Gli ebrei e la Terra promessa di Stalin

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La piccola regione autonoma ebraica sopravvive ormai quasi senza ebrei. Scartati il Caucaso e la Crimea per timore di crisi di rigetto da parte dei locali, non si trovò di meglio che l'attuale territorio all'estremità orientale della Siberia

Il territorio offerto da Stalin agli ebrei non era il paradiso, ma per molti ne è valsa la pena



IL PIANO – L’idea di costituire una regione autonoma ebraica fu abbastanza coerente con la politica d’organizzazione e assimilazione di interessi e istanze collettive all’interno del partito comunista. Dare una terra agli ebrei significava offrire un’alternativa sovietica, socialista e internazionalista al sionismo nazionalista e allo stesso tempo a togliere dall’orizzonte qualsiasi questione ebraica a inquinare l’ateismo di stato. Gli ebrei avrebbero avuto un oblast, un territorio tutto per loro da acconciare secondo la propria cultura e sarebbero entrati a pieno diritto nel mosaico d’etnie e d’autonomie comprese sotto il grande ombrello sovietico.

 



IL POSTO – Scartati il Caucaso e la Crimea per timore di crisi di rigetto da parte dei locali, non si trovò di meglio che l’attuale territorio all’estremità orientale della Siberia, a qualche centinaio di chilometri nell’interno rispetto a Vladivostok e appoggiata sul confine settentrionale con la Cina. Un territorio fertile, ma all’epoca scarsamente abitato, scoperto e percorso solo in epoche appena precedenti dagli esploratori e dai geografi russi. L’istituzione dell’oblast è infatti di poco successiva alle esplorazioni, tra gli altri, di Arsen’ev, che ricorderà l’esperienza in quella parte della Siberia nei suoi diari, dai quali verrà poi tratto uno dei capolavori di Kurosawa: “Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure“. Il film, girato interamente nella taiga a metà degli anni ’70, rende bene l’idea dell’epoca pionieristica.

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LE REGOLE DEL GIOCO – Stalin non deportò gli ebrei in Siberia, il progetto fu sostenuto da una serrata propaganda e vennero create un’agenzia (KOM2ST o  KOMERD in Yiddish) e un’associazione (OZET  o GEZERcT in Yiddish). Il 28 marzo del 1928, il governo sovietico decise finalmente per l’ara di Birobidzhan, ad appena 6.000 km da Mosca, ma comoda al Pacifico. A fronte di adesioni decisamente modeste, il 7 maggio del ’34 Mosca concesse finalmente lo statuto di Oblast con la promessa della promozione a repubblica quando gli ebrei avessero raggiunto le 100.000 unità o la maggioranza della popolazione, ma non accadde mai. L’idea per un po’ godette del supporto entusiasta degli ebrei socialisti e comunisti della diaspora, tanto che anche alcuni americani si trasferirono nella nuova terra promessa. La nascita d’Israele era ancora a 15 anni e un Olocausto di distanza e il limite dei 100.000 ebrei non sembrava irraggiungibile, e con esso il sogno del primo stato ebraico, fosse anche destinato a diventare un’Israele di scorta o un’oasi ebraica in Oriente.

LO SCARSO APPEAL – Nonostante la propaganda sovietica avesse battuto le piste della diaspora facendo concorrenza all’agenzia ebraica che spingeva i correligionari in Palestina, Birobidzhan diventò presto una destinazione poco ambita, tanto che i tre quarti degli ebrei arrivati da altri paesi se ne andavano in media dopo un paio d’anni. Nel dopoguerra ci fu il picco dell’immigrazione e la comunità ebraica arrivò a toccare i 30.000, un quarto degli abitanti della regione, che a dispetto delle aspettative di Stalin non si faceva colonizzare dai pionieri sovietici e che tra le due guerre mondiali era un territorio vuoto alla mercé delle armate giapponesi che avevano invaso la vicina Manciuria cinese. Motivo che non fu secondario per la formalizzazione della generosa offerta da parte del dittatore.

