Il Cesio 137 che spaventa la Lombardia

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Nel 1989 nella fonderia Luigi Premoli & Figli vennero fusi per errore rottami provenienti dall'Est Europa contaminati con l'isotopo radioattivo. Nel 1990 delle analisi condotte nelle acque del Po confermarono la presenza di elementi pericolosi ma da allora sulla storia aleggia una coltre di mistero

E’ possibile che la Lombardia possa preoccuparsi di un incidente nucleare avvenuto nel 1989 le cui conseguenze si sono probabilmente protratte fino ai giorni nostri? Probabilmente si, visto che stiamo parlando di una fuga causata da una fatalità che avrebbe potuto mettere in pericolo buona parte della regione.



IL CASO DI ROVELLO PORRO – Siamo a Rovello Porro, in provincia di Como, a poca distanza dal confine con Milano. Come ci spiega Progetto Humus, che riporta un comunicato dell’Aipri, associazione italiana protezione raggi ionizzanti, tutto è partito da alcuni rottami radioattivi finiti in una fonderia. I rilevamenti condotti periodicamente nel Po, nei pressi della centrale nucleare di Caorso, in provincia di Piacenza, registrarono una presenza di sostanze radioattive provenienti dal torrente Lura fino ad arrivare alla Luigi Premoli & Figli -azienda la cui assenza di responsabilità venne confermata dalla magistratura-. Qui venne inavvertitamente fusa una partita di alluminio proveniente dall’Est Europa contenente una sorgente radioattiva stimata tra i 600 ed i 6000 Curie di cesio 137.



LE ANALISI – La fusione portò ad un’immissione nell’aria di particelle radioattive senza che scattasse nessun allarme. Come detto l’incidente, secondo i documenti dell’epoca, venne individuato durante un controllo radiologico di routine delle acque del Po nel 1989. La presenza di Cesio 137 nell’ordine di 10 Curie nelle acque portò i tecnici ad analizzare la “fuga” con i geologi e gli esperti del Presidio multizonale di igiene e prevenzione che risalirono il percorso della figua con i contatori Geiger arrivando al bacino di decantazione delle acque reflue della fonderia di Rovello Porro, cento chilometri più in alto rispetto alla prima rilevazione.  I valori furono impressionanti. Nel Torrente Lura e nel fiume Lambro vennero trovati 50 Curie di Cesio 137.



SI MUOVE LA POLITICA – La fonderia venne chiusa per un anno e bonificata. Come aggiunge La Provincia di Como vennero rimossi fino a 40 centimetri di profondità di asfalto e terra interna all’azienda con gli operai che vennero sottoposti a controlli medici. Nel 2011 il comune di Rovello Porro annunciò l’intenzione d’istituire un tavolo tecnico per fare il punto sui 30 bidoni nel quale venne sistemato, nel 1990, il materiale ferroso contaminato. L’obiettivo era quello di smaltire definitivamente il materiale cercando di fare presto visto che dal momento dell’emergenza erano passati ormai 21 anni. Sempre la Provincia di Como riporta le lamentele degli ambientalisti -e siamo nel 2011- i quali chiedevano lo smaltimento di rifiuti più pericolosi di quanto non sembrassero.

I TIMORI DEGLI AMBIENTALISTI – L’ambientalista Vittorio Lovera, già consigliere comunale a Saronno, si definì convinto che il materiale provenisse addirittura da Chernobyl. “Quella vicenda me la ricordo bene. Assieme a Marco Bersani, come me impegnato nel movimento ecologista, ed all’ingegnere nucleare Dede Busnelli, avevamo preparato un dossier veramente molto preciso risalendo all’originale del materiale ferroso in questione che, secondo noi, proveniva da Chernobyl dove quattro anni prima si era registrato il ben noto incidente nucleare, ed era poi arrivato in Italia, tramite una società svizzera ed un’altra azienda di Brescia; da quel che ci risulta, la destinazione finale era l’Alfa Romeo e, in particolare, gli chassis della 164. Il nostro dossier era stato utilizzato dall’allora senatore dei Verdi Emilio Molinari, per presentare in Parlamento una formale richiesta di controlli sui materiali in entrata nelle aziende. Sulla questione del cesio rovellese è poi purtroppo calato un silenzio di tomba e penso sia quindi oggi più che mai necessario fare chiarezza su che fine hanno fatto quei trenta bidoni”.

