Fascisti contro Partigiani, 2012 edition

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Un gruppo di reduci dell'Rsi ha celebrato l'anniversario della morte del Duce con un cippo in marmo nel luogo in cui è stato ucciso mentre tutta Italia ricordava la lotta antifascista. E ovviamente scoppiano le polemiche

“Il 25 aprile è una festa di riunificazione nazionale”. Con queste parole il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto ricordare da Pesaro il significato di quel giorno di 67 anni fa in cui finì per il nostro Paese la Seconda Guerra Mondiale.



L’INIZIATIVA – Ma siamo sicuri che sia davvero così? Pochi giorni dopo, e precisamente il 28 aprile, 200 nostalgici appartenenti alla Unione nazionale combattenti della Repubblica sociale italiana, vestiti con camicia nera e tricolore con l’aquila al centro hanno affisso una lapide con l’effige del Duce e della sua amante, Claretta Petacci, ritratti in abiti civili, divisi da un libro aperto. Appena è stato intonato il nome “Benito Mussolini”, i presenti hanno scandito per tre volte la parola “Presente” con tanto di saluto romano. Il cippo è stato poi benedetto da don Luigi Barindelli, parroco di Mezzagra.



GRAZIE – Questa manifestazione è stata organizzata per celebrare il centesimo compleanno di Mario Nicollini, reduce della Rsi, responsabile della commemorazione del Duce a ogni 28 aprile. Nicollini, assente per motivi personali, ha comunque inviato un messaggio nel quale esprimeva la sua felicità per la realizzazione dell’iniziativa. La lapide non è stata affissa “motu proprio” da parte dei nostalgici di Salò ma è stata autorizzata dal sindaco, la leghista Claudia Lingeri.

LA DIFESA DEL SINDACO – “Quando ho ricevuto la richiesta dagli ex combattenti della Rsi l’ho posta alla mia maggioranza per valutare cosa fare. Alla fine nessuno ha avuto da obiettare, anche perché non vi è nessuna rievocazione storica ma soltanto un ricordo umano delle due figure. È un omaggio a due persone morte, non una riabilitazione del fascismo”. Eppure la stessa Lingeri ha negato all’Anpi, l’Associazione nazionale Partigiani, la possibilità di porre un’indicazione più esplicita del luogo in cui morì Mussolini anziché il cartello “Fatto storico 1945”. La motivazione del diniego risiedeva nella difficoltà dovuta sia alla cartellonistica stradale sia al fatto che l’indicazione rientra in un percorso tra i luoghi che segnano la fine del fascismo, percorso voluto dalla Provincia di Como.



LE PROTESTE DELL’ANPI – L’Anpi provinciale di Como, in una lettera consegnata al Sindaco lo scorso sei aprile, chiedeva la possibilità di ricordare con il cartello sopracitato l’esecuzione del Duce, da affiancare al cippo commemorativo. Il cartello, le cui spese se le sarebbe accollate direttamente l’Anpi, avrebbe dovuto recitare: “Qui, il 28 aprile 1945, la Resistenza italiana pose fine al regime fascista, eseguendo la condanna a morte del dittatore Benito Mussolini”. Non solo. L’Associazione aveva anche chiesto di apporre nella piazza principale del Paese, ovvero piazza 28 aprile 1945 -giusto per capire di cosa stiamo parlando-, Riteniamo anche che sarebbe utile che nella piazza principale del paese, la piazza 28 Aprile 1945, “un cartello di tipo turistico, giallo, che spieghi in sintesi i fatti accaduti: fermo della colonna nazista in ritirata, arresto e fucilazione di Mussolini quale ultimo atto della resa del fascismo”.

PER LA VERITA’ STORICA – Il secondo cartello avrebbe anche potuto aspettare, visto che l’Anpi ritene tutt’ora necessario, ancorché giusto, controbattere all’iniziativa dell’U.N.C. R.S.I.

