Essere postino oggi

Categorie: Economia

Uno stagionale ha voluto raccontarci il suo lavoro cercando di farci capire come non ne valga la pena farsi assumere per tre mesi da Poste Italiane, tra una mole insostenibile di pratiche da smaltire, rapporti difficili con i colleghi e inadeguatezza tecnica per lo svolgimento del proprio compito

In tempi di crisi come quello che stiamo affrontando qualsiasi possibilità di portare a casa un lavoro, anche se temporaneo, ben pagato ed in grado di regalare una sicurezza momentanea, ancorché relativa, viene vista come un’occasione da non perdere.



LA RICERCA DI POSTE ITALIANE – Esistono enti pubblici che, a vario titolo, offrono posizioni finalizzate all’assorbimento di personale destinato alle mansioni più disparate, giusto per rafforzare la propria struttura. Una di queste è Poste Italiane, la quale ogni anno assume con contratto trimestrale giovani e meno giovani così da consentire al dipendente di sentirsi parte di un progetto di ampio respiro dalla sicura valenza sociale, mentre l’azienda riesce ad organizzarsi evitando il collasso contenendo i costi grazie ai contratti a termine. Per dirne una, tra novembre e dicembre le Poste assumeranno, con contratto una tantum di tre mesi, 1500 dipendenti.



I TERMINI – Queste persone verranno scelte in tutta Italia tra le varie divisioni regionali. Le figure richieste sono: postini, portalettere ed addetti allo smistamento postale operanti nei Cmp (centro meccanizzazione postale). A sentire le condizioni, sembra si tratti di un’occasione da non perdere, in quanto si parla di uno stipendio di 1,190 Euro al mese, buoni pasto, Tfr, 36 ore settimanali da lunedi a sabato. Per essere tra i papabili bisognerà avere almeno il diploma, conseguito con una votazione minima non inferiore a 70/100 o 42/60 ed età di massimo 35 anni al momento dell’uscita del bando. Inoltre si richiede la capacità di poter guidare un motorino Piaggio Liberty 125 e di non aver mai prestato servizio per le Poste, dato che si parla di un contratto una tantum. Per candidarsi basta inviare una mail all’indirizzo presente sul sito di Poste Italiane.

REALTA’ PEGGIORE DELLA FANTASIA – Una proposta dai numeri sicuramente allettanti, anche se limitata nel tempo. Ma come in tutte le cose bisogna aspettare a cantare vittoria, in quanto la pillola appare molto più indorata di quanto in realtà non sia. Ne abbiamo parlato con uno di questi contrattualizzati, assunto nel 2012 con la mansione di addetto allo smistamento postale operante nei Cmp in una località del nord Italia, laureato in filosofia, il quale ha accettato senza indugio la proposta sia per il bisogno di un lavoro sia perché ispirato dalle condizioni. Ben presto si è accorto che la realtà è molto diversa da quanto non venga raccontato, al punto di spingere i suoi coetani ad evitare di intraprendere questo percorso. Il nostro soggetto ha chiesto e ottenuto di rimanere anonimo, visto che è ancora sotto contratto con Poste Italiane.



Come hai fatto ad entrare in Poste Italiane? 

“Lo scorso inverno ho inviato il curriculum al sito delle Poste, uno delle centinaia spedite in quel periodo vista la necessità di trovare un lavoro. Qualche mese dopo ho aggiornato la mia candidatura e sono stato contattato quasi subito da un responsabile delle risorse umane il quale mi ha proposto un contratto di tre mesi e mezzo presso il Cpd, centro primario distribuzione, della mia città”.

Quali sono state le tue prime impressioni?

“Ero molto contento. Mi hanno donato un’attrezzatura che all’epoca ritenevo idonea visto che non avevo ancora idea di quello che sarebbe stato il mio ruolo. Mi dissero subito che la giornata lavorativa sarebbe stata di 6 ore e 27 minuti, seppur priva di pause, il tutto dal lunedì al venerdì. Viste le condizioni, ero convinto che avrei avuto molto tempo libero sia nel weekend sia durante la giornata”.

Qual è la prima cosa di cui ti occupi ogni mattina?