LA RISPOSTA DI ARPA LOMBARDIA – I trenta bidoni a quanto pare sono ancora all’interno dell’azienda. Il Corriere di Como riporta le parole di Giuseppe Sgorbati, direttore tecnico scientifico di Arpa Lombardia secondo il quale “Il materiale conservato nel deposito della Premoli, a Rovello Porro, sarà messo in sicurezza entro la fine dell’anno, anche se rimarrà in loco fino all’individuazione di un sito nazionale idoneo al ritiro definitivo di questi rifiuti”. Quindi è ancora lì, visto che la dichiarazione è stata riportata il 4 aprile 2013. Ma Sgorbati ha voluto rassicurare tutti: “I controlli costanti effettuati all’esterno del capannone – prosegue – dimostrano che non c’è alcun rischio per la salute, né alcuna contaminazione”.

TUTTO SOTTO CONTROLLO. MA… – Sarà. Ma l’allarme lanciato pochi giorni prima da Massimo Bonfatti, referente di Mondo in Cammino e dal professor Paolo Scampa, responsabile Aipri, racconta una storia diversa. I due hanno parlato di “Chernobyl italiana” e di una situazione “grave ed allarmante”, nonché sottovalutata a lungo. L’Arpa dice di avere la situazione sotto controllo, anche se il materiale non può essere spostato dall’azienda per via della mancanza sul territorio italiano di un luogo idoneo dove poterlo depositare. “I costi per portare all’estero i rifiuti -ha continuato Sgorbati- sarebbero esorbitanti e il materiale, sistemato in contenitori già idonei anche per il trasporto, rimarrà poi nel magazzino in attesa che l’Italia individui un sito idoneo allo stoccaggio”.

VALORI AL DI SOPRA DELLA LEGGE – I due ricercatori hanno sottolineato che il materiale sbancato nel 1990 venne portato alla discarica nucleare di Capriano del Colle, in provincia di Brescia, dove sono raccolti 39 Curie di Cesio 137 dispersi in 280 mila metri cubi di materiali corrispondenti ai residui radioattivi di varie industrie. Tenendo conto dei 50 Curie depositati nei corsi d’acqua dalla fabbrica al Po (100 chilometri) si può pensare ad un deposito uniforme di 1,22 milioni di Becquerel al metro quadro pari a 32,89 Curie per kilometro quadrato di Cesio 137, una soglia che supera di 2,19 volte la norma internazionale di 15 Curie per chilometro quadrato. Secondo Bonfatti e Scampa all’epoca la zona doveva essere confinata come proibita con tanto di divieto di pesca e di pompaggio agricolo delle acque. Ma nessuno disse nulla.

 

NESSUNO FECE NULLA – A 24 anni di distanza, sebbene l’attività radioattiva si sia ridotta del 42%, la contaminazione atomica risulta ancora di circa 700.000 Becquerel/mq e quindi, a tutt’oggi, 1,26 volte superiore al valore imperativo di evacuazione della zona: si dovrebbe trattare, pertanto, di una zona acquifera proibita. Ma, per quanto ne sappiamo, nessuna misura preventiva a tutela della popolazione è stata presa. E non solo. La coppia propone un calcolo del quantitativo di Cesio 137 liberatosi nell’aria, partendo dal presupposto che Rovello Porro si trova a 30 chilometri da Milano. Abbiamo detto che la sorgente conteneva dai 600 ai 6000 Curie.

