Essere lobbisti in Europa

Categorie: Economia

Con l'aumento dell'attività parlamentare a Bruxelles e Strasburgo cresce l'attività dei gruppi di pressione agevolati dalla mancanza di una regolamentazione della loro attività che consente loro di agire sui singoli parlamentari come avviene in Italia dove dal '45 ad oggi si è cercato per 41 volte di regolare quest'attività senza riuscirci

Che significa essere un «lobbista»? Animalismo attivo prova a dare una definizione il più possibile chiara. Il lobbista non è altro che il membro di un gruppo di pressione che agisce sulla politica influenzando quella che è l’attività dei membri del parlamento i quali vengono chiamati a sostenere gli interessi delle persone che rappresentano.



CHI È UN LOBBISTA – Il dibattito è entrato improvvisamente nel vivo dopo che sul blog del Corriere della Sera, Solferino 28, si è parlato dell’opportunità di regolamentare quest’attività che già a livello anglosassone è ben codificata. Nello specifico veniva presentata la testimonianza di Fabiana Nacci, 25enne impegnata con «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying», società che si occupa appunto di lobbying e che viene chiamata a «modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti». In sostanza si studiano le proposte di legge e ci si attiva nei confronti di quelli che sono definiti i «decision-makers» per spingere quelle che sono le necessità dei singoli clienti. Si tratta quindi, per l’appunto, di un gruppo di pressione. 



IL REGISTRO PER LA TRASPARENZA – Come dicevamo, l’attività nel mondo anglosassone è regolamentata dalle leggi, cosa che non avviene in Italia ed in Europa, dove l’attività dei gruppi di pressione è indirizzata da un testo non vincolante, il Registro per la Trasparenza. L’obiettivo di Bruxelles, attraverso questo documento, è quello di garantire un’interazione tra le istituzioni europee e le associazioni dei cittadini come delle Ong, delle imprese, delle associazioni commerciali e di categoria, dei sindacati e dei centri di studi. Il lobbismo, inteso secondo quest’accezione, viene definito legittimo e necessario per «difendere la democrazia e per permettere alle istituzioni stesse di realizzare politiche adeguate che rispondano alle esigenze e alla realtà del momento».



UN PERCORSO CHIARO – Un processo di pressione che secondo le intenzioni di Bruxelles dev’essere chiaro e trasparente. Inoltre deve svolgersi nel rispetto dei principi etici evitando le pressioni indebite. Ed a questo scopo è nato il Regolamento che, ricordiamo, non è vincolante. Quindi viene proposto ai cittadini un regolamento che li garantisca ma che di fatto non rappresenta la legge nel suo complesso. Vengono proposti i profili delle associazioni registrate e quali sono le proprie attività, gli interessi che perseguono, i modi con cui influenzano il processo decisionale dell’Unione Europea e quali sono le risorse investite. Parliamo quindi di un indirizzo al quale teoricamente dovrebbero sottoporsi tutte le associazioni impegnate in attività di lobbying ma che, in sostanza viene disatteso.

VOGLIA DI REGOLAMENTAZIONE – Nella sezione «interrogazioni parlamentari», l’ultimo documento in ordine di tempo è del 13 marzo 2013 ed è firmato dal deputato Keith Taylor che propone a sua volta gli esiti di un sondaggio sul tema del lobbismo condotto in Austria, Repubblica Ceca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito, con il risultato che l’80 per cento dei 6.000 partecipanti ha chiesto un regolamento obbligatorio che regoli un rapporto bilanciato tra i diversi interessi coinvolti nei movimenti di pressioni. Un risultato che sposa appieno la risoluzione del Parlamento Europeo approvata nel 2011 nella quale si chiedeva l’istituzione di un registro obbligatorio dei lobbysti.

5.800 SOGGETTI REGISTRATI – Nel documento poi viene ricordato che il registro di trasparenza, istituito nel 2011, doveva essere rivisto dopo due anni trasformandolo appunto in un qualcosa di obbligatorio e legalmente vincolante. Ma tutto questo non è ancora stato fatto. Ed ovviamente la mancanza di un registro obbligatorio crea una serie d’imbarazzi a livello continentale. Francesco Delzio, co-fondatore e co-direttore del master di secondo livello in «in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa» ha dichiarato al Corriere della Sera che a Bruxelles sono iscritte oltre 5.800 imprese specializzate nell’ambito, di cui 503 italiane. Tuttavia Luigi Rossi, intervenuto all’Assemblea generale dei Gergofili a Firenze lo scorso 17 dicembre, ha dipinto un quadro più preoccupante.

