Il Consiglio di Cooperazione del Golfo si è spaccato

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Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein ritirano gli ambasciatori del Qatar, accusato di aiutare i terroristi

Il supporto ai Fratelli Musulmani da parte di Doha è all’origine della clamorosa spaccatura di un’organizzazione che era in predicato di diventare un’unione e che forse non lo diventerà più.



LA MOSSA CLAMOROSA – Il ritiro degli ambasciatori d’Arabia Saudita, Bahrein ed EAU dal Qatar è un evento clamoroso e inaudito nella trentennale intesa tra i monarchi del Golfo, che ora appare spaccata più di quanto non appaia dal fatto che il Qatar siede da solo sul banco degli imputati. Kuwait e Oman infatti non si sono uniti alla condanna e non si sono allineati ai voleri dei sauditi, veri motori dell’iniziativa. La motivazione della quale è chiara e appena dissimulata dall’apparente vaghezza del comunicato ufficiale, che parla del mancato rispetto da parte di Doha dell’accordo tra i paesi del Golfo che l’impegna a non interferire nei rispettivi affari interni e dice che l’azione si è resa necessaria «per proteggere la loro sicurezza e stabilità».



Toni duri, il Qatar presentato come una minaccia alla stabilità della penisola appare inverosimile, a meno che non s’intenda con questo un leggero accenno di modernismo, due toni sopra il tetro spartito che si suona nei paesi vicini, ma ancora nettamente a favore di un modello di governo assolutistico. La dinastia del Qatar non fa il tifo per la repubblica. Fa invece l tifo per i fratelli musulmani, che nell’Islam sunnita rappresentano l’unico modello alternativo alle tirannie del Golfo, alle monarchie più o meno simili di Giordania o Marocco o alle dittature che fino a pochi anni fa costituivano l’alternativa laica a questo ricco menu. Un’idea di democrazia islamica che si può pur sempre opporre come alternativa alla temutissima teocrazia in salsa iraniana, che però non prevede la figura del tiranno. Al padrone assoluto del Qatar la cosa non dà fastidio, per i sauditi invece la crescita di un soggetto politico panarabo e sunnita che prescinda dai saggi consigli dei Saud e che diventi egemone in grandi paesi come Turchia ed Egitto è intollerabile.



La portaerei Cavour in tour promozionale nel Golfo, sulla quale è stata organizzata una fiera delle armi a beneficio dei regimi del GCC

LE DIVERGENZE CON DOHA – I Fratelli Musulmani con la loro fissazione per andare al potere vincendo le elezioni, ai sauditi non piacciono proprio e lo hanno dimostrato sostenendo i militari in Egitto e gli jihadisti in Siria, che con i Fratelli Musulmani ci vanno già duri e non sono compatibili e il fatto che Doha ne supporti la causa e addirittura protegga alcuni di loro, come l’influente predicatore Yusuf Qaradawi, al quale il Qatar regolarmente offre spazio anche su al Jazeera. Proprio il canale satellitare è un’altra spina nel fianco, perché ospitando una varietà di voci dal mondo arabo e oltre finisce anche per diffondere critiche alle monarchie sorelle. L’emittente ha riferito del rovesciamento di Morsi come un golpe e si rifiuta di bollare come terroristi i membri della fratellanza, anche per questo quattro dei suoi giornalisti sono stati arrestati con accuse che spaziano dal complotto al terrorismo e altri 16 sono stati chiamati in causa dalla giustizia egiziana. L’ostilità allo jihadismo sunnita in Siria e Iraq, il supporto ai governi di Libia e Tunisia, l’attenzione alla causa palestinese, persino l’aver riferito della repressione in Bahrein, sono tutte iniziative incomprensibili per i sauditi, se non come intollerabili offese personali e come attacco alla sacralità del modello delle monarchie delle sabbie, il vero valore in difesa del quale si dovrebbe rinsaldare il GGC secondo i Saud, che ovviamente in caso di una unione finirebbero per fare la parte del leone e costringere al vassallaggio anche quanti dei colleghi finora sono riusciti a smarcarsi.

LA RESISTENZA A RIYAD – All’egemonia saudita non si sottrae solo il Qatar, da dove la dinastia si è lanciata nell’agone internazionale con il peso dei suoi soldi e la leggerezza di un paese con circa un milione di abitanti nativi e altrettanti espatriati. Anche l’Oman e il Kuwait resistono all’osmosi con i sauditi, il sovrano del primo rifiuta ogni idea d’unione e in Kuwait nemmeno la dinastia apprezza l’idea di vedere materializzarsi uno stato di polizia una volta uniti eserciti e poliziotti. Che è invece il sogno dei Saud, che così potrebbero dare la caccia ai loro nemici nei paesi vicini, una fissa che i Saud coltivano fin dall’attacco alla Mecca del 1980, quando parte dei rivoluzionari sauditi riuscì a riparare in Kuwait dopo un sanguinoso assedio e una strage nella moschea sacra.

