Gli orsi polari non sono “figli” di quelli bruni

E’ uno degli animali simbolo della Terra, ma le sue origini restano oscure. Attraverso l’analisi del DNA, uno studio pubblicato su Science prova a fare chiarezza sul percorso evolutivo che ha portato alla nascita dell’orso polare. E la discendenza relativamente recente dall’orso bruno viene messa in discussione.

 

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ORIGINI ANTICHE – Fino a qualche giorno fa la convizione degli scienziati era che l’orso polare fosse un discendente relativamente recente (si parla di 150.000 anni) dell’orso bruno, e che avesse sviluppato pelliccia e zampe palmate per adattarsi alla dura vita del Circolo Polare Artico. Uno studio di due ricercatori del Climate Research Center di Francoforte mette in crisi questa teoria, sostenendo invece che entrambe le specie si sarebbero evolute da un antenato comune all’incirca 600.000 anni fa. Gli orsi polari avrebbero quindi origini molto più antiche ed avrebbero un patrimonio genetico particolare. L’analisi, che riveste notevole importanza nel tentativo di proteggere gli orsi polari dai pericoli legati al global warming, non arriva però a conclusioni significative sulla sensibilità della specie al riscaldamento dei mari ed all’arretramento dei ghiacci perenni. In ogni caso la ricerca pubblicata su Science sconfessa la teoria del rapido adattamento degli orsi, confermando invece che l’adattamento si è sviluppato attraverso periodi di riscaldamento e diminuzione della superficie dei ghiacci artici.

L’ANALISI DEL DNA – La nuova scoperta è stata possibile grazie al progredire delle tecniche di analisi. Le teorie precedenti erano basate sull’analisi dei reperti fossili, nel caso degli orsi polari molto difficili da recuperare visto l’habitat gaciale della specie. Per questo gli scienziati sono ricorsi allo studio del DNA, comparando campioni di 19 orsi polari, di 18 orsi bruni e di 7 orsi neri. Nello specifico gli scienziati hanno osservato attentamente spezzoni di DNA nucleare, materiale genetico che passa ai figli da entrambi i genitori. La teoria precedente invece si basava sullo studio del DNA miticondriale, che viene passato al figlio esclusivamente dalla madre e rappresenta quindi solo una parte del corredo genetico.

LE CRITICHE – La scoperta è stata criticata dall’autrice della precedente ricerca, quella che individuava come più recenti le origini dell’enorme orso bianco. Charlotte Lindqvist dell’Università di Buffalo ha ammesso che le sue specie rappresentino due lignaggi differenti, ma ha affermato che questo non basta a datare a 600.000 anni fa l’origine dell’orso bianco. Per farlo secondo lei occorrerà prendere in analisi l’intero genoma delle due specie.

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