I soldi hanno ucciso Morosini

Categorie: Editoriale, Italia

Alla fine la verità, sotto gli occhi di tutti, è venuta fuori: per Morosini nessuno ha usato un defibrillatore e quindi, oggettivamente, si è sprecata la possibilità, nemmeno tanto bassa, di salvarlo. E non è solo l’auto del vigile parcheggiata (pare che il defibrillatore fosse presente anche in campo, anche se chissà dove, e non solo nell’ambulanza) è che non c’è proprio la cultura, nemmeno nei medici sociali strapagati, degli interventi di emergenza. L’inchiesta accerterà i fatti ma anche l’ultimo degli operatori del 118 sapeva cosa fare e non avrebbe fatto quello che il medico responsabile ha fatto: controllare la reattività degli occhi, cercare di capire se stava affogando e non fare il massaggio cardiaco, nemmeno quando stavano per metterlo nell’ambulanza (con calma, mentre i suoi neuroni bruciavano).



Nemmeno allora si è defibrillato (quando ormai, passati 4-5 minuti era già forse troppo tardi) e quando è arrivato in ospedale (si parla genericamente di 10 minuti ma potrebbe essere stato di più e per un cervello senza sangue 12 non è la stessa cosa di 10). Insomma se fosse stato su una serie minore, uno di quei paeselli sperduti in cui, quando uno si sente male chiedono se c’è un medico a bordo campo, Morosini forse si sarebbe salvato perché un infermiere con un corso di rianimazione o un’ambulanza di paese si sarebbe trovata: massaggio cardiaco (si può sopravvivere, vedi Muamba, anche praticandolo per un’ora e più, tutto il tempo per arrivare dal paese più sperduto di montagna ad un ospedale attrezzato) e magari anche defibrillatore subito subito. Invece c’era un team medico sportivo, c’erano chissà quali esperti e Morosini ha perso così le speranze di sopravvivere.



Oggi Repubblica ci informa che il defibrillatore costa poco più di un ipad, che anche se c’è bisogno di un patentino per usarlo in realtà non bisogna sapere quasi nulla perché fa tutto lui (qui si esagera nel semplificare) e che 60.000 persone all’anno muoiono per arresto cardiaco improvviso. Ecco, se, come dicono alcuni studi, si arriva anche al 60% dei casi di salvataggio (a fronte del 5-10 senza) stiamo parlando di 30.000 persone salvate di cui molte, moltissime, giovani. Io ho fatto un corso di rianimazione pagato dalla mia azienda e saprei cosa fare in questi casi (anche senza defibrillatore) per un collega, un familiare, un passante, perfino per un calciatore nel pieno dei suoi anni. Forse varrebbe la pena che questo corso lo facessero tutti (quando lo inseriremo nella scuola dell’obbligo?) anche i medici strapagati per rimettere in sesto, a tempi di record, muscoli e legamenti.