I moderni pirati dei mari

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E’ possibile che nel XXI secolo esistano ancora i Capitan Uncino pronti all’arrembaggio? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.



I pirati sono stati da sempre protagonisti di storie avventurose e leggendarie: talvolta descritti come spietati rapitori e assassini, altre volte come romantici eroi solitari, complici le imprese dei corsari che insidiavano i carichi di oro e merci preziose provenienti dalle Americhe e dall’Asia e agivano in nome e per conto delle potenze che si contendevano il controllo dei mari e delle colonie. E’ però davvero difficile immaginare che le tecnologie del XXI secolo (radar, satelliti, aerei da pattugliamento navale) consentano ai pirati di continuare a esistere e a operare con successo.

– LE TEORIE SULLA PIRATERIA – Alla fine di aprile la nave da crociera italiana Melody  è stata attaccata da imbarcazioni di pirati al largo delle coste somale. La vicenda ha riportato sulle cronache una vicenda che aveva tenuto banco già qualche settimana prima, quando le forze speciali della marina militare americana, i SEAL, avevano liberato il capitano Richard Phillips  , tenuto in ostaggio dai pirati somali che avevano assaltato la nave che comandava, la Maersk Alabama. La galassia dei sedicenti siti della controinformazione si è subito messa in moto, adombrando la tesi  che la questione della pirateria somala sarebbe strettamente connessa agli interessi economici occidentali (e soprattutto – ovviamente – americani) in Somalia, interessi che spaziano dal petrolio allo stoccaggio di scorie chimiche e nucleari. Simili teorie, a prescindere dalla fondatezza delle questioni riguardanti il petrolio somalo o le scorie, sono del tutto irragionevoli perché la pirateria moderna è una realtà non di questi mesi ma dell’ultimo mezzo secolo. La fine degli imperi coloniali e il conseguente proliferare di nazioni instabili sotto il profilo economico e politico hanno determinato la nascita di numerosi santuari in cui hanno piantato le loro basi trafficanti e predoni dediti a ogni genere di attività illegali: dal traffico di droga al contrabbando, dal mercato nero delle armi alla pirateria marittima.



 – LE TECNICHE DI ARREMBAGGIO – Le zone maggiormente interessate alla moderna pirateria marittima sono l’Oceano Indiano nell’area che bagna Somalia e Corno d’Africa e gli innumerevoli mari del Sud Est asiatico, tra Malesia, Indonesia e Filippine. Entrambe le zone sono caratterizzate da passaggi obbligati: il canale di Suez per il Corno d’Africa e numerosi stretti per il Sud Est asiatico. Queste caratteristiche geografiche consentono ai pirati di conoscere in anticipo le rotte delle navi e di pianificare le proprie azioni in modo da ridurre al minimo di tempi di esposizione. I pirati utilizzano imbarcazioni piccole e veloci: non sono generalmente rilevabili dai satelliti (più idonei a tracciare navi di dimensioni maggiori) e sfuggono ai radar imbarcati sulle unità navali (limitati dall’ “orizzonte radar” che impedisce di vedere piccole imbarcazioni se non a distanze relativamente ridotte). Nel giro di poche ore possono percorrere centinaia di km, quanto basta per seminare una nave di pattuglia e riparare entro acque territoriali amiche. Spesso si appoggiano a navi mercantili utilizzate come nave madre e perfettamente dissimulate nell’intenso traffico commerciale che interessa le suddette zone marittime. Questa tecnica consente di tallonare le proprie prede senza destare sospetti e di entrare in azione “a colpo sicuro” anche a centinaia di miglia dalle coste. Ben poche nazioni dispongono di aerei da pattugliamento marittimo a largo raggio equipaggiati di sensori adeguati a contrastare la minaccia (radar ad alta risoluzione, telecamere notturne e all’infrarosso) e di porta-elicotteri e portaerei per intervenire rapidamente su grandi aree, ispezionare i battelli sospetti e – se necessario – attaccarli. Non c’è quindi da meravigliarsi se alla fine questo genere di missione è svolto dalle flotte più grandi e potenti, come quelle della NATO  .

