I Drone Papers rivelano i segreti dei droni di Obama

Categorie: Mondo
Tag:

Dai documenti pubblicati da The Intercept traspare che la natura del programma è più che altro propagandistica

Con i «Drone Papers» The Intercept getta ulteriore luce sul programma americano di omicidi mirati condotti con l’uso dei droni. Le novità che provengono da documenti americani trapelati e poi pubblicati, attengono per lo più al riconoscimento della relativa efficacia della pratica da parte dei comandi americani, ma c’è anche l’autocertificazione di quelli che potrebbero essere considerati crimini di guerra.



I DRONI SONO CONTROPRODUCENTI –

Quello che emerge con forza della lettura dei Drone Papers pubblicati da The Intercept è la natura squisitamente politica e psicologica della campagna di omicidi mirati condotta dagli Stati Uniti e abbracciata con particolare entusiasmo dall’amministrazione Obama, anche dopo che Israele, vero campione della specialità in passato, vi ha rinunciato considerandola controproducente.  E controproducente è un aggettivo che aleggia di frequente anche nelle pagine dei documenti raccolti nei Drone Papers, dai quali emerge su tutto la tragica contabilità della pratica che dice che 9 persone su 10 uccise dai droni sono innocenti o vittime non volute.

I DRONI UCCIDONO SOPRATTUTTO INNOCENTI –

Non è una novità, questa valutazione supera di poco i conti più pessimistici ricavati in Pakistan, dove ci si era fermati al 75% di civili innocenti adottando il metodo di classificazione degli americani, per i quali ogni maschio adulto ucciso è un terrorista. In Pakistani i droni americani hanno ucciso circa 3.000 persone, in un paese nel quale sono stati in qualche modo autorizzati ad agire dal governo locale, quasi 500 in Yemen e altri ancora in Afghanistan e Somalia, il 90% dei quali sono un sacco di civili uccisi.



LEGGI ANCHE: Il cannone laser ammazzadroni, sul mercato tra un paio d’anni

GLI OMICIDI MIRATI MALE –

Un problema morale e legale enorme, perché se per uccidere un terrorista senza processo e sulla base d’informazioni frammentarie o della sola osservazione dall’alto, come nel caso dei signature strike, uccidi 9 civili, la pratica non può trovare giustificazione alcuna. Inoltre, se facendo affidamento su bombe «intelligenti» e valanghe di metadati uccidi per sbaglio 9 persone su dieci vuol dire che le bombe non sono tanto intelligenti e che le informazioni sono pessime. Né la sorveglianza di massa e l’analisi dei metadati, né l’humint, l’intelligence umana si sono dimostrate in grado di colmare il gap posto dall’assenza sul campo e da quel che pare di capire va bene così, perché dai documenti traspare chiaro che i bombardamenti con i droni sono soprattutto uno strumento di politica interna che serve a mostrare un governo determinato a uccidere i nemici degli Stati Uniti senza esporsi al rischio di perdite, prese di prigionieri o figuracce internazionali, come invece potrebbe accadere nel caso di blitz mirati ai quali gli americani fanno invece ricorso in casi eccezionali, come in quello dell’uccisione di Bin Laden. Le missioni un tempo denominate cattura/uccidi hanno smesso da tempo di considerare la prima ipotesi e le ragioni di questa scelta sono auto-evidenti, ma in questo modo si è scelto di combattere il terrorismo tirando bombe su strade ed edifici di altri paesi accettando di uccidere numerosi innocenti pur di poter vantare quella di qualche cattivo da esibire al pubblico di casa.



 

GLI OMIDICI MIRATI NEI DRONE PAPERS –

L’uso stesso dei droni come strumento viene messo in discussione dalla lettura dei documenti americani, l’uso di queste macchine è infatti comunque soggetto a limiti severi imposti dalla distanza, sia quelli che riducono l’autonomia delle missioni nella misura della distanza delle basi operative dai teatri d’azione, sia perché l’osservazione attraverso sensori e telecamere resta comunque limitata e fatica ad essere continua come dovrebbe, tanto che i bombardamenti con gli aerei tradizionali, quantomeno più costosi, risultano molto più precisi. Per rimediare gli Stati Uniti cercano basi più vicine agli obbiettivi e anche per questo negli ultimi anni ne hanno trovate diverse in Africa. Le basi dei droni hanno il pregio di essere meno costose, meno visibili e minacciose di quelle per gli aerei e possono essere attrezzate quasi ovunque senza dare troppo nell’occhio, anche se politicamente restano sensibili.

