I negozi «dimenticati» all’interno della metro di Milano

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L'Azienda trasporti municipali milanese sta sfrattando 116 negozianti dai loro esercizi con l'obiettivo di lanciare un bando per nuovi locatari che sfrutteranno gli spazi in previsione di Expo ma questi non ci stanno. Si riapre così una storia vecchia ormai di tre anni

Il Comune di Milano contro i negozi, ed i proprietari, degli esercizi commerciali all’interno dei mezzanini delle stazioni metropolitane del capoluogo lombardo. Palazzo Marino vorrebbe rilanciare gli spazi nella speranza di aprire le porte a grandi gruppi, a ristoranti ed a famose griffe per rilanciare l’appeal di questi spazi ma deve fare i conti con gli esercenti che non vogliono lasciare i negozi.



22.000 METRI QUADRI DI SPAZI – La situazione è molto più complessa di quanto non appaia in realtà. Perché gli spazi commerciali all’interno delle metropolitane milanesi non sono mai stati accatastati. Quindi non si sa effettivamente quanti siano né quanto sono grandi. C’è una percezione a spanne ma che non può essere certificata in quanto mancano i documenti. Gli spazi a disposizione sotto il manto stradale sono 317 per una superficie complessiva di 22.000 metri quadrati. Palazzo Marino vorrebbe sfruttare queste zone in ottica Expo ri-definendo i contratti e sperando di poter fare altrove ciò che è già nato alla fermata di San Babila, dove ha aperto un negozio di elettronica della catena Trony.



SERVONO SOLDI – Ma questo al momento non è possibile perché di questi spazi commerciali ne sono stati censiti solo 10. Il Giorno riprende la voce dell’assessore ai trasporti ed alla mobilità, Pierfrancesco Maran, per il quale «Le stazioni della metropolitana devono diventare luoghi più vivi ed accoglienti. Gli spazi commerciali dei mezzanini devono essere valorizzati come gli spazi della Galleria». E per fare cassa. Alberto Rho, direttore affari legali di Atm, ha presentato il 12 febbraio una relazione nel quale ha invitato Palazzo Marino a valutare la possibilità di rivedere la modalità di assegnazione degli spazi commerciali nel tentativo di aumentare gli introiti per il servizio pubblico sfruttando gli spazi commerciali nella metropolitana.



IL BANDO DELLA DISCORDIA – Per questo si può puntare allo sfruttamento dei 284 spazi commerciali. Ma ci sono tre problemi, per Atm: i canoni di servizio sono inadeguati, il 20 per cento degli assegnatari sono morosi e mancano le garanzie. I morosi secondo alcune stime sono 60, per altre 72. E nel frattempo 114 negozianti hanno ricevuto una lettera di sfratto da Atm al termine del contratto di locazione, previsto per il 30 luglio 2014. Il 70 per cento di questi, come riportato da Confcommercio, sono edicole. L’obiettivo è quello di assegnare questi spazi tramite un apposito bando. Ma gli attuali esercenti non potrebbero partecipare. Anzi, non possono. Perché i negozi non esistono in quanto non sono accatastati. L’obbligo è arrivato solo nel 2010 ed è per questo che le uniche stazione con esercizi commerciali conosciuti sono le 10 costruite dopo il 2004: Pero, Rho-Fiera, Abbiategrasso, Assago Nord e Forum, Maciachini, Dergano, Comasina, Affori Nord ed Affori Centro.

IL MANCATO ACCATASTAMENTO – Repubblica aggiunge che di questi spazi 38 non sono affittati mentre bar ed edicole sono rispettivamente 53 e 80. Atm e Comune di Milano hanno ammesso che lo sfratto dovrebbe sanare una situazione che dura da 50 anni, ovvero dalla nascita del sistema metropolitano milanese. Questo però ha fatto si che i criteri di assegnazione dei canoni locatari siano tutto fuorché trasparenti. Perché non esiste uno schema per gli affitti. Nel 2013 il Comune ha deciso di ovviare a questa mancanza stanziando 640.000 euro a favore del Collegio dei geometri per gli anni 2013 e 2014, ma finora su 90 stazioni sono state accatastate solo le ultime 10 mentre per altre 11 lo studio dovrebbe compiersi entro fine mese.

