Il crocifisso nelle scuole e il problema della laicità in Italia

Siamo Alle solite. Ogni volta che l’Unione Europea, oppure un magistrato o un qualunque cittadino dotato di una certa autorità o autorevolezza o presunta tale, emette una sentenza o fa un’affermazione contro la religione cattolica e i suoi simboli, scoppiano le polemiche tra clericali e laicisti, ancora prima che tra credenti e non credenti, e le pagine dei giornali ne danno notizia a caratteri cubitali come fosse in atto un assedio del Vaticano da parte di un esercito di infedeli.

Andando poi a leggere la notizia, sotto il titolone, che cosa si scopre? In questo caso, che la Corte di Strasburgo ha accolto il ricorso di una cittadina finlandese che vive in Italia secodo la quale il crocifisso andrebbe rimosso dalle scuole perché è un simbolo specifico di una religione e quindi non protegge i bambini e le loro famiglie dal diritto di scelta della religione da praticare e non salvaguarda la laicità dell’istituzione scolastica.
Fin qui il fatto. Quali sono le reazioni? Sconvolgenti: grida si levano da destra e pure da sinistra contro questa sentenza, il Vaticano si dice indignato, il governo annuncia ricorso (ma è questo il principale tema all’ordine del giorno dell’agenda del premier?) e pure da sinistra, i più moderati dicono che la presenza del crocifisso non dà fastidio a nessuno.
Si è arrivati ad un punto di scontro tra laici e cattolici che potrebbe essere sanato solo da una classe politica laica, sinceramente laica, con la schiena dritta, che non cede alle pressioni del Vaticano, ma che è conscia di vivere in un Paese dove la maggior parte dei cittadini è di religione cattolica e dove il cristianesimo di fatto condiziona ancora le tradizioni e la cultura.
Invece oggi in Italia i laici sentono sempre di più lo strapotere di una Chiesa che spadroneggia sul territorio del nostro Paese.
Non paga l’ICI sulle sue proprietà, e non solo sulle chiese, ma anche sugli edifici non adibiti al culto, e questo in una fase di crisi in cui ogni cittadino italiano è chiamato a stringere la cinghia. Pretende finanziamenti per le proprie scuole confessionali, quando la scuola pubblica si sta sfasciando (e dando uno sguardo all’edilizia scolastica, non soltanto in senso figurato ma anche in senso letterale).
Complici politici senza spina dorsale, la Chiesa diffonde nel Paese la sua visione della società, attraverso leggi sulle questioni etiche scritte di fatto sotto dettatura della CEI.
Impone una legge sulla procreazione assistita che costringe migliaia di coppie che non riescono ad avere figli (e che hanno possibilità economiche) ad andare all’estero per praticare l’inseminazione artificiale. Vieta a coppie gay che convivono da anni e allevano figli avuti da uno dei due partner, il minimo riconoscimento di fronte alla legge, in caso di malattia, di morte, di separazione. Manifesta il suo fastidio ogni qualvolta in una città si svolge il gay pride, come se questa fosse una manifestazione contro la Chieesa  o come se non fosse un’occasione festosa che si svolge ogni anno in tutte le città del mondo occidentale. Chiede a farmacisti e medici di strutture ospedaliere pubbliche di attuare l’obiezione di coscienza nel praticare aborti o anche solo vendere la pillola. Vieta che si possano fare campagne di prevenzione per la diffusione dell’AIDS, nominando l’unico strumento di prevenzione ad oggi conosciuto, che è il preservativo.
Di fronte alle suddette questioni che hanno una rilevanza nella vita di tutti i giorni dei cittadini che importanza ha il crocifisso in un’aula?
A me non dà fastidio, e lo dico da agnostico e sbattezzato.
La scuola essendo un’istituzione laica non dovrebbe mostrare al suo interno simboli religiosi, ma è una questione di principio e niente più. Non penso che un bambino musulmano che va in una scuola italiana e veda il crocifisso si senta lacerato nell’animo, o un ragazzo incerto sull’esistenza o meno di Dio o su quale confessione abbracciare, si senta influenzato a diventare cristiano perché durante le lezioni in aula vede il crocifisso sopra la cattedra.
Se i politici di ogni colore avessero fino ad ora amministrato il Paese senza cedere supinamente ad ogni richiesta della Chiesa, ora non si sarebbe arrivati a questo scontro di civiltà, ed una questione invero banale come il crocifisso in aula non assumerebbe una tale rilevanza.

Massimo Colomba

Facciamo un po’ di chiarezza. L’ignoranza del tema, la facilità nel cadere nella solita guerra tra bande culturali, la confusione tra privato e pubblico producono tutte le incomprensioni relative alla sentenza di Strasburgo. La maggior parte delle persone non capisce che stiamo parlando dello spazio pubblico e non delle opinioni o gusti personali. Troppi continuano a difendere l’esposizione del simbolo religioso come se stessero difendendo la propria famiglia, la propria bandiera o la propria automobile. Giudicano il merito, ossia il contenuto; dicono che Gesù non ha mai fatto male a nessuno e quindi l’esposizione non può dare fastidio. Sentono in giro che “vogliono togliere il crocifisso”, la mano corre alla rivoltella e le parole sono da cittadella assediata che risponde con i missili. Proviamo ad elencare chiaramente le varie posizioni in campo.

