«Frigerio mi confidò che Berlusconi era il referente»
15/05/2014 di Alberto Sofia

«La “cupola” esisteva e Gianstefano Frigerio mi diceva che il suo referente politico era Silvio Berlusconi». Dopo aver ammesso che, per ottenere gli appalti per l’Expo, era stato costretto a pagare, l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro ha fornito nuovi dettagli sul sistema delle tangenti che i manager della sua impresa di famiglia sarebbero stati costretti a pagare. Come ha spiegato “La Repubblica”, sul ruolo del leader di Forza Italia, non indagato nell’inchiesta, il ricordo di Maltauro è stato indiretto: «Io Berlusconi non l’ho mai incontrato», ha chiarito nel corso dell’interrogatorio, durato circa nove ore e poi “secretato”. I magistrati dovranno chiarire se il riferimento all’ex presidente del Consiglio è soltanto una millanteria o se emerga un ruolo attivo nella nuova Tangentopoli che si nascondeva dietro la rassegna, a oltre 20 anni di distanza da “Mani Pulite”. Ma, come sottolinea il quotidiano diretto da Ezio Mauro, «un livello più alto e politico è un elemento che resta nel sottofondo». Lo stesso Maltauro ha precisato come il “Professore” – come si faceva chiamare l’ex parlamentare Dc Frigerio, fulcro dell’organizzazione – si vantava di riuscire ad avere contatti anche in Regione Lombardia e con diversi politici dei palazzi romani.

«MI ADEGUAVO AL SISTEMA» – Per i magistrati l’interrogatorio di Maltauro ha confermato per intero l’impianto accusatorio. Non senza confermare i numeri sulle mazzette versate ai vertici della “cupola”, per aggiudicarsi gli appalti legati all’Expo e alla Sogin (società del Tesoro società incaricata della realizzazione del deposito nazionale definitivo dei rifiuti radioattivi e dello smantellamento degli impianti nucleari dismessi): 100mila euro al mese, per un totale di 1,2 milioni di euro (600mila pagati, altrettanti promessi). Già attraverso un’intercettazione ambientale risalente al 2013, è stato ricostruito come la “cupola” volesse da Maltauro 100mila euro al mese. Spiegava Frigerio: «Io gli ho già detto che prima di Natale vorrei almeno un centinaio a testa… poi ogni mese…». Poi, in cambio del denaro, il gruppo faceva da intermediario con il mondo politico. «C’era un sistema di tangenti e io mi adeguavo», ha sintetizzato Maltauro di fronte ai pm, negando però di far parte dell’associazione a delinquere. L’imprenditore vicentino ha poi coinvolto in modo esplicito l’ex senatore Luigi Grillo, accusandolo di aver «incassato mazzette», oltre a precisare il ruolo di Primo Greganti, l’uomo che «garantiva gli interessi delle cooperative rosse». Sulla stessa linea anche Sergio Cattozzo, l’ex esponente ligure dell’Udc: anche lui ha confermato l’ipotesi dell’accusa e l’esistenza di appalti truccati e di tangenti, con promesse di carriera ai pubblici ufficiali complici. In particolare, Cattozzo ha fornito spiegazioni sui pizzini che riportavano la “contabilità” delle tangenti. Biglietti che il mediatore aveva cercato, invano, di nascondere nelle mutande. E ritrovati dagli inquirenti al momento dell’arresto. In quei tre post-it Cattozzo aveva segnato il denaro versato dall’imprenditore vicentino: 590 mila euro tra l’anno scorso e quest’anno. A lui invece i compensi sono stati versati da Maltauro, sotto forma di falsi contratti per 300 mila euro lordi a cui si aggiunge, come benefit, un’Audi da circa 60 mila euro. Maltauro e Cattozzo erano stati filmati dagli investigatori mentre prendevano accordi. Con tanto di consegna della bustarella.
PARIS ALLA CUPOLA: «QUAL È LA LINEA SUGLI APPALTI?» – I pm devono fornire il loro parere sulla richiesta di arresti domiciliari avanzata da Angelo Paris, il direttore generale acquisti e numero due di Expo a livello gerarchico. Ma dalle carte dell’inchiesta sono emersi nuovi dettagli: il 21 marzo Paris contattava Sergio Cattozzo, chiedendo quale doveva essere «la linea da tenere», sulla gestione dei bandi di gara e sugli appalti milionari da assegnare. Tra le aziende da avvantaggiare non c’erano però soltanto quella di Maltauro e la Manutencoop di Levorato. Secondo l’accusa vi era «una vera e propria squadra», con tanto di aziende minori sullo sfondo da privilegiare. Repubblica riporta tra queste «la Final spa, la Prima impianti, la Safond Martini Srl, la società cooperativa Virida e la Olicar». Secondo l’accusa, Paris proponeva «soluzione cooperative idonee a soddisfare le varie esigenze, persino in relazione al delicato profilo della gestione delle controversie contrattuali tra ente appaltante e imprenditore aggiudicatario, segnalate con riferimento ad appalti già aggiudicati da Expo». I pm hanno depositato il ricorso al Tribunale del Riesame contro il rigetto da parte del gip dell’arresto di altre 12 persone. Tra questi ci sono i nomi di Giuseppe Nucci e Alberto Alatri, i due ex manager di Sogin, la società a partecipazione pubblica che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari in Italia, e anche di Giovanni Rodighiero, ritenuto il braccio destro di Frigerio.
CASELLI: «SUBITO UNA SVOLTA ETICA » – Intervistato dalla Stampa, è stato l’ex magistrato Gian Carlo Caselli (ora presidente dell’osservatorio sulla criminalità in agricoltura creato da Coldiretti con Eurispes, ndr) a invocare una «svolta etica, non soltanto sugli appalti». «Oltre a monitorare le opere materiali, per non compromettere irreversibilmente l’ immagine immateriale dell’ Expo, bisogna rilanciarlo anche nei contenuti. L’ Italia per molti profili ha il primato della sicurezza alimentare, ma anche zone grigie: un terzo dei prodotti venduti come Made in Italy contiene materie prime straniere all’ insaputa dei consumatori e in danno delle nostre aziende», ha aggiunto Caselli. Secondo l’ex magistrato, «l’ Expo non va fatto a tutti i costi, dunque è inaccettabile che il prezzo per farlo sia il cedimento all’ illegalità». Allo stesso tempo, «non farlo perchési sono scoperte illegalità sarebbe un cedimento altrettanto inaccettabile», ha spiegato. La soluzione? «Argini robusti per il rispetto della legalità». Per Caselli sono «ancora possibili», ma ha precisato come sia necessario «intervenire subito, senza perdere tempo, perché l’ inchiesta di Milano ha rivelato una crisi profonda.