 – LIVELLI DI PIRATERIA – Giusto per capire quanto è ampio e datato il problema, si può far riferimento ai dati raccolti dall’International Maritime Bureau , un servizio creato nel 1981 dalla International Chamber of Commerce per monitorare la pirateria: ogni anno vengono segnalati centinaia di atti di pirateria, dai semplici assalti a veri e propri sequestri di navi con tutto l’equipaggio. In un convegno a Chicago  nel 2000 sono stati discussi i livelli di pirateria documentati nel 1998: 15 mercantili sequestrati, 138 oggetto di arrembaggio, 400 marinai rapiti e oltre 75 uccisi. Già allora molte compagnie di navigazione si erano organizzate per tutelare navi e passeggeri: dai sistemi di allarme satellitare fino a squadre di mercenari scelti addirittura tra gli ex-appartenenti ai temibili Gurkha. Ciò nonostante negli anni seguenti gli attacchi continuarono ad aumentare: dai 202 attacchi del 1998 si passò ai 309 del 1999 e nel 2004 si era a quota 329 . Nel 2007, grazie agli sforzi di numerose marine militari, gli attacchi si sono ridotti a 263, ma siamo ancora a livelli molto più alti di quelli che determinarono allarme nel 1998. Ciò nonostante, è difficile immaginare di riuscire a debellare il fenomeno. Da un lato, ci sono questioni economiche e statistiche.



In un recente articolo pubblicato su Defense News, l’analista William Matthews, dopo aver approfondito l’argomento e aver intervistato autorità civili e militari, fa presente che l’impiego di forze navali è anti-economico. Il traffico marittimo nelle aree interessate del fenomeno è così intenso che la probabilità che una nave sia attaccata dai pirati è pari allo 0,3 %. Indubbiamente è più probabile essere rapinati e uccisi nel corso di una passeggiata in molte città nostrane… I governi ritengono più economico affidare alle compagnie di navigazione il compito di provvedere alla tutela delle proprie navi con servizi privati, e in ogni caso il costo delle assicurazioni è inferiore a quello di una squadra navale.

– LE CONFESSIONI DEI PIRATI SOMALI – Nel corso degli ultimi anni le azioni di pirateria nel Sud Est asiatico sono diminuite grazie a un maggior impegno dei governi direttamente interessati, ma quelle al largo della Somalia sono cresciute in maniera esponenziale. Secondo alcune fonti care alla controinformazione, la pirateria somala sarebbe una risposta al fatto che per anni la comunità internazionale avrebbe sfruttato la Somalia come una specie di discarica per tutti i rifiuti tossici che non era possibile smaltire altrove. In un servizio di PacificFreePress  leggiamo che i pescatori somali si lamentano che le navi da guerra americane impediscono loro di pescare; gli uomini d’affari somali si lamentano che le navi da guerra con i loro controlli infastidiscono i traffici marittimi. E infine un certo Mohamed Abshir Waldo , introdotto come consulente e analista somalo residente in Kenya, sostiene che i suoi connazionali, pur non condividendo l’operato dei pirati, sono adirati nei confronti della comunità internazionale che non ha mai contrastato i “veri pirati“, ossia le navi che scaricavano e scaricano in Somalia rifiuti tossici e radioattivi. Ma la storia della pirateria come reazione all’invio di scorie in Somalia non regge. Tanto per cominciare, la pirateria era ben maggiore nel Sud Est asiatico dove non risulta che nessuno abbia mai parlato di scorie e rifiuti tossici. Ma soprattutto, le dichiarazioni e le confessioni degli stessi pirati somali  tracciano un quadro tutto differente, fatto di ingenti bottini, alcool e droga. Insomma, si tratta di delinquenti e basta, organizzati molto bene, ma pur sempre delinquenti a cui non importa proprio nulla delle questioni ambientali, vere o presunte. E addirittura un ministro somalo, Farah Dala, ha tranquillamente ammesso che la recrudescenza della pirateria ha portato un bel po’ di denaro nelle casse della nazione, sotto forma di aiuti della comunità internazionale per combatterla. Se le cose stanno così, forse è più ragionevole pensare che le autorità somale abbiano consentito ai pirati di prosperare per attirare aiuti economici internazionali. Non c’è dubbio che per un paese così povero qualsiasi mezzo è utile pur di migliorare le proprie condizioni di vita (ma siamo piuttosto scettici sul fatto che questi soldi finiscano a chi ne ha davvero bisogno), ma lasciamo perdere la storiella dei pirati ambientalisti…