I DRONI AIUTANO IL RECLUTAMENTO DEI TERRORISTI –

Non bastano i sensori e non basta la capacità d’agganciare una scheda telefonica e di usarla come riferimento per i bombardamenti, i bombardamenti effettuati con aerei dotati di pilota sono più precisi di quelli effettuati con i droni, ma non importa. Importa così poco che anche il fondamentale lavoro di analisi che dovrebbe seguire ogni attacco non è effettuato. Mancano fonti sul terreno, mancano esami post mortem delle vittime, spesso non se ne conoscono neppure i nomi, veri o presunti, ma non importa, le analisi non si fanno anche perché sarebbero controproducenti e perché dell’efficacia della pratica non importa a nessuno. E quanto all’efficacia la valutazione è che oltre a non servire a vincere la guerra al terrorismo, i bombardamenti con i droni alimentino invece rancori tra le popolazioni che vivono sotto i bombardamenti. Una condizione che è stressante e fonte di numerosi malesseri anche tra quanti non sono colpiti direttamente o negli affetti, perché sapere che da un momento all’altro potrebbe piovere un missile dal cielo e compiere una strage è duro da sopportare psicologicamente, ancora di più se la minaccia dura per mesi o anni. I parenti delle vittime uccise per errore e i loro conoscenti diventano così il primo canale d’arruolamento per i gruppi che s’intendono colpire, che sono sì costretti a vivere adottando particolari cautele e impediti ad assembrarsi, ma che altrettanto certamente non possono essere eliminati attraverso l’impiego di questa discutibile tattica, che per colpire un presunto terrorista richiede il sacrificio di 9 innocenti. Un do ut des che non sarebbe mai accettato negli Stati Uniti e che per questo non può essere altrove, anche se si tratta di altrove sottratti alla giurisdizione delle corti americane e le operazioni sono autorizzate dai governi locali o da chi ne fa le veci.

LE SENTENZE SENZA PROCESSI E SENZA ACCUSE –

La conseguenza di questo stato di cose è che la definizione dei bersagli è spesso altrettanto ondivaga e fondata su criteri misteriosi. Non c’è un processo, ma c’è una condanna a morte e c’è un’esecuzione, ma spesso non è chiaro quale sia il crimine, a volte come nel caso del cittadino americano ucciso in Yemen c’è solo la militanza in un gruppo classificato come terroristico, ma al Awlaki non era mai stato accusato di aver preso parte a violenze o di averne organizzate, era uno dei comunicatori del gruppo e tanto è bastato, tanto si ragiona in uno spazio sottratto a qualsiasi sindacato giudiziario, nel quale diverse figure contribuiscono a compilare liste di persone da uccidere che poi sono sottoposte all’approvazione del presidente.

LA RESPONSABILITÀ DI OBAMA –

La posizione ufficiale degli Stati Uniti è che bersaglio degli omicidi mirati possono essere solo le persone che «rappresentano un rischio continuo e imminente per la sicurezza degli americani» o, un ancora più vago «presentano una minaccia per i soldati americani o gli interessi americani», che come noto sono ubiqui e a volte anche inconfessabili. La responsabilità dell’escalation nell’uso dei droni è sicuramente da attribuire a Obama, così come la responsabilità ultima di decidere della vita e della morte delle persone nelle kill list e quella di stabilire il sistema per redigerle e la procedura attraverso la quale passa il vaglio dei nomi, che entrano in quelle liste per mano di agenti dell’intelligence o di informatori e poi arrivano a lui dopo essere stati analizzati da diversi uffici, che giudicano ciascuno secondo i propri imperscrutabili criteri. Una responsabilità che il presidente americano porterà di fronte alla storia.

(credits The Drone Paper)