“Arrivo in ufficio intorno alle 6.40 del mattino, timbro il mio cartellino ed inizio a smistare la posta incasellandola nello schedario. Purtroppo il quantitativo di lavoro è tale per cui è pressoché impossibile sistemarlo in una giornata intera, quindi ogni giorno più della metà della posta non viene organizzata”.

Avete possibilità di ritardare la consegna della posta?

“No, perché poi si accumula la posta che arriva il giorno successivo, ed in pochi giorni, se non si resiste, ci si trova sommersi da cassette di plastica gialla piene di materiale”.

I tuoi colleghi riescono a sistemare il loro materiale in una giornata?

“No, l’ufficio è pieno di prodotti che vanno ri-lavorati in quanto molti dei miei colleghi non fanno le cose come andrebbero fatte, perdendo così del tempo, tempo che viene perso anche per via della gestione raccomandate, visto che il luogo preposto si trova ben lontano dalla nostra sede di lavoro, anche se sempre nello stesso stabile”.

Quindi avete problemi di organizzazione?

“Nel nostro lavoro i tempi morti sono all’ordine del giorno, tutti dovuti all’attesa eccessiva nella realizzazione dei nostri compiti. Un capriccio che non possiamo permetterci. Spesso al banco delle raccomandate si crea una coda ingestibile la quale si conclude sempre nel ritiro, da parte dei distributori, del proprio materiale da smistare anche se, teoricamente, non potrebbero neanche avere accesso alla sala”.

Ma una volta recuperate le raccomandate cosa dovete fare?

“Questo dev’essere elaborato per il proprio giro, e si perde ancora tempo, per poi venire riconsegnato per essere registrato prima dell’uscita, scrivendo a mano i destinatari nella definizione dell’ordine di marcia. Parliamo anche di 200 raccomandate al giorno”.

Una volta finito tutto questo partite per la consegna?

“No. Potremmo avere già finito ma dobbiamo recuperare dalla squadra raccomandate tutta la posta particolare, ovvero un’altra coda, un’altra perdita di tempo, un’altra trascrizione dei destinatari, per prelevare le raccomandate veloci, le smart ed altri vari prodotti come telegrammi e contrassegni”.

Avete altro da fare o si può procedere?

“Una volta fatto tutto questo si procede all’incasellamento, il che non sarebbe un grande problema se l’attrezzatura fosse idonea allo scopo. Invece non è così. Non abbiamo supporti tecnologici adeguati, non ho una borsa, manca anche quella per le raccomandate, ovvero una borsa unica dedicata esclusivamente a quei prodotti”.

Quindi la vostra giornata lavorativa va ben al di là di quanto non dicano le Poste?

“Si, perché a furia di accumulare ritardi ci si riempie di scarti, e visto che gli scarti non possono essere messi lì in un angolo, vuol dire che mediamente ci si trova a lavorare due ore in più ogni giorno, senza dimenticare che spesso mi tocca smaltire carichi di altri colleghi, il tutto gratuitamente”.

Ma qual è stato il tuo primo impatto con l’ufficio?

“Il rappresentante sindacale, del quale però non rivelerò la sigla, ha chiesto ed ottenuto la mia adesione per tre mesi. Un gesto che mi ha lasciato basito in quanto evidentemente finalizzata al desiderio di sfornare tessere, una voglia spasmodica di poter godere di un numero in più così da portarsi a casa i miei 11 euro mensili per tre mesi. Non pago di ciò, tira acqua al suo mulino chiedendo di appoggiare ogni sua singola iniziativa”.

E con i tuoi colleghi contrattualizzati come va?

“Generalmente ci troviamo ad avere a che fare con persone di una certà età, spesso prossime alla pensione, persone cambiate nel profondo a causa del lavoro ed incapaci per questo di mantenere rapporti normali con quello che rappresenta la società nella sua interezza”.

A livello di rapporti interpersonali invece come ti sei trovato?

“Anche in questo caso si è trattato di un impatto un po’ traumatico. Il mio titolo di studio mi portava ad essere discriminato. Molto spesso mi sono trovato in situazioni di attrito con persone le quali avevano iniziato a lavorare appena concluse le scuole dell’obbligo. Insomma, la situazione non è un granché, e poi bisogna anche mettere in conto i furti”.

Furti?

“Si, all’interno dell’impianto, sia di pacchi sia di effetti personali dei colleghi. Bisogna stare attenti a cosa lasciare sullo schedario. Con il passare dei mesi ho capito che più si riesca ad essere “bestie”, più si riesca a generare empatia con gli altri. Fortunatamente ho due colleghi splendidi, con una buona cultura ed una buona fiducia. Solo che poi ti trovi tre furgonisti diversi ogni settimana, ed oltretutto perdi tempo ad istruirli nel giro”.

E qual è stata la reazione?

“Il direttore ha minacciato l’intera squadra distribuzione sostenendo che avrebbe chiamato il reparto investigativo governativo della Polizia di Stato mettendo su di loro una grandissima pressione, anche durante lo svolgimento del lavoro”.

Vengono fatti dei controlli sull’efficienza del lavoro?

“Si, ma vengono somministrati in modo arbitrario. Parliamo dei controlli qualità, ovvero dei plichi particolari trattati come una raccomandata ma che possono essere imbucati come posta normale. Se la consegna non viene fatta bene, questo può portare pesanti ripercussioni per tutto il settore di competenza. A volte capita però che le specifiche di consegna di pacchi particolari come quelli con microchip siano errati e non permettono la memorizzazione degli indirizzi con rischio di suono dell’allarme in caso di ritorno del pezzo”.

Nell’annuncio si parla di buoni pasto. Tu ce li hai?

“Se devo essere sincero non ho mai capito come funziona la cosa. Questi non vengono consegnati in modo corretto. A volte ci sono, a volte no e non si capisce il perché del disguido. E quando arrivano non sono coerenti con quanto si è lavorato”.

E per quanto riguarda i Liberty 125, li puoi usare?

“Si, ma il mezzo è fatiscente, e questo influenza e non poco l’attività. Inoltre a causa dell’eccessivo peso dato dal materiale trasportato, nonostante le prove compiute al momento dell’ingresso, il mezzo non si comporta come ci si dovrebbe aspettare. Il mio motorino non frena, ha problemi all’avantreno, le gomme sono secche, per questo non tiene la strada. Ed in tutto questo ci sono problemi d’assetto. Eppure ha solo 15 mila chilometri”.

E per i pesi?

“Prima d’iniziare il lavoro, nei vari corsi, ci hanno comunicato i pesi, ovvero di 36 chili a secco nel bauletto posteriore, 23 all’anteriore e cinque nella borsa centrale. Questa non l’ho mai avuta, quindi devo smistare la roba alla bell’e meglio, con il rischio di lasciare roba indietro. E non ho neanche spazio per una bottiglietta d’acqua”.

Ma l’attrezzatura nel suo complesso la ritenete adeguata?

“No, e neanche i carrelli se è per questo. La mole di lavoro è eccessiva e non possiamo gestirla. Per questo ognuno ha il suo metodo di lavoro, per questo anche il corso di formazione, per quanto previsto, è del tutto inadeguato allo svolgimento del compito da parte del portalettere”.

E se ti fai male? Hai una copertura?

“No, eppure siamo esposti a rischi, vedi il giro con il motorino. Se il medico fiscale non certifica un infortunio, noi non ci vediamo riconosciuti nulla di nulla, anche come semplice copertura”.

Perché quindi non consiglieresti di fare questo lavoro?

“L’impiego in posta ha rappresentato il mio primo contratto firmato in tutta la mia vita. In quel momento ero felice perché pensavo ad uno stipendio sicuro. Poi a causa dei tempi morti e della mancanza di pause spesso non si riesce neanche ad andare in bagno perché mancano proprio i minuti per poter fare una scappata. Per lo stesso motivo non si può mangiare. Dedico un pensiero ai nuovi assunti: preparatevi ad una situazione pessima dove il mondo del lavoro si presenta per quello che è, scarse possibilità e tanta incoerenza”.(Photocredit Getty Images / Lapresse)