Egregio Signor Sindaco. Si è molto parlato nelle scorse settimane – non solo sulla stampa locale – della nuova targa recante immagini di Mussolini e della Petacci che i reduci della repubblica di Salò Le hanno chiesto il permesso d’affiggere sul muretto di Villa Belmonte, ottenendo il Suo assenso.

Mezzegra non solo fu teatro degli avvenimenti conclusivi della Resistenza al nazi-fascismo, ma ha pure dato un doloroso contributo di sangue alla Lotta di Liberazione, con la vita di tre giovani concittadini caduti nella Battaglia di Lenno. Vogliamo perciò pensare che Sindaco e Giunta Comunale abbiano concesso il permesso non già come un atto d’omaggio alla memoria di un dittatore guerrafondaio, artefice di vergognose leggi razziali e causa di tanti lutti per il nostro Paese, né per ingraziarsi i suoi tristi e patetici epigoni, ma solo per un’operazione di verità storica.

Anche noi siamo sempre e comunque per la verità storica. Ed è sicuramente un contributo alla verità storica ricordare – grazie alla foto della Petacci – che il Duce del Fascismo, dopo aver trascinato l’Italia nell’orrore della guerra, in quei giorni dell’aprile 1945 stava vergognosamente cercando di fuggire all’estero, abbandonando il Paese al suo destino (ma trafugando oro e denaro), e abbandonando pure la sua famiglia (ma portando con sé la giovane amante). Le due foto illuminano più di molte parole la statura morale dell’uomo-Mussolini.

INIZIATIVA PERSONALE – Ma chi si cela dietro questa iniziativa? Perché bisognerebbe indignarsi tanto? Lo abbiamo chiesto a Gianni Rebaudengo, Presidente del Raggruppamento Nazionale Combattentie Reduci RSI, giornalista dal 1950. Dapprima ha voluto subito fare un distinguo rispetto all’Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana: “siamo vicini di casa, ormai la separazione è avvenuta sei anni fa”, ed ha sottolineato come “si tratta di un’iniziativa personale non legata all’attività dei gruppi dei reduci dell’Rsi”.

IL RICORDO A PREDAPPIO – Continua Rebaudengo: “Noi non possiamo entrare nel merito di una singola iniziativa. Noi cerchiamo sempre di ricordare i nostri morti, così come abbiamo fatto con le spoglie del nostro primo caduto, Benito Mussolini, ricordato a Predappio, dov’è sepolto. Il nostro 29 aprile lo si passa nei cimiteri e negli ossari con migliaia di reduci, soldati riconosciuti a livello internazionale che hanno combattuto per la Repubblica Sociale Italiana”.

NON RICONOSCONO I NOSTRI MORTI – Quando gli si chiede delle manifestazioni in risposta ai cortei fascisti organizzati da movimenti contrari i quali definiscono i nostalgici degli “imbecilli”, il suo tono si fa improvvisamente cupo e si capisce la necessità per i reduci di Salò di ricordare, una necessità spesso non riconosciuta: “Loro non hanno rispetto per i nostri morti. Noi siamo combattenti riconosciuti da tutta europa, i partigiani invece solo dallo stato italiano. Tra di loro poi ci sono delle differenze, i partigiani bianchi hanno sempre mostrato il massimo rispetto, mentre quelli rossi, d’ispirazione comunista, ci hanno sempre impedito di parlare”.

MAI AL PIANO DEI PARTIGIANI COMUNISTI – “Il nemico caduto è sacro -continua Rebaudengo- non si tocca. Non lo si offende. Non è nel nostro Dna. Noi abbiamo rispetto per tutti i morti, mentre loro, i partigiani comunisti, ci vietano di ricordare quelli che sono i nostri caduti. Vengono nei nostri cimiteri, spaccano le nostre lapidi, ci impediscono di ricordare e di onorare i nostri caduti. Non abbiamo mai contestato il ricordo dei morti dell’altro lato. Non ci metteremo mai al piano dei partigiani comunisti. Noi che dobbiamo fare? Ricostruiamo, ricominciamo da capo. Rimettiamo di nuovo le lapidi”.

