Il lento declino del trasporto ferroviario merci

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Nonostante si spinga per la realizzazione di nuove linee Av/Ac, ormai il trasporto su ferro delle merci in Italia rappresenta il 6 per cento delle movimentazioni totali. Colpa, secondo gli operatori privati, di una burocrazia eccessiva, della mancanza d'interesse da parte dell'esecutivo e di un'infrastruttura che necessita di modifiche piccole ma sostanziali

Il trasporto ferroviario delle merci in Italia è in crisi. Nonostante da anni si faccia un gran parlare della necessità d’incentivare la produzione di collegamenti ferroviari ad alta capacità in grado di agevolare il trasporto di materie primi o prodotti finiti su rotaia anziché su gomma, i numeri parlano di un progressivo disimpegno tamponato dall’attività delle aziende private che cercano in tutti i modi di arginare la crisi del settore.



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IL FORUM «MERCINTRENO» – Nei giorni 1 e 2 ottobre è andato in scena a Roma  «Mercintreno» il Forum organizzato da Federmobilità che mira a fare il punto sulla situazione complessiva del settore. I risultati sono sconfortanti. Secondo il viceministro delle infrastrutture Vincenzo De Luca, il settore delle merci risulta decisivo in un progetto di rilancio dell’economia del Paese, anche se ha dovuto riconoscere che non è stato fatto molto a livello istituzionale per coordinare e permettere il rilancio del settore. Anzi. Nel 2011 Milano Finanza, ripreso da Ship2Shore, parlava di uno smembramento di Trenitalia Cargo, con una separazione delle attività redditizie dalle attività di rango inferiