La diga dei guai in Etiopia

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Mubarak aveva minacciato di bombardarla, Morsi prende tempo, e intanto il "mostro" va avanti. Un progetto gigantesco e costoso, mentre la popolazione ha fame

La Grand Ethiopian Reinassance Dam (GERD) o Grand Millennium Dam è un progetto dalle molte incognite che ha richiesto un investimento enorme da parte di un regime che non riesce a sfamare la popolazione.



IL SOSPETTO – L’idea dell’opposizione etiope è che anche se nel paese l’energia elettrica non abbonda, una tale capacità di generazione non potrà essere assorbita domesticamente e dovrà essere venduta ai paesi vicini. In questo modo il sospetto è che tutto l’investimento non potrà che andare ad arricchire chi ha le chiavi della cassa dell’azienda elettrica nazionale e chi ha disposto gli appalti per le dighe, uno dei regimi più corrotti d’Africa. Opere in questo caso tutte accaparrate dall’Italiana Salini, ora Salini-Impregilo, che nel corso degli anni ha costruito tutte le più contestate opere idrauliche nel paese, ottenendo gli incarichi senza gara. La polemica ha tenuto banco a lungo ed è oggetto d’indagini giudiziarie, sorvolando agile formalità come le valutazioni d’impatto ambientale e le conseguenze per le popolazioni a monte e a valle delle opere.



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I PROBLEMI DAL PASSATO – Il governo italiano ha contribuito a finanziare altre dighe e Salini, ha ottenuto quasi tutti gli appalti, ma poi lo stesso governo ha cancellato il previsto prestito di 250 milioni di euro per la diga di Gilgel Gibe III, a causa delle perplessità sull’impatto sulle popolazioni locali sollevate da numerose ONG e dalle stesse comunità. Indimenticabile un viaggio del ministro Frattini maledetto dalla sfortuna, andato a raccogliere i ringraziamenti di Zenawi a Berlusconi all’inaugurazione della Gilgel Gibe II,  questa è disgraziatamente crollata a pochi giorni dall’inaugurazione.  La “operazione verità” intentata dal costruttore per far fronte a critiche e alle notizie delle inchieste, non ha avuto un grande successo, è stata per lo più ignorata e poco ha potuto di fronte alle precise critiche e al quadro emerso dalle nebbie di accordi presi nella più assoluta opacità.



UNA DIGA ENORME – L’opera, costruita sul Nilo Azzurro  poco prima che entri in Sudan, sarà la più imponente del continente ed allagherà una vasta area, impattando per forza sul corso del Nilo, che contribuisce ad alimentare insieme al Nilo Bianco con il quale s’incontra presso la capitale sudanese Khartum. Il Nilo è l’aorta dell’Egitto, che se ne è assicurato fin dal tempo delle divisioni coloniali la portata, ma oggi il presidente Morsi ha forse troppi problemi per mostrare i muscoli al regime etiope, di recente rimasto orfano di Meles Zenawi senza apparenti scosse. Secondo Morsi la diga servirà solo per produrre energia, che l’Egitto potrà acquistare e l’acqua non diminuirà, ma è chiaro che si tratti di un’affermazione insostenibile e che Morsi stia allontanando nel tempo la grana.

INVECE – In verità in Egitto e Sudan aspettano ancora un rapporto sulle conseguenze ambientali, che a meno di sorprese dovrebbe contribuire ad alzare moltissimo le tensioni rivelando il bluff, perché non è proprio possibile pensare che un oggettino del genere non provochi alterazioni del corso del fiume che va a modificare. Dice il sito di Salini:

Il progetto, attualmente in fase di costruzione, è situato sul Nilo Azzurro nella regione di Benishangul – Gumaz, a circa 500 Km a nord ovest della capitale Addis Abeba.
Al termine dei lavori Grand Ethiopian Renaissance Dam sarà la diga più grande d’Africa: lunga 1800m, alta 170m e del volume complessivo di 10 milioni di m3.
Il progetto prevede la costruzione di una diga principale in calcestruzzo rullato compatto (RCC), con 2 centrali elettriche installate ai piedi della diga. Le centrali sono posizionate sulla sponda destra e sinistra del fiume e si compongono di 16 turbine Francis, con una con una potenza installata di 6000 MW ed una produzione prevista di 15.000 Gwh/anno.
Completano il progetto uno sfioratore di calcestruzzo rullato e una diga ad arco lunga 5 km e alta 50 m, entrambe posizionate sulla riva sinistra.

I SOLDI – La costruzione doveva essere finanziata interamente dall’Etiopia secondo l’idea del regime, che ha munto i cittadini e sollecitato la diaspora a contribuire, ma che poi ha ottenuto prestiti da cinesi e americani, poco o niente dall’Italia che ancora è in tribunale per i finanziamenti concessi agli altri impianti. I quasi 5 miliardi di dollari previsti corrispondono circa al 10% del Pil etiope, per dare un’idea dello sforzo.

COSA DICONO I NUMERI – Che la diga possa lasciare inalterata la portata del Nilo Azzurro è fuori discussione. Costruita a 25 chilometri dal confine sudanese, la diga comporterà l’allagamento di un vasto bacino nella regione del Benishangul-Gumuz, fortunatamente poco popolata, e conterrà l’equivalente della portata annuale del fiume Il che significa che a riempirlo in 10 anni si ridurrebbe la portata del Nilo blu del 10% all’anno per quel periodo, dopo di che questa potrebbe tornare normale, salvo essere regolata dalle chiuse di GERD invece che dal ritmo delle precipitazioni stagionali. Ma non basta, perché l’apparizione dell’enorme bacino a monte della diga comporterà una notevole perdita per evaporazione ed è altrettanto evidente che dalla barriera non passerà più la stessa quantità di materiale alluvionale che dagli altopiani dell’Etiopia va ad arricchire il limo del Nilo, fondamentale risorsa per l’agricoltura. In più c’è da considerare che anche l’Egitto e il Sudan hanno numerose  dighe sul corso del fiume, il rendimento delle quali sarà inevitabilmente influenzato dalle manovre della diga etiope.

RIMANDARE E POI? – Prima o poi sudanesi ed egiziani si troveranno quindi a dover fare i conti con le conseguenze di questo progetto e, se anche la presentazione del rapporto sull’impatto ambientale si dovesse rivelare stranamente rassicurante, la realtà busserà inevitabilmente alla porta quando la diga sarà terminata e comincerà l’allagamento del bacino.