Gli spinelli (o la cocaina) di Vialli e Padovano
07/06/2011 di Redazione
I due ex calciatori in Aula a Torino: il secondo è imputato di detenzione di sostanze stupefacenti
Gianluca Vialli e Michele Padovano, amicissimi fuori dal campo e compagni di squadra nella Juventus di Lippi. Tanto amici, secondo l’accusa, da portare l’uno all’altro sostanze stupefacenti. Ne parla La Stampa nella cronaca di Torino, fornendo un resoconto del processo in cui Padovano è imputato e Vialli testimone:
Ventotto ottobre 2004, posticipo di Serie A, Juventus- Roma. Gianluca Vialli chiama Michele Padovano dal cellulare di Nicola Caricola, un altro ex bianconero con cui è rimasto in amicizia. I due concordano di vedersi dopo l’incontro e «Besson » (pseudonimo usato nella circostanzadaVialli) dice all’altro: «Abbondante, eh».Padovano risponde: «Sarà fatto (ride)…. ragazzaccio!». Besson- Vialli: «Eh ragazzaccio! Perché poime le porto aMilano le scarpe ». Per il pmAntonio Rinaudo i due alludevano alla cocaina. Ieri al processo aPadovano, i due, uno da imputato,Vialli come testimone della difesa, hanno parlatodi spinelli. Ilpm, a Padovano: «Poco fa, in quest’aula, Vialli ha parlato di un “patto implicito” fra di voi». L’imputato: «La sera di quella partita, ci siamo trovati a cena noi tre, c’era anche Caricola, e dopo abbiamo fumato insieme hashish. E’ successo altre volte che ci si facesse insieme 2-3 spinelli.Mai fatto uso di altre sostanze. La storia del patto implicito non so bene che sia. Immagino che, come chi porta sempre il vino, toccasse ame portare il fumo.Così era». Vialli conferma.
Il processo nei confronti di Padovano è per spaccio:
L’amicizia dai tempi dei calzoni corti con un piccolo trafficantedi droga e le intercettazioni di conversazioni ambigue e suggestive sono state la croce di Michele Padovano, alla Juve dal 1995 al ‘97, 42 presenze in prima squadra e 42 gol. Arrestato il 10 maggio 2006 e rimasto in carcere epoi aidomiciliari sinoal febbraio successivo, ieri è stato il suo giorno per difendersi in tribunale dall’accusa di aver finanziato un import di hashish dalla Spagna con 40milaeuro. «LucaMosole (il trafficante di hashish, ndr.) è mio amico dagli anni in cui eravamoragazzini.Siamo cresciuti insieme ed io non l’ho certo dimenticato quando sono diventato un buon centravanti. Abbiamo continuato a vederci insieme con le nostrimogli, ad andare in discoteca e in palestra insieme quando ho smesso di giocare. Sapevo che viaggiava per lavoro in Spagna, una voltami chiese 25mila euro per comprare un cavallo, glieli diedi.Dopo il suo arresto a Malaga, consegnai altre 15 mila euro alla sua compagna per le spese legali». Il cavallo, i terreni, una gru entrati nelle sue telefonate intercettate sono diventati, per l’accusa, sinonimi di stupefacenti.
Ieri, l’ex calciatore ha fornito spiegazioni per le circostanze in cui quelle parole ritenute-chiave dal pm sono state spese:
«In quell’occasione mi recai effettivamente in Toscana, con un architetto (lo cita per nome e cognome, ndr.) a vedere una tenuta che volevo comprare. Nonperfezionai l’atto perché venni arrestato poco tempo dopo». Se non era linguaggio criptico, si trattava di coincidenze perfette. La storia della gru, ad esempio: Padovano ne parla al telefono con Mosole (pure lui sentito ieri, assistito dall’avvocato Gianni Caneva). Vuole ristrutturare un cascinalenella suaproprietà diSanGillio e l’altro si offre di procurargli la gru». Guarda caso, tempo dopo, arrestano in Spagna proprio Mosole con l’hashish nascosto nei contrappesi di una gru. Padovano, però, è tranquillo nel suo completo blu e non si scompone nemmeno quando il pmgli legge il contenuto un’intercettazione ambientale sulla Tuareg diMosole. Il piccolo trafficanteparla conuncomplice e rievoca come fosse veloce il suo amicoPadovano nello scatto breve: «Solo Mennea l’avrebbe battuto, malgrado tutta la coca che tiravamo, ci sdrummavamo». Padovano: «Dovrebbe chiedere a Mosole, oltretutto io ero sottoposto a continui controlli antidoping ». Il pm: «Se è per questo, potrei farle i nomi di calciatori che hanfatto uso di cocaina».Padovano: «Ma non il mio». Il suo avvocato, Paolo Davico Bonino: «Penso che si sia chiarito che il livello di quelle conversazioni era diverso daquello intesodallaprocura».