Gli editoriali di Ernesto Galli della Loggia
15/07/2014 di Massimo Zamarion
Anche i dilettanti a forza di dilettarsi dei propri passatempi quotidiani possono incorrere in qualche brutta malattia professionale. E’ sicuramente il mio caso. Anni di rampogne e di prese per il bavero hanno sviluppato in me un senso di superiorità invincibile, e quasi naturale, verso alcune delle mie vittime preferite; e con esso anche un senso di colpa che ogni tanto mi porta a guardare alle imprese di questi disgraziati con l’animo di chi è pronto a chiedere scusa di tutte le sfrontate punzecchiature del passato nel caso riuscissi a scorgere in loro un segno di riscatto. Ma questo, per fortuna del mio ego, non succede mai. Prendete questo editoriale di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera. Da quel che capisco (e a me pare sempre di capire benissimo e velocemente l’essenziale) il succo dell’articolo è questo: caro Renzi, stai attento, non puoi essere un rottamatore solo a parole, ma devi far seguire alle parole i fatti; ed inoltre devi nobilitare l’idea della rottamazione con una visione più alta, positiva e lungimirante della tua azione politica; e invece non solo non stai riuscendo in quest’ultima cosa, ma anche la rottamazione pure e semplice si sta inceppando; e non ti accorgi, forse, che le nomenklature, le corporazioni, l’establishment ti stanno avviluppando nei loro tentacoli, e stanno irretendo la tua azione politica, non solo con le loro sorde resistenze, ma anche, e forse di più, col loro favore cortigiano; e quindi, caro Matteo, devi spezzare queste catene e cercare il consenso del popolo. Scrive Galli Della Loggia: «È in questo modo che il carisma che certamente Renzi possiede rischia – ripercorrendo le orme fatali di Craxi e di Berlusconi – di restare un carisma vuoto. Vuoto di quella capacità essenziale per un uomo di governo che è la capacità di leadership (cioè di guidare e di fare, convincendo e creando consenso). (…) Il vero seguito, infatti, quello che gli serve per riuscire, Renzi deve cercarlo nell’opinione pubblica, e a me pare che egli debba ancora costruirselo.» Ripercorrendo però le orme fatali non di Berlusconi ma di Galli Della Loggia si scopre che l’autorevole opinionista del Corriere in un articolo del 2006, intitolato “Il leader, il popolo, e niente in mezzo” rimproverava a Silvio proprio il contrario di ciò che ora rimprovera a Renzi. Così scriveva: «Sabato, infatti, nella piazza romana c’era il popolo della destra così come naturalmente c’erano i suoi capi. Ma tra l’uno e gli altri sembrava esserci il nulla. Sul palco o nelle sue vicinanze era assente qualunque rappresentanza significativa di questo o quel pezzo di società italiana. Non solo non c’erano gli attori e i cantanti o gli intellettuali, ma neppure esponenti dell’industria e della finanza, dell’alta burocrazia, del mondo del lavoro, dell’universo delle professioni: nulla, nessun nome. (…) Erano assenti perché la destra riesce sì a portare alle urne e a mobilitare il “popolo”, cioè una massa variegata di cittadini, ma tuttora ha una grandissima difficoltà a organizzare la società, nel senso di integrarsi stabilmente con questo o quello dei suoi settori, dei suoi “ambienti”, fino ad assumerne un’organica rappresentatività. (…) Per governare, infatti, è necessario anche ascoltare i “salotti”, in certo senso perfino rappresentarli. Vantarsi del contrario manifesta un disprezzo per le élite che andrà bene per il Venezuela, forse, ma non per l’Italia. (…) Ma proprio qui si è palesato uno dei principali limiti della leadership di Berlusconi. Egli è stato incapace di elaborare una qualsiasi forma di rappresentanza sociale e di cultura della mediazione, probabilmente perché politicamente sprovvisto di una qualunque vera idea forte.» Insomma, scelga (o mostri di scegliere) il popolo oppure scelga (o mostri di scegliere) l’establishment, per Galli Della Loggia il politico non è mai all’altezza; alla “sua” altezza, almeno.