto la supervisione di «adulti responsabili», e cominciare a sognare ben altre armi come da noi i giovani sognano il motorino o l’automobile. Tentativi ipocriti destinati a naufragare, travolti da un cambiamento epocale che da noi alla periferia dell’impero farà sentire i suoi effetti con inevitabile ritardo, per adesso ci toccano ancora i Renzi e i Giovanardi.