1 Il crocifisso siamo noi. L’Italia cristiana ha bisogno dei suoi simboli. I luoghi pubblici non possono estromettere la Verità. Siamo un paese cattolico.

2 Il crocifisso siamo noi non in quanto cristiani, ma in quanto italiani ed europei. E’ un simbolo fondamentale per la nostra cultura. Rappresenta la nostra comunità. Queste prime due posizioni fanno anche riferimento all’argomento della reciprocità (com’è noto argomento antievangelico): i musulmani non possono chiederci ciò che loro non attuano nei loro paesi. Se un cristiano risiedente a Baghdad o a Teheran venisse svegliato di notte dal muezzin e si recasse la mattina dopo a protestare cosa avverrebbe?

3 Il crocifisso deve essere rimosso da tutti i luoghi pubblici per salvaguardare la loro laicità. Inoltre quella cristiana è una religione tra le altre. Il crocifisso potrà anche essere considerato come un simbolo di altruismo e di fratellanza, ma si tratta comunque di una concezione particolare di altruismo e fratellanza. Vietare le affissioni significa liberare tribunali, scuole, poste, banche dalle fedi personali. I cristiani riappendano le croci sulle pareti delle loro case e rendano i luoghi pubblici più accoglienti. La promozione del pluralismo non significa esaurimento della propria identità.

4 Bisogna tutelare la laicità senza offendere la sensibilità della maggioranza. Potrebbero essere le singole scuole e le singole classi a decidere se tenere o no il crocifisso (si veda la legge bavarese). La laicità non s’impone. Molti cristiani insensibili alla propria religione se ne ricordano allorchè si sentono minacciati dalla richiesta di laicità degli appartenenti ad altre confessioni. Le rivoluzioni dall’alto non estirpano le radici delle contese. Chi abbraccia questa tesi non cavalca la sentenza di Strasburgo.

5 Il crocifisso deve essere rimosso non solo per ragioni laiche, ma anche per ragioni cristiane. La croce non rappresenta né una cultura né una tradizione, essa, come dice Paolo, è scandalo e follia. Tappezzare i muri di questo simbolo, e usarlo come strumento di identificazione, significa smarrirne il carattere sconvolgente. Lo stesso Gesù toglierebbe quell’effigie dalle pareti.

Non cedo alla vigliaccheria di non commentare queste diverse posizioni. L’esposizione del crocifisso risale al 1929; era fascista. Il concordato con la chiesa cattolica sancì che la religione cattolica era religione di stato. Ora la Costituzione ha sì incluso il concordato, ma ha anche scritto l’immenso articolo 3, che impone la non discriminazione per ragioni religiose. Inoltre la revisione del concordato del 1984 ha deciso che la religione cattolica non è più religione di stato. E sappiamo che i cattolici praticanti in Italia sono largamente una minoranza. L’Italia deve smetterla di credere di essere un paese monoculturale. Chiaramente è difficile accettare che uno spazio pubblico ospiti solamente un segno relativo ad una cultura tra tante. Non possiamo restare in democrazia e poi accogliere i privilegi di una religione sulle altre. Infine, il rispetto di tutte le culture e di tutte le religioni non significa auspicare un ateismo di stato, perché non interviene affatto sul privato.

Quanto alle pavide dichiarazioni dei nostri parlamentari. Siamo alle solite: il politico dell’oligarchia populista legittimata mediaticamente (volgarmente detta democrazia) rispecchia la massa ed il suo analfabetismo democratico. Il cittadino, in realtà spettatore della demagogia spettacolare, non ha mai condiviso e incorporato l’articolo 3. Colpa NON sua, ma della partitocrazia che, altro che radici culturali, ha sempre e solo badato alle radici elettorali, non traghettando il popolo dal fascismo e dal clientelismo democristiano alla democrazia, ma aderendo ad esso, alla sua tendenziale disabilità civica, per ragioni di potere.

Luca Tedoldi

Ancora polemiche per i crocifissi appesi nelle aule scolastiche. Io non credo che Curt Cobain sarebbe felice se i suoi fans andassero in giro con un fucile appeso al collo. Ma Cristo e Nirvana non sono la stessa cosa (Liberamente tratto da Bill Hicks). Cristo, interpellato sull’argomento, risponde esclamando il proprio nome. Ma Cristo non era risorto? Non aveva sconfitto la morte? Perchè allora questi benedetti cristiani da duemila anni lo lasciano appeso sulla croce? Sarebbe come ricordare Peter Parker come un modesto fotografo. Cazzo, è diventato l’Uomo Ragno e voi continuate a parlare di quello scoop con gli scatti all’assessore che si faceva fare un pompino dall’uomo delle pulizie. Meglio sarebbe un’icona di Cristo che ascende verso il cielo. Facendo il dito a Ponzio Pilato. L’ingerenza della Chiesa nello Stato italiano è talmente marcata che presto il nome della nostra nazione verrà modificato in “Perimetro del Vaticano”. Un dubbio: se Cristo fosse morto impiccato, entrando in chiesa ci si farebbe il segno del cappio?

Andrea Bertora

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