UN ERRORE – Secca la risposta di Antonio Pizzinato, presidente Anpi della Regione Lombardia, già a capo della Fiom, deputato e senatore, ma sempre operaio specializzato come ha voluto ricordare nell’intervista. Secondo Pizzinato la risposta a certe parole sta nella storia: “Quella lapide è un errore. Si vuole ricordare chi è responsabile di vent’anni di dittatura fascista che ci portò alla guerra”. Pizzinato ricorda la legge Scelba, la 645 del 23 giugno 1952 che punisce l’apologia del Regime Fascista e del PNF, classificandole come reato.

 

LEGGE VIOLATA – Pizzinato rifiuta anche la visione secondo la quale il cippo sarebbe opera di un ristretto numero di nostalgici: “Erano presenti individui in camicia nera impegnati nel saluto romano. Stiamo parlando di atti che violano le leggi. Non possiamo mettere sullo stesso piano le singole persone e gli atti che essi compiono. Ricordiamo che stiamo parlando di un’associazione di soldati”. Per quanto riguarda il riconoscimento dei partigiani, Pizzinato ricorda come “a partire da Cefalonia furono migliaia gli italiani che scelsero di essere a disposizione dello Stato e che vennero riconosciuti con decreti luogotenenziali del Regio Esercito pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale”.

IL DUCE ERA VESTITO DA MILITARE TEDESCO – Pizzinato si riferisce al decreto luogotenenziale del Regio Esercito emesso da Umberto II, il Re di Maggio, il 14 aprile 1945 nel quale i partigiani venivano riconosciuti come “cobelligeranti”, e quindi militari a tutti gli effetti. Lo stesso presidente di Anpi Lombardia ha voluto ricordare come “il primo caduto della Rsi stava scappando vestito da militare tedesco”. Infine parla de “lo zio di mio padre venne fucilato dai repubblichini il 27 aprile 1945”, quindi nello stesso giorno in cui venne arrestato Mussolini. La nota serve anche per contestare i 50.000 morti tra le file repubblichine dopo il 25 aprile di cui aveva parlato Ribaudengo.

 

QUALE UNITA’? – Quest’ultima nota serve “a non alterare la storia. Dobbiamo stare attenti perché ci vuole poco. Il Comune di Giulino di Mezzegra ha autorizzato questa cosa. Noi nella nostra lettera abbiamo chiesto cose precise ma ci hanno ridposto di no. Il fascismo non è stato un fenomeno indifferente, così come l’Rsi”. Unico punto in comune con Ribaudengo “il rispetto e la condivisione dei morti”. Alla luce di queste due interviste resta una domanda: Festa di tutti? Chi l’ha detto? Come fa ad essere la festa di tutti gli italiani se le posizioni tra i protagonisti sono così antitetiche? Parliamo dei nostri padri, dei nostri nonni, di persone ancora vicine che hanno vissuto in prima persona quegli anni tragici. Non basta una parola, un sorriso, uno slogan elettorale per cancellare tutto questo, e i “grandi” ce lo insegnano, una volta di più.

L’ARRESTO DI MUSSOLINI – Prima di chiudere, per tutti coloro che magari non sanno o non hanno bene in mente cosa successe tra il 27 e il 28 aprile 1945, ecco riassunto per sommi capi l’arresto e la fine di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Ricordate la rabbia che espresse la popolazione di Milano sui corpi dei due, e forse capirete perché il 25 aprile forse non sarà mai condiviso. Il Duce venne arrestato a Dongo, in provincia di Como, alle 15 e 27 del 27 aprile, dai partigiani del Colonnello Valerio, durante l’ispezione della colonna tedesca che gli faceva da scorta. Il Duce venne trovato con indosso un cappotto e un elmetto da sottoufficiale della Wehrmacht, su consiglio del capo della sua scorta, il tenente SS Fritz Birzer, mentre la Petacci viaggiava con un passaporto spagnolo intestato a Donna Carmen Sans Balsells.

