La generazione che non può lasciare la casa di mamma e papà

In Italia sono stati oggetto di battute e insulti, anche da parte di ministri che non hanno risparmiato epiteti poco eleganti. Fin dal 2007, quando fu il ministro Tommaso Padoa-Schioppa, titolare del dicastero dell’Economia e delle Finanze nel governo Prodi, a bollarli come “bamboccioni”, invitando le famiglie a mandarli fuori di casa. Poi fu la volta del governo tecnico, quello guidato da Mario Monti: se il primo ministro affermò che i giovani dovevano scordarsi il posto fisso, definito addirittura come “monotono”, era stato il viceministro  del Lavoro Michel Martone a bollare come “sfigati” quelli che “a 28 anni non sono ancora laureati”. Al coro non mancò nemmeno Elsa Fornero, che bacchettò i giovani, definendoli “choosy”, troppo esigenti e schizzinosi. Tutti pronti ad accusare i giovani che “restano a casa” o che impiegano più tempo del previsto per completare gli studi, senza considerare attenuanti non certo irrilevanti. Dai prezzi degli affitti sempre più cari, alla recessione economica, passando per il lavoro che latita e la necessità per molti ragazzi di studiare e lavorare contemporaneamente, se si vogliono cullare ambizioni senza disporre delle necessarie risorse economiche. Senza considerare come i fondi statali per le borse di studio siano stati quasi azzerati nel corso degli anni. Ma non solo: il fenomeno dei giovani che continuano a vivere con i genitori anche in età adulta, fino alla soglia dei 30 anni, non è soltanto italiano: in Spagna, come sostiene El Pais sono ben l’80 per cento del totale. E anche negli Stati Uniti, dove fino a poco tempo fa c’era il mito dei ventenni rampanti pronti a cercare fortune fuori dal nucleo familiare, i numeri sono in aumento. Negli Usa il 36% dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni anni vive ancora tra le mura domestiche. Il motivo? Anche in questo caso sono le difficoltà economiche le prime indiziate.

GIOVANI CHE VIVONO CON I GENITORI BAMBOCCIONI EMERGENZA LAVORO

 

A CASA CON MAMMA E PAPà –  Bistrattati come fannulloni, i giovani italiani sono in realtà in buona compagnia, come dimostrano i numeri di altri Paesi, in costante aumento. Quelli della Spagna, come sottolinea il quotidiano El Pais, in uno Stato che fatica ad uscire dalla crisi economica, sono ancora più pesanti: In pratica, analizzando le cifre fornite dall’Osservatorio sull’emancipazione giovanile, si può notare come quasi tutti i ragazzi spagnoli sono ancora costretti a vivere a casa con i loro genitori. Solo il 22,1% di quelli di età inferiore ai 30 vivono già fuori dalla loro casa di origine. I dati mostrati dall’agenzia del Ministero della Salute svelano una realtà preoccupante: il tasso di emancipazione tra i giovani di età compresa tra i 16 e i 30 anni è addirittura sceso di tre punti in un anno. Nel primo trimestre del 2010 è stato del 25,6%. Anche se ci sono differenze tra le fasce d’età: mentre solo il 7,2% dei giovani tra i 16 e i 24 anni vive lontano da casa, tra i 25 e i 29 anni, la percentuale supera il 40%. E tra coloro che hanno superato i trent’anni, la percentuale è più alta: il 72,9% di quelli tra i 30 e 34 anni sono stati emancipati. “Alcuni dati del report – spiega El Pais – aiutano a comprendere i motivi del perché i giovani siano ancora confinati in casa, nonostante l’età avanzata”. I giovani spagnoli, per poter comprare una casa, dovrebbero impiegare più di metà del proprio stipendio (54,2%). Non va meglio se scegliessero per l’affitto (il 47,4%). Il reddito medio annuale di un giovane è ancora pari a circa 13.659,52 euro. La situazione migliora se c’è la possibilità di mettere in comune i guadagni, come nel caso delle “giovani famiglie”, di due persone. La somma dei redditi permette di far abbassare le percentuali: in questo caso sarebbe necessario il 39,4% della somma degli stipendi per poter acquistare casa e il 34,4% per affittarla. Statistiche pesanti, nonostante sia sceso al tempo stesso il prezzo degli immobili. In Spagna, come in Italia, pesano ancora l’elevato tasso di disoccupazione giovanile (55,5%, contro il nostro 39,1%, secondo i dati Euribor dello scorso giugno) e la precarietà. Eppure in Spagna, tra i giovani costretti a restare a casa con i genitori, gran parte dispone di qualifiche professionali non indifferenti. Scrive El Pais: “Più della metà di questi risultano troppo qualificati. E questa situazione colpisce in particolare le donne: il 59% di loro, 10 punti in più rispetto agli uomini, ha un lavoro che richiede meno abilità rispetto a quelle acquisite. Il 23% dei giovani che sono ancora tra le mura di casa, invece, sono “sottoccupati” (ovvero, lavorano soltanto per un certo numero di ore, che non bastano per l’autosufficienza).