20.000 ENTITÀ REALI – Nella relazione diffusa dalla Fidaf emerge che tale attività esiste a tutti i livelli di governo ed ha un impatto sostanziale sui risultati politici, dalle assemblee locali a quelle internazionali. Per l’Unione Europea il lobbismo è una parte legittima del sistema democratico anche se viene propota da aziende per conto terzi. E questo non può far altro che scatenare il dibattito sulle forme di lobbismo e sulla loro legittimità. Come detto, i lobbisti accreditati sono 5800 ma mancando l’obbligo, si stima che quelli realmente presenti a Bruxelles siano 20.000. E sempre secondo le stime, il 75 per cento di loro è intenzionato a fare affari mentre solo il 25 per cento rappresenta i reali interessi dei cittadini. Ed in tutto questo l’Italia appare attardata. Il che, se vogliamo, spiegherebbe la scarsa dimistichezza della politica italiana dalle parti di Bruxelles e Strasburgo.

L’ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI PRESSIONE SUL FRACKING – Per questo motivo, il 28 novembre 2013 la Trasparency International, organizzazione che si batte contro la corruzione, si è rivolta al Commissario per le Relazioni inter-istituzionali Maros Sefcovic, chiedendo una forma di regolamentazione dell’attività dei lobbisti almeno quasi-obbligatoria, in modo da regolare l’attività dei gruppi di pressione sotto una forma quantomeno etica, impedendo ai gruppi non accreditati di partecipare alle attività delle singole commissioni. L’allarme è stato lanciato anche dal New York Times che ha spiegato come la società di lobbying Covington & Burling, di base a Washington, negli Usa, si sia attivata al fianco di multinazionali come Chevron e Statoil per fare pressioni su Bruxelles per dare il via libera al Fracking.

LO SCONTRO TRA AZIENDE – Inoltre viene riportato lo scontro tra aziende specializzate, con i membri della Burson-Marsteller che hanno accusato i concorrenti di lavorare nell’ombra anche a causa della loro capacità di attirare avvocati, parlamentari ed esponenti della Commissione, oltre ad ex diplomatici come Jean De Ruyt, oggi advisor alla Covington. Segno che dalle parti di Bruxelles si assiste allo scontro tra lobbisti con la conseguenza che il volume delle discussioni diventa inevitabilmente destinato a salire, su temi che oltretutto sono invisi alla maggior parte dell’opinione pubblica. Tuttavia la storia raccontata dal New York Times dimostra che il sistema a modo suo funziona e che comunque è opportuno regolamentare l’attività dei gruppi di pressione.

LA QUESTIONE DEL POLLINE OGM – E non si tratta certo dell’unico caso. Eunews ci spiega che sulle etichette dei barattoli di miele non verrà segnata la presenza di polline Ogm perché questo non verrà più considerato un ingrediente ma un componente. Il polline contenuto in un barattolo di miele non supera lo 0,5 per cento e secondo la normativa europea sugli Ogm, questo va segnato solo se il valore supera lo 0,9 per cento. Ed il deputato Bart Staes ha spiegato che questo voto rappresenta «uno schiaffo ai consumatori e agli apicoltori europei che hanno chiesto a più riprese trasparenza nelle regole di etichettatura» e che gli eurodeputati sono stati influenzati da «un’intensa campagna di lobby portata avanti dagli importatori di miele» perché ora sarà impossibile capire se è stato usato mais Ogm, la cui coltura è stata autorizzata da Spagna e Romania, paesi produttori di miele.

IL CORSO PER DIVENTARE LOBBISTI – Ma stiamo comunque parlando di un’attività legale che al momento non è regolamentata. E con l’aumento dell’attività dell’europarlamento ecco che aumenta anche il numero dei lobbisti necessari a gestire le esigenze dei gruppi di potere. E contestualmente nascono corsi di formazione per aspiranti lobbisti. Parliamo di Europeanlobby, un istituto che si propone di preparare all’attività d’influenza dei «policy-makers». Il corso è organizzato dalla Camera di Commercio italo-belga a Bruxelles e si pone come obiettivo quello di fornire una solida base di conoscenza in ambito lobbyista, offrendo la possibilità ai due migliori alunni del corso che si terrà dal 7 all’11 aprile di passare tre mesi in stage in una di queste aziende.

I DUBBI INEVASI – Quindi sappiamo che a Bruxelles esiste una galassia potenzialmente infinita di gruppi di pressione che agiscono sule singole commissioni spingendo l’adozione di emendamenti o di provvedimenti che possano soddisfare i clienti delle società di lobbying. Di per sé potrebbe non essere un male perché spesso i desiderata dei singoli cittadini fanno fatica ad arrivare nelle sale in cui si decidono le leggi. Tuttavia, come riportato da Luca Rossi, solo il 25 per cento di quanto viene deciso a Bruxelles ha un reale interesse per il cittadino. Il resto riguarda i desiderata delle aziende o dei grandi gruppi. Il fatto poi che non vi sia una registrazione obbligatoria porta ad un’attività di lobby quasi infinita. In Italia invece non esiste alcuna regolamentazione sul tema, con la questione che è stata sollevata nel corso della discussione sulla Legge di Stabilità.