HANNO OSATO TROPPO – Il protagonismo degli al Thani era chiaramente fuori misura per le possibilità del Qatar, anche se in origine la scommessa è sembrata andar bene, con la fratellanza piazzata in Turchia e in Egitto e in ascesa in Libia e Tunisia, mentre in Siria l’opposizione armata dal Qatar si avvicinava a Damasco. Poi un disastro dopo l’altro: Ennada è entrata in crisi in Tunisia, Erdogan si è infilato in una tempesta, Morsi è stato sbattuto in galera insieme a tutti i suoi, il Libia non si è capito più niente e in Siria l’opposizione sostenuta dal Qatar è finita a combattere contro lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL-ISIS), una depravazione jihadista che ha spinto persino i qaedisti a schierarsi con i loro nemici fin troppo secolarizzati. Chi finanzi l’ISIS non si sa, ma si dice e il dito finisce invariabilmente puntato verso Riyad da dove tradizionalmente si muovono soldi e combattenti, non necessariamente per iniziativa del governo, che comunque osserva e tollera senza reprimere, risultando molto più feroce negli sventurati che ogni tanto s’azzardano a chiedere qualche timida riforma o gli sciagurati che scendono in strada a protestare, che proprio non si può.

Tamim bin Hamad Al-Thani ( Foto Brendan McDermid-Pool/Getty Images)

MALE PER TUTTI – Non che ai sauditi vada molto meglio, visto che sostenendo i generali egiziani hanno sicuramente irritato i partner occidentali e visto che non si può dire che i corposi investimenti che hanno affrontato abbiano dato grandi frutti, se non la riuscita destabilizzazione dell’Egitto. La delusione è stata testimoniata nei giorni scorsi anche dall’esautorazione da parte dei Saud di Bandar Bin Sultan (aka Bandar Bush) dal ruolo di coordinatore esterno della rivolta contro Assad. Lo show down contro il Qatar segnala forse la frustrazione dei Saud per gli scarsi risultati, ma è anche coerente con la pretesa di bollare la fratellanza come un’organizzazione terroristica e cercare d’imporre la propria volontà al Qatar, dove il  giovane sceicco Tamim bin Hamad al-Thani ha sostituito a giugno il padre nemmeno anziano, confermandone le vicinanze e la linea in politica estera. Il che per i sauditi e i loro vassalli significa infrangere l’accordo firmato nel novembre scorso, nel quale le dinastie s’impegnavano a non sostenere «chiunque minacci la sicurezza e la stabilità del GCC siano gruppi o individui attraverso operazioni di sicurezza dirette o l’influenza politica e a non sostenere i media ostili». Quest’ultimo riferimento sembra fatto proprio per tacitare al Jazeera e semmai stupisce che le autorità del Qatar abbiano firmato un testo tanto impegnativo.

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LE REAZIONI – Il Qatar per parte sua ha espresso «amarezza e sorpresa» per la decisione dei consociati, annunciando che non ritirerà i suoi ambasciatori dai tre paesi e di continuare s sentirsi impegnato il mantenimento della sicurezza e della stabilità dei paesi del GCC. Dall’Oman non è giunto alcun commento, lo speaker del parlamento del Kuwait Marzouq al-Ghanim si è detto preoccupato dalle implicazioni della mossa saudita, anche se non ha parlato a nome del governo. «Comprensione» per l’iniziativa è invece stata espressa da Badr Abdelatty, il portavoce del ministero degli Esteri egiziano, che ha aggiunto che il Qatar «Deve distanziarsi dalle politiche che alimentano la divisione e la frammentazione dell’unità araba».

UN FUTURO INCERTO – Per ora i due governi restano sulle loro posizioni, il Qatar ha ribadito che «appoggia il popolo arabo contro l’oppressione», mentre dall’Arabia Saudita si quotano fonti anonime che spiegano che a Doha devono cambiare posizione su molte questione e che a Riyad s’aspettano fatti e non parole. Non è detto che quello che ora appare come un muro contro muro, possa degenerare o portare a una frattura definitiva del GCC, in passato le monarchie del Golfo hanno risolto offese ben peggiori in maniera tutto sommato bonaria, però allo stesso tempo è difficile immaginare la dinastia del Qatar, questa dinastia che coltiva sogni da protagonista nel panorama internazionale,  andare a Canossa dai sauditi e abdicare alla propria esibita modernità, piegandosi nell’inchino del vassallo