Drug Wars

Categorie: Mondo

Il proibizionismo è una catastrofe, evviva il probizionismo. Per "combattere la droga" le truppe americane sono state impiegate in diversi paesi. Le risorse riversate in questa politica sconsiderata non hanno fatto che alimentare un ciclo di violenza sempre più intenso. E intanto in Colombia, Bolivia o Messico alimentate dal denaro della droga e della lotta alla droga, sono scoppiate guerre civili o deliri criminali

Nel giugno scorso la Global Commission on Drug Policy ha consegnato un rapporto sulla War on Drugs che ne decreta il fallimento su tutta la linea, ma poi non è successo niente.



I SAGGI – La commissione internazionale era composta da persone di primissimo livello e indubbia competenza, al netto dei membri sospettabili di tenerezze umanitarie o (relativi) pregiudizi ideologici, tra questi César Gaviria, ex presidente della Colombia e i suoi colleghi: Ernesto Zedillo (Messico) Fernando Henrique Cardoso (Brasile), George Papandreou (Grecia) e Ruth Dreifuss (Svizzera), ma anche George P. Shultz ex Segretario di Stato statunitense, Javier Solana (Spagna), ex rappresentante UE per la politica estera e la sicurezza, Kofi Annan (Ghana),ex segretario dell’ONU, Maria Cattaui (Svizzera), ex Segretario Generale della Camera di Commercio Internazionale, Paul Volcker, ex direttore della FED e dell’Economic Recovery Advisory Board.

 



guarda le immagini

 



IL VERDETTO – Il succo del rapporto della Commissione è che la guerra alla droga, lanciata da Nixon nel lontano 1971, è fallita. Ed è fallita lasciando alle sue spalle una scia di guerre vere e di sofferenze inenarrabili e una situazione che, a oggi, è incredibilmente peggiore di quanto non fosse ipotizzabile allora, perché le risorse riversate in questa politica sconsiderata non hanno fatto che alimentare un ciclo di violenza sempre più intenso, con armi e soldi che non si sarebbero mai coagulati in tal modo attorno al narcotraffico, se il prezzo degli stupefacenti non fosse stato tenuto artificialmente alto dalle politiche proibizioniste e se i paesi impegnati nella guerra alla droga non avessero speso miliardi di dollari in inutili campagne d’eradicazione e nell’armare regimi che più di una volta si sono rivelati peggio delle piaghe d’Egitto per i loro paesi.

LA GUERRA – La campagna è stata marcatamente proibizionista e si è sostanziata in leggi draconiane e aiuti militari e interventi militari all’estero. Per “combattere la droga” le truppe americane sono state impiegate in diversi paesi, in particolare in quelli a Sud del Rio Grande e hanno fornito aiuti militari a un numero ancora più elevato di paesi. Non è mancato come chi ha visto nella lotta alla droga uno dei pretesti migliori per l’interventismo americano, che dopo il disastro del Vietnam non si potevano certo permettere l’interventismo “umanitario” o il sostegno troppo aperto ad alcuni governi fin troppo impresentabili.

OBAMA HA DETTO STOP – Già nel maggio del 2009 Gil Kerlikowske, attuale direttore dell’ONDCP (Ufficio Nazionale per il Controllo delle Politiche sulla Droga) ha annunciato che l’amministrazione Obama, pur non intendendo cambiare di una virgola la politica americana in questione, non avrebbe più usato l’espressione War on Drugs, in quanto contro-producente. Anche secondo l’ONDCP ai tempi d’Obama le droghe sono una malattia e renderle meno disponibili rende le comunità più sicure.

SOLO IPOCRISIA – Il che è esattamente la conclusione opposta a quella della Commissione sopra ricordata, la novità è semplicemente nel fatto che nel 2009 l’amministrazione Obama ha deciso che il brand della War on Drugs evocava solo tragedie e fallimenti e ha deciso di cancellarlo dal discorso pubblico, pur perseverando nelle stesse politiche fallimentari che avevano bruciato un meme di grandissimo successo, capace di tenere le prime pagine di tutti i media del mondo per quasi quattro decenni. Della sottile differenza si sono accorti in pochi, semplicemente non se ne parla più, nemmeno negli Stati Uniti, dove il Congresso continua a implementare e finanziare le stesse nefandezze.

LA SICUREZZA DI CHI? – A preoccupare non è sicuramente la sicurezza di comunità come quelle di Colombia, Bolivia o Messico, tanto per nominarne alcune nelle quali, alimentate dal denaro della droga e della lotta alla droga, sono scoppiate guerre civili o deliri criminali. Come la Colombia, che è il paese con il maggior numero di rifugiati al mondo anche grazie al famigerato Plan Colombia, o come il Messico, il paese nel quale muoiono più giornalisti al mondo,  e che ormai registra  più vittime di Siria, Libia, Iraq e Afghanistan messi insieme. Un altro tabù americano, quello che riguarda la libera vendita delle armi da fuoco e il diritto a possederne quante si vuole, è all’origine di un dato conosciuto ufficialmente fin dal 2008, quando William Hoover testimonio a nome della TAF (Alcohol Tobacco and Firearms Bureau) che il 90% delle armi e munizioni trovate in possesso dei narcos provenivano dal mercato americano, chiudendo un cerchio che sposta il denaro dalle tasche dei consumatori americani a quello dei produttori e commercianti d’armi