I CALCOLI – Secondo un calcolo conservativo studiato dagli esperti, 500 Curie -5,76 grammi di Cesio 137- diluiti nell’aria in una invisibile colonna iniziale di fumo lunga 30 km, larga 2 km e alta 1 km equivalgono a 308 Becquerel/mc di Cesio 137 inalato da decine di migliaia di soggetti. Quindi 6.000 Curie fanno 3.700 Becquerel/mc di Cesio 137 inalato da altre decine di migliaia di soggetti. 500 Curie rappresentano una dose letale per 18 mila soggetti mentre se questi venissero ingeriti si salirebbe a 48 mila soggetti. 6000 Curie -69,09 grammi- rappresentano 210 mila dosi letali per inalazione e 510.000 per ingestione. Il potenziale letale acuto viene indicato, a mò di esempio, il quantitativo di materiale che ha ucciso Alexander Litvinenko. Ciò significa che per 500 Curie la zona proibita è di 33,3 Kmq mentre se i Curie fossero 6000 l’area sarebbe di 400 Kmq. Visto il tenore del pericolo si chiedono lumi sia sulla nube tossica -se si è diretta verso la Svizzera, la Francia o verso Milano- sul ratio ritenuto anomalo tra Cesio 137 e Cesio 134, i cui dati risultavano “anomali” rispetto a Chernobyl?

UNA LEZIONE DI FISICA – Prima di andare avanti sarà comunque opportuno fare un po’ di luce su una serie di elementi chimici che possono essere sconosciuti al grande pubblico. Partiamo dal Cesio 137. Si tratta di un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio nato dalla fissione nucleare dell’uranio. Questo non viene utilizzato nelle radiografie perché difficile da manipolare. La sua emivita, ovvero il tempo il tempo occorrente perché la metà degli atomi di un campione puro dell’isotopo decadano in un altro elemento, è di 30,17 anni. In piccoli quantitativi, viene usato per calibrare gli strumenti di misura delle radiazioni. Viene usato a volte per la terapia del cancro ed in dispositivi per la misura dei flussi di liquidi e come calibro per misurare lo spessore dei materiali. Il Cesio 134 invece si usa in idrologia per misurare la produzione di cesio da parte dell’industria elettronucleare ed è prodotto solo da reazioni nucleari.

COS’E UN CURIE? – Il Becquerel, unità di misura nata dagli studi del fisico francese Antoine Henri Becquerel, premio nobel nel 1903 insieme a Marie e Pierre Curie, è intesa come l’attività di un radionuclide -inteso come un nuclide instabile che decade emettendo energia sotto forma di radiazioni- che ha un decadimento al secondo. Un Becquerel equivale quindi ad una disintegrazione al secondo. Infine il Curie rappresenta l’unità di misura dell’attività di un radionuclide ed equivale a 37 miliardi di decadimenti al secondo. Fatta chiarezza sulla questione delle unità di misura facciamo un salto indietro nel tempo, e più precisamente nel 1998, per vedere come a nove anni dall’incidente nessuno prese provvedimenti.

LA STORIA NEL 1998 – Ci aiuteremo con il Corriere della Sera il cui titolo, “Silenzio colpevole sul Cesio”, dice già molto. Parliamo della posizione di Legambiente che ha denunciato come all’epoca i milanesi fossero tenuti all’oscuro dell’incidente mentre in Svizzera si sapeva tutto. “Grazie ai suoi strumenti, tra i migliori in Italia, il Presidio multizonale di igiene e prevenzione di Milano -spiegò l’associazione- è stato il primo a registrare l’aumento della radioattività. I primi dati sono stati trasmessi a Comune e Regione il 2 giugno. Il 9 c’era stata una seconda serie di rilievi: tacerli e’ stata una scelta grave”. Il ministro dell’ambiente, allora Edo Ronchi, spiegò che la notizia venne ufficializzata solo il dieci giugno -mercoledì- ma gli svizzeri sapevano tutto già il 9.

LE CONSEGUENZE PER LE AZIENDE – Il Corriere aggiunge che l’azienda acquistò un carico contaminato di cesio 137 imprigionato in un’apparecchiatura usata per “radiografare” le saldature dei tubi prodotti nell’est europeo. La capsula radioattiva, grande quando la punta di una biro, contaminò l’azienda di Rovello Porro e la fonderia Astra di Gerenzano. Anche questa venne chiusa per le bonifiche e gli operai, così come per la Premoli & Figli, furono a carico dell’azienda. Nel 1998 si disse che i valori riscontrati a Rovello Porro non erano lontanamente paragonabili a quelli di Chernobyl e Massimo Bonfatti ha spiegato che si tratta di una definizione da inserire nel giusto contesto.