OGGI – A Birobidzhan restano oggi alcune scritte in Yiddish, un’enorme menorah nel centro della città e poco più dell’1% della popolazione che può dirsi ebrea, anche se parecchi di più hanno ovviamente incrociato il sangue con quelli che sono andati e venuti. Quando poco dopo la dissoluzione dell’URSS arrivò l’agenzia d’immigrazione ebraica, quasi tutti quelli che poterono si trasferirono in Israele, che all’epoca offriva un paradiso occidentale a fronte della cronica miseria sovietica aggravata dalla disintegrazione dello stato. Alcuni sono però tornati, perché quella terra paludosa che passa dai -20 d’inverno ai 20 gradi d’estate è un posto molto più tranquillo d’Israele e oggi e una delle porte russe sulla Cina. Le sue poche decine di migliaia di abitanti sparsi su un territorio grande come la Svizzera, possono vivere molto meglio commerciando con il vicino meridionale, avido di materie prime che nella regione abbondano.

LO YIDDISH – Di ebraico restano comunque diverse insegne e iscrizioni, una nuova sinagoga un po’ pacchiana costruita dai Lubavitch e l’uso dello Yiddish, che è insegnato nelle scuole e scritto su tre pagine del quotidiano locale. Fu proprio Stalin a imporre la scelta dello Yiddish, europeo e proletario, contro l’ebraico dell’elite rabbinica sionista e così oggi la lingua un tempo parlata da undici milioni di ebrei è insegnata solo in questo remoto angolo d’Asia, anche se sta scomparendo a favore del russo e del cinese. A dimostrare la penuria il fatto che non c’è e non si trova cibo kosher nei locali pubblici se non, ironia della storia, nell’unico ristorante cinese della cittadina, dove l’intraprendente cuoco ha imparato a preparare un paio di piatti tradizionali.

LA MODERNITA’ – Birobidzhan non è più la stazione ferroviaria circondata da baracche che era negli anni ’20 e ’30, quando a spaventare i pionieri la notte si riempiva di lupi che arrivavano in gran numero in cerca di cibo, ma una moderna cittadina di provincia nella quale il tentativo di farne la Palestina sovietica e socialista ha lasciato tracce evidenti nel tessuto urbano e culturale, ma che oggi non conserva una presenza ebraica superiore a quella della media nei territori occidentali dell’URSS.

MOTIVI SOTTERRANEI – C’è una spiegazione razionale alla permanenza dello status di “regione ebraica” nonostante ormai gli ebrei siano appena il 2% e forse meno. Non si tratta di nostalgie staliniste, ma del fatto che l’oblast oggi è una zona economica speciale e trae enormi vantaggi dall’essere un’area quasi esentasse e, soprattutto, che perdendo il suo carattere ebraico perderebbe anche la sua autonomia e buona parte dei vantaggi che discendono dalla sua presunta eccezionalità e luogo d’elezione per gli ebrei. Anche per questo, qui come in altre zone della Russia, le agenzie che lavoravano per l’immigrazione israeliana sono state chiuse d’imperio.

UN POSTO TRANQUILLO – A Birobidzhan gli abitanti sembrano contenti e sottolineano che il riscaldamento e l’acqua non mancano mai, a differenza di quel che vedono accadere in altre parti della Russia e che apprezzano la tranquillità dei luoghi. Se infatti la regione ha un pregio indiscutibile è quello di aver rappresentato davvero un’oasi di tranquillità, isolata rispetto ai rivolgimenti epocali che hanno stravolto prima l’Unione Sovietica e poi la Russia, un posto nel quale lo spavento della guerra e delle rivoluzioni non è mai arrivato, persino le spietate purghe staliniane contro gli ebrei nel dopoguerra si sono risolte in pochi interventi macabramente esemplari. In questo la Palestina sovietica non poteva essere più diversa da quella mediorientale.

 

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