L’ARRIVO A BOZZANIGO – Il Duce dopo l’arresto venne trasferito nella caserma della Guardia di Finanza di Germasino, mentre a Milano il comitato insurrezionale formato da Sandro Pertini, Leo Valiani, Emilio Sereni e Luigi Longo aveva deciso di inviare una missione a Como per procedere all’esecuzione del Duce. I partigiani trasmisero agli alleati un fonogramma nel quale si annunciava l’esecuzione di Mussolini avvenuta in Piazzale Loreto, lo stesso luogo dove il 10 agosto 1944 i fascisti uccisero “quindici patrioti”. Nonostante il depistaggio la notizia del trasferimento a Germasino si diffuse rapidamente. I timori erano dettati da un colpo di mano fascista o il tentativo da parte degli Alleati di portare via Mussolini. Il comandante generale Raffaele Cadorna aveva deciso di portare il Duce a Blevio, sulla sponda opposta del Lago di Como. Constatato che era impossibile per via dei posti di blocco e vista l’avanzata del 34esimo battaglione statunitense, il Duce e la Petacci vennero portati a Bonzanigo, frazione di Mezzegra, e ospitati dalla famiglia De Maria.

L’ESECUZIONE – Alle 15.15 del 28 aprile Walter Audisio “comandante Valerio” parte da Dongo in direzione di Bonzanigo, Con lui Aldo Lampredi “Guido”, Michele Moretti “Pietro”, che conosceva i carcerieri ed il luogo essendoci già stato la notte prima e l’autista Giovanni Battista Geninazza. Moretti ha un mitra francese MAS calibro 7,65 lungo, Lampredi ha una Beretta calibro 9 del 1934 e Audisio un mitra Thompson. Giunti a casa De Maria Mussolini e la Petacci vennero invitati a lasciare rapidamente l’abitazione. Saliti in macchina vennero portati in  XXIV Maggio a Giulino di Mezzegra, un angusto vialetto in posizione abbastanza riparata davanti a una casa di villeggiatura, Villa Belmonte. Fatti scendere i due condannati, Moretti e Lampredi bloccano la strada nelle due direzioni. Mussolini viene diretto verso il cancello, tra le lacrime della Petacci. Valerio pronunicia la sentenza:

“Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”

Al momento dell’esecuzione il mitra s’inceppa, così come la pistola di Lampredi. Arriva quindi Moretti che dà il suo mitra a Valerio il quale scarica cinque colpi sull’ormai fu Capo del Fascismo. La Petacci si pose improvvisamente tra le pallottole e l’uomo che amava, rimanendo uccisa “per errore”. Con la Beretta verrà inferto il colpo di grazia. Sono le ore 16.10 del 28 aprile 1945.

LA FINE – “Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo”. Con queste parole l’Unità celebrava il 29 aprile la fine del Duce e del fascismo. I corpi dei gerarchi fucilati, così come quello del Duce e della Petacci, vennero portati in Piazzale Loreto dove arrivarono alle 3.40 di domenica 29 aprile. Si decise di portarli lì per vendicare la morte dei 15 partigiani esposti poi al sole di agosto da parte dei repubblichini in opera di dileggio, impedendo alle famiglie di raccoglierne i resti per 24 ore. Alle 7 del mattino i primi passanti videro i corpi. Il passaparola fu immediato. I cadaveri vennero calpestati e sfigurati. Chi sputò sui corpi, chi li dileggiò ponendo nelle loro mani un gagliardetto fascista, chi lanciò ortaggi sintomo di cinque anni di carestia, chi violentò il cadavere della Petacci. Ci furono scene di bestialità tanto che i pompieri dovettero intervenire lavando i cadaveri e issandoli alla struttura della pompa di benzina Standard Oil, poi Esso, oggi non più esistente. In serata il In serata il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia si assunse la responsabilità dell’esecuzione di Mussolini quale “conclusione necessaria di una lotta insurrezionale finalizzata alla volontà di rottura con il fascismo, segnando la fine di un periodo storico di vergogne e di delitti ed inaugurando l’avvento di una nuova Italia”.