LA NECESSITÀ DI UN CONTROLLO – L’agenzia Asca ha ripreso la voce di Pino Pisicchio, presidente del gruppo Misto alla Camera e Vicepresidente di Centro Democratico, secondo cui, all’epoca, era «necessario procedere alla regolazione del lobbismo. La legge di stabilità ancora una volta mette in luce la necessità di regolare il rapporto tra gruppi di interesse e parlamentari. Tutto si può fare, purché sia alla luce del sole. Per questo dobbiamo dare priorità all’approvazione di una legge che, come in tutti i parlamenti democratici, regolamenti l’azione informativa dei gruppi di interesse». Ma quello che non si sa è che dal 2008 al 2012 sono stati presentati 14 (quattordici) disegni di legge nei quali si chiedeva la regolazione delle attività dei gruppi di pressione.

I 41 TENTATIVI DI REGOLAMENTAZIONE ITALIANA – Openpolis ci spiega che nello specifico i 14 disegni di legge sono stati presentati nel 2012 da Anna Maria Bernini (Pdl, da approvare alla Camera), da Raffaele Ranucci (Pd, da approvare al Senato), da Nunzia De Girolamo (Pdl, da approvare alla Camera), da Jole Santelli (Pdl, da approvare alla Camera), da Marina Sereni (Pd, da approvare alla Camera), e così via per quattro anni. Peraltro lo stesso Pisicchio aveva presentato nel 2008 un tentativo di disciplina della revisione dell’attività istituzionale, ma rimase fermo alla Camera. E certo non finisce qui. Diritto.it ci ricorda che dal 1945 al 2008 sono stati 27 i tentativi di regolamentare il rapporto tra politica e gruppi di pressione. E quindi vuol dire che dalla nascita della Repubblica ad oggi i tentativi andati a vuoto sono complessivamente 41.

I REGOLAMENTI REGIONALI – A differenza di quanto accade a Roma, nelle regioni l’attività di lobbying è già istituzionalizzata da anni. La prima a mettere nero su bianco il rapporto tra gruppi di pressione e politica è stata la Toscana nel 2002. Tuttavia la norma limita l’azione del Consiglio ma non quella della Giunta, ma rappresenta un primo passo perché, come spiegato dall’articolo 4, è vietato «esercitare nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto». E nel 2009, nonostante fossero iscritti nel registro fossero 115, fino al 2006 non vi era stato nessun documento depositato. Il Molise ha proposto una legge uguale, approvata nel 2004, mentre le Marche nel 2013 hanno realizzato una propria proposta di legge.

QUESTO È LOBBISMO – Infine, per dare un’idea di che significhi davvero fare lobbying, proponiamo gli obiettivi pubblicati sul blog Animalismo attivo nel quale si spiega in maniera esemplare quelli che sono gli obiettivi di un lobbista:

Quali possono essere gli obiettivi della vostra attività di lobbying? Per esempio:

• Vietare i test di sostanze tossiche sugli animali.

• Cambiare la legge per vietare le esportazioni di animali vivi.

• Vietare l’uso di trappole e tagliole per catturare gli animali selvatici.

• Vietare la produzione e la vendita di foie gras, di vitelli e di altre parti del corpo di animali.

• Introdurre sanzioni più rigide e adeguate in caso di abusi e maltrattamenti di animali.

• Cambiare la legge sul trasporto di animali.

• Vietare l’importazione e il commercio di animali selvatici vivi e/o parti del loro corpo.

• Proporre nuove leggi per regolamentare gli allevamenti.

• Vietare la mutilazione di animali per scopi cosmetici ed economici.

• Regolamentare o rendere illegale la detenzione di animali selvatici e non domestici.

Bisognerà identificare su quali rappresentanti politici fare lobbying per raggiungere questi obiettivi. Ma anche se l’attività di lobbying è spesso associata ai rappresentanti politici, in realtà è possibile fare lobbying con qualsiasi persona abbia contatti con responsabili politici e legislatori, cioè tutti i titolari di varie posizioni di potere, sia locali sia nazionali. Ma si può anche fare lobbying nei confronti di istituzioni e aziende le cui attività incidono nel bene e nel male sulla vita degli animali, come per esempio persuadere il vostro supermercato a cambiare la sua politica in materia di vendita di prodotti di allevamento, come uova, polli e galline. Analogamente, si potrebbe fare lobbying nei confronti della mensa dell’azienda in cui lavorate affinchè elimini dal menù prodotti provenienti da allevamenti intensivi e proponga piatti vegetariani, o far pressione sul collegio dei docenti della vostra scuola perchè organizzi corsi di etica animale. I rappresentanti di organizzazioni private, a differenza dei nostri rappresentanti politici, non sono obbligati ad assecondare le nostre richieste, ma potrebbero farlo per tutelare la propria immagine pubblica.

Ed il fatto stesso che una simile attività non sia regolamentata né in Europa né in Italia (nonostante 41 tentativi) dimostra l’importanza che ricoprono i gruppi di pressione sul lavoro quotidiano della Politica e quali possano essere i rischi di un confronto privo di paletti tra i vari attori di un settore che si sta espandendo sempre di più, agevolato dalla mancanza di registri e regole vincolanti. (Photocredit Wikipedia / Repertorio)