LA CONFIDENZA DI ENEL – Tuttavia è necessario registrare come in effetti qualcosa di strano avvenne legato a questa storia. La Repubblica il 20 maggio 1990 spiegò che l’Enel già sapeva dell’incidente e che nonostante l’allarme venne lanciato l’11 maggio, si scoprì che l’inquinamento radioattivo risaliva a 12-15 mesi prima. Allora voleva dire che qualcuno aveva taciuto Giuseppe Sgorbati, all’epoca uno dei fisici del presidio d’igiene e prevenzione di Milano ammise: “La notizia ci è arrivata confidenzialmente e quindi informalmente dall’ Enel di Caorso, alla fine del mese scorso. E’ l’ Enel che per legge deve effettuare monitoraggi periodici nella zona attorno alla centrale, comunicando i risultati all’Enea, l’ ente di controllo. Non so se questa procedura sia stata seguita”.

L’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE – Quindi vuol dire che si è voluto tacere tutto fino a quando la notizia non è diventata palese. E ricordiamo che Sgorbati, in risposta al comunicato di Bonfatti e Scampa, ha detto che non ci sono pericoli e che il materiale verrà stoccato entro la fine dell’anno. I due ricercatori sono stati chiari: vogliamo risposte certe ai documenti rinvenuti nel corso degli anni. Ed a quanto pare non sono gli unici. Lo scorso 16 aprile il deputato della Lega Nord Nicola Molteni ha presentato un’interrogazione parlamentare nei confronti del ministero dell’ambiente e di quello della Salute per chiedere spiegazioni. Questo il testo dell’interrogazione:

le notizie riportate alludono al timore di occultamento della verità e dei rischi che corrono i cittadini e alla mancanza di rigide misure di controllo e di protezione dei danni sulla salute e sull’ambiente. […] per quanto concerne gli avvenimenti della Premoli, immediatamente dopo la scoperta del 1990, fu effettuata una bonifica e messa in sicurezza di emergenza, e furono svolte tutte le valutazioni ambientali e sanitarie a suo tempo ritenute utili, con esito favorevole; l’unica soluzione possibile per la gestione del materiale di risulta della bonifica fu il suo immagazzinamento in un capannone della stessa azienda, sottoposto a sequestro giudiziario dalla magistratura, che aveva seguito puntualmente tutti gli aspetti del caso, determinando anche l’assenza di responsabilità della azienda Premoli; il materiale contaminato da Cesio 137 raccolto nel magazzino, circa 240 metri cubi, in parte è contenuto in fusti metallici, oggi fortemente corrosi, e in parte ancora accumulato alla rinfusa; ASL ed ARPA, attraverso i controlli congiunti effettuati sull’ambiente in varie occasioni, smentiscono, oggi, la presenza di una esposizione di qualsiasi rilievo sanitario per la popolazione. Sembra che negli ultimi anni siano stati svolti numerosi controlli congiunti tra Asl di Como e Arpa e i test hanno dimostrato che non sussiste alcun pericolo radiologico all’esterno del capannone e che non sono stati rilevati dati epidemiologici particolari tra i residenti della zona;tuttavia, il molto tempo passato dall’incidente di Rovello Porro ed il ricordo delle difficoltà di circolazione e la lacunosità delle informazioni per i 15 mesi antecedenti alla scoperta effettuata nel 1990 dal PMIP di Milano, costituiscono elementi di allarme e preoccupazione tra i cittadini, che chiedono chiarezza sugli interventi effettuati a suo tempo e sulle attuali condizioni di sicurezza;

VOGLIA DI UNA RISPOSTA – In conclusione il deputato chiede risposte sicure per tranquillizzare la popolazione oltre ad un impegno concreto da parte dei ministri competenti per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi della Premoli e delle altre realtà sul territorio nazionale. La richiesta è tutt’ora in corso. Forse una risposta certa e non di circostanza come richiesto da Massimo Bonfatti e professor Paolo Scampa sarebbe davvero necessaria, per mettere la parola fine ad una storia che si trascina stancamente da 25 anni.

(Photocredit Lapresse / Laprovinciadicomo / Wikipedia)