IL NORDAMERICA E’ ISOLATO – Questa distonia diventa particolarmente evidente quando si arriva ai rapporti interamericani e si trovano Stati Uniti e Canada isolati contro la depenalizzazione delle droghe, sostenuta unanimemente da tutti i governi degli altri stati continentali, senza distinzione di destra o di sinistra. Una posizione che ovviamente non è figlia della pressione dei narcotrafficanti, ma nasce dall’aver sofferto l’invadenza delle politiche americane in nome della battaglia alla droga una volta esaurito il pretesto della lotta anticomunista. Quello che tutti i paesi centro e sudamericani vogliono spezzare e il ciclo che trasforma il narcotraffico da un affare da contrabbandieri in un business capace di divorare le economie dei paesi più deboli, per difendere il quale ha senso organizzarsi con veri e propri eserciti privati, quando non alimentare vere e proprie guerre civili. Guerre peraltro alimentate da armi che non sono prodotte in questi paesi, ma che vengono esportate con grande facilità proprio da quei paesi del primo mondo che alimentano il mercato pagando il sovrapprezzo dell’illegalità.

IL CANCRO MORALISTA – L’esperienza insegna che, al netto dell’ipocrisia di un paese che più di una volta si è scoperto a favorire il commercio degli stupefacenti per oliare la sua politica estera, l’unico approccio praticabile al consumo degli stupefacenti è fatto di legalizzazione e prevenzione. L’accanimento nell’escalation repressiva ha prodotto solo tragedie e spinto nella povertà e al di fuori della società milioni di persone per il solo fatto di aver consumato sostanze ritenute arbitrariamente immorali. Perché il punto della War on Drugs non è mai stato quello di arrestare la diffusione di sostanze velenose o pericolose, ma semplicemente di assumere un atteggiamento morale verso “le droghe”, un’espressione che rappresenta una sintesi totalmente irrazionale, che comprende sostanze potenzialmente devastanti come sostanze innocue, accomunate da un’unica caratteristica: essere considerate sostanze immorali da chi le vuole proibire. Un destino che aveva colpito anche l’alcol, che forse è riuscito ad emanciparsi per la sua grande popolarità, ma più probabilmente perché aveva prodotto un’esplosione criminale senza precedenti proprio nelle città americane.

CRESCE L’INDIPENDENZA LATINA –  Proprio da i paesi americani sembra ora venire l’impulso più robusto alla legalizzazione delle droghe, che certo non è popolare nei paesi ex-comunisti e nemmeno in quelli a maggioranza musulmana, anche se in realtà ci sono numerosi paesi che avrebbero molta meno difficoltà di quanta non ne abbiano gli Stati Uniti ad ammettere una legalizzazione, almeno parziale, delle sostanze in questione. Molti paesi sognano di svuotare le carceri riempite di “drogati” e di destinare le risorse investite nella lotta al narcotraffico in direzioni più costruttive e più di un governo ha bene in mente il problema rappresentato da bande di fuorilegge che spadroneggiano armati in buona parte del paese, bande che possono contare sulle enormi risorse del narcotraffico e su platee di miserabili pronti a rischiare la vita per ciò che a quelle latitudini equivale al riscatto dalla miseria e l’accesso al benessere, spesso conosciuto solo attraverso gli schermi televisivi. Molto ha influito anche il relativo disimpegno americano e il solidificarsi di competizioni politiche nazionali relativamente meno influenzate da Washington, l’elezione di  Inacio Lula da Silva e ora di Dilma Roussef, di Ollanta Humala, di Evo Morales e altri rappresentanti non identificabili con le élite bianche educate all’estero, ma come candidati locali, ha dato fiducia all’esperibilità di modelli locali sganciati dalla stretta tutela post-coloniale.Una tutela durata almeno fino alla fine della guerra fredda, nonostante i paesi sudamericani siano stati tra i primi a seguire l’esempio americano e a proclamarsi in gran numero repubbliche indipendenti già prima del ‘900. Emancipandosi, almeno formalmente, dal dominio portoghese e spagnolo su tutti.

L’INERZIA – Gli Stati Uniti hanno tuttavia i mezzi e il peso per continuare a far pesare a lungo e parecchio la propria presa di posizione, anche perché a fronte del riconosciuto fallimento delle politiche repressive, ben pochi governi e leader che sull’ostilità alle droghe ci hanno costruito fortune, hanno voglia di andare a spiegare ai propri cittadini che si erano sbagliati a demonizzare le droghe e a bollare con il marchio dell’infamia o del criminale milioni di semplici consumatori. Resta l’evidenza scientifica per la quale una montagna di dati ha dimostrato che l’approccio repressivo produce tanti più danni quanto più si fa severo, a fronte di nessun guadagno, se non per i fabbricanti e commercianti d’armi, i narcotrafficanti e chi può approfittare dell’esistenza di milioni di cittadini spinti e tenuti ai margini, materiale umano che non può che lasciarsi spremere. Il prodotto inevitabile di politiche che tendono a concentrare le risorse e a spazzare i “nemici” che impediscono la vittoria della guerra alle droghe, una guerra che non si può vincere e che è già stata persa, ma che continuerà ancora a lungo ad essere combattuta per inerzia, favorendo interessi che ben poco hanno a che fare con la droga e la salute o “la minaccia” dei drogati.