L’INCHIESTA DEL 2012 – Confcommercio ha deciso di battere i pugni sul tavolo a difesa dei negozianti e dei dipendenti richiedendo un contratto-ponte che tuteli tutti prima dell’apertura del bando che, come da pressi, dovrebbe favorire coloro che hanno occupato regolarmente gli spazi. Dovrebbero quindi essere esclusi 60 casi di morosità, di cui 22 per cessata locazione, e 72 casi di negozi privi delle fideiussioni necessarie. La questione però si protrae da tanto tempo, con Comune di Milano ed Atm che non sono ancora riusciti ad arrivare ad un punto di sintesi con gli esercenti. Il Corriere della Sera nel marzo 2012 aveva parlato di un’inchiesta condotta dalla Procura di Milano su denuncia dei negozianti che lamentavano il mancato accatastamento. 

NIENTE ICI – Il Comune di Milano nel 2011 comunicò che vennero messi a bilancio 200.000 euro per l’accatastamento degli edifici pubblici che, se sommati agli altri 600.000, fa 800.000 euro per un qualcosa che a distanza di quattro anni di fatto non è ancora cominciato. Nello specifico l’allarme è stato lanciato da un esercente che lamentava di essere stato sfrattato dal mezzanino di Lambrate FS nonostante avesse speso 41.000 euro in ristrutturazioni dello spazio. Atm ha risposto per le rime spiegando di non essere disposta a tollerare l’atteggiamento di negozianti morosi che sperano di scatenare la giustizia respingendo la versione di coloro che alterano la realtà. Tuttavia è necessario riconoscere che in questi spazi Atm non paga l’Imu, così come non è mai stata pagata l’Ici.

I 2,7 MILIONI CHIESTI DAL COMUNE – A questo proposito Affaritaliani aggiunse sempre nel 2012 che il Comune di Milano ha chiesto ad Atm 2,7 milioni di euro di Ici arretrata nel periodo che va dal 2006 al 2010. Ma Atm avrebbe presentato ricorso visto che, per l’appunto, questi spazi non esistono. Ma tale contenzioso è nato dopo gli accertamenti disposti dalla Procura di Milano a seguito di un esposto depositato nel marzo 2012 di alcuni commercianti in affitto che pagano la locazione ad Atm che a sua volta gira un dividendo al Comune, che risulta comunque proprietario. Inoltre, per quanto riguarda i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto legge 78 del 31 maggio 2010, convertito nella legge 122/2010, veniva sancito l’obbligo nei contratti di locazione di riportare i dati catastali. Cosa che non è mai stata fatta dalle giunte al potere a Milano fin dalla nascita delle metropolitane. Atm ha espresso all’epoca il proprio dispiacere per l’azione del Comune abbia avviato notifiche e verifiche sull’Ici nei confronti di Atm, con il rischio che tale iniziativa possa comportare costi legali non indifferenti. In una sfida, lo ricordiamo, tra il Comune di Milano ed un’azienda di cui è azionista. Ma questa è solo una delle tante stranezze di una storia che appare quantomeno fumosa e confusa.

COME HANNO FATTO CON LE UTENZE? – Come ricorda Metro, che ha sollevato la questione il primo dicembre 2011, tra il 2005 ed il 2012 Atm ha spedito al Comune di Milano sei lettere nelle quali si chiede al Comune di agire per risolvere la questione dei negozi fantasma. E tali attività commerciali esistono da decine di anni. E nessuno si è mai preoccupato di farle accatastare. Ma sopratutto, in tutto questo tempo negozi, attività commerciali, bar ed edicole non hanno pagato l’Ici in quanto privi di rendita catastale, così come non hanno pagato l’Imu. Ed ancora, ci si chiede come gli affittuari abbiano stipulato contratti di fornitura di luce, gas, acqua e telefono mancando i dati catastali dei clienti da comunicare all’anagrafe tributaria. Atm ha fatto sapere all’epoca che le tasse erano state pagate, ma senza anagrafe catastale, il loro importo ha rischiato di essere inesatto.