STATI UNITI: LA “BOOMERANG KIDS” – Se fino a poco tempo fa, gli Stati Uniti rappresentavano ancora il Paese del mito del “giovane che esce presto di casa”, rendendosi autonomo, negli ultimi anni la situazione è precipitata anche negli Usa. Tanto che è stata coniata anche un’espressione ad hoc, la “boomerang kids”, per definire i giovani americani che, dopo l’università, preferiscono tornare tra le mura dei genitori. In pratica, “bamboccioni d’America”, come li definirebbe Padoa Schioppa. I numeri mostrano cambiamenti importanti, se si considera che negli States restare a casa dopo 21 anni veniva giudicato fino a poco tempo fa come una “vergogna”, una sorta di tabù. Secondo un’indagine della Pew Research Institute, il 36% dei giovani americani tra i 18 e i 31 anni vive ancora con mamma e papà. Un aumento impressionante, rispetto al decennio scorso: basta pensare come nel 2000 la percentuale superasse a fatica la soglia del 10%. Tra i motivi ci sono senza dubbio le difficoltà economiche. Ma la permanenza degli under 30 americani nel “nido materno” si accompagna anche al calo progressivo dei matrimoni e all’aumento del numero delle immatricolazioni universitarie.

NUMERI ITALIANI – In Italia, se si analizzano gli ultimi dati disponibili, il numero dei giovani italiani (tra i 18 e i 30 anni) che vive ancora a casa con i genitori si attesta a sette milioni, il 60% del totale. Cifre che avvicinano il nostro Paese a quello iberico. Anche in questo caso, le ragioni fondamentali sono di carattere economico. Per un giovane di casa nostra resta ancora complicato rendersi indipendente, a causa della rigidità del mercato del lavoro, agli stipendi bassi, al lavoro che latita o è al massimo stagionale e precario. Allo stesso modo i prezzi degli affitti non aiutano, soprattutto nelle grandi metropoli, dove i giovani si lanciano nella ricerca di un lavoro. I dati geografici mostrano poi come la situazione resti accentuata nelle regioni meridionali, dove il disagio economico è maggiore. Scriveva Ilvo Diamanti in un articolo su Repubblica nel 2012:

“Alcuni anni fa (Demos 2004), oltre quattro giovani su dieci, residenti nel Mezzogiorno, si dicevano pronti a trasferirsi nel Nord o all’estero, pur di trovare lavoro. Difficile trattare da “bamboccioni” i giovani italiani. Che, al contrario, si sono ormai abituati a una vita da precari, al lavoro “temporaneo”. Ma proprio per questo utilizzano la famiglia e la casa di famiglia come una risorsa. Un salvagente. Una stazione di passaggio”.

In pratica, sfatando la leggenda del giovane italiano che resta a casa per capriccio o mancanza di volontà. E ricordando le “colpe” di una generazione che ha saputo offrire ai propri figli soltanto un futuro ormai dominato dalla precarietà.

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