LE PROSPETTIVE – Atm, che attualmente incassa circa sei milioni di euro l’anno, soffre un’evasione di 1,2 milioni di euro. E spera con il nuovo bando di mettere fuori gioco i morosi aprendo con una prelazione ai vecchi in regola, anche se secondo il Giornale ci sono voci che prevedono l’ampliamento della Rinascente nel mezzanino della fermata Duomo mentre altri negozianti subentrati negli ultimi anni chiedono garanzie per quello che è il loro investimento. Repubblica ha ripreso la voce di Atm che di fatto traccia la strada di quello che sarà l’iter: «Il termine che il tribunale concede normalmente per gli sfratti consentirà ai locatari di restare fino alla fine di Expo, purché paghino l’indennità di occupazione». Di fatto viene scongiurata l’idea di un contratto ponte proposta da Confcommercio che ha ricevuto da Alberto Rho un laconico «vedremo».

LE PROTESTE DEL 2011 – Per dare un’idea del business in pericolo, ricordando però che nonostante le voci di una prelazione nel bando niente è ancora deciso, e questo è stato denunciato anche da Confcommercio, torniamo indietro al 2011, ovvero quando questa storia esplose con tutto il suo fragore. Come ricorda il Corriere della Sera, furono 150 i negozianti, tra i quali alcuni morosi, che chiesero con una petizione il taglio degli affitti del 50 per cento e lo stop agli sfratti in risposta ai problemi strutturali degli esercizi commerciali. I negozianti denunciarono infiltrazioni d’acqua nei mezzanini, disservizi, guasti agli impianti e spazi da ristrutturare. Pierfrancesco Maran all’epoca riconobbe che la manutenzione doveva essere migliorata ma escluse il ritorno alla gestione di questi spazi da parte del Comune che nel 1999 li ha ceduti ad Atm.

UNA SITUAZIONE FUMOSA – I negozianti denunciarono l’esistenza di contratti capestro e speculazioni sentendosi strozzata da costi definiti insostenibili. L’azienda rispose che i canoni non potevano essere considerati proibitivi, visto che si va da 100 a 300 euro l’anno a metro quadro. Ciò significa che un’edicola vale tra 5 e 20 mila euro. Un esercizio a Garibaldi Fs paga 10.000 euro l’anno d’affitto ma solo di biglietti ne incassa 92.000. Un successo, visto che al 2011 c’erano solo tre negozi sfitti a Gioia, Caiazzo e Lambrate. Peraltro, rimanendo alla vicenda del locale sfrattato in quella stazione, chiamato «Studio Lambrate Service», la donna che l’aveva in gestione aveva lamentato la spesa a carico suo di 41.000 euro per la ristrutturazione di uno spazio di Atm e che si sarebbe vista restituire, come riportato da Dagospia, 13.000 euro per i lavori fatti, con l’azienda trasporti pubblici milanesi che ha difeso la bontà delle proprie azioni. Ma con gli sfratti si è aperta una situazione imbarazzante che dovrà essere spiegata dall’attuale giunta. Per 50 anni Milano ha avuto oltre 300 negozi che di fatto non sono mai esistiti e sui quali non sono state pagate le tasse dovute, non a caso il Comune ha chiesto 2,7 milioni ad Atm. Ed ora Atm sfratta i negozianti nel tentativo di emanare un bando bloccato proprio dalla mancata esistenza dei negozi. E poi ci sono le questioni legate alle utenze ed ai canoni, che si presume verranno spiegati in maniera dettagliata nei prossimi giorni, viste le interpellanze sul tema di Forza Italia e Lega Nord.

(Photocredit Vetrineinmetro.it / Wikipedia Giovanni dall’Orto / Panoramio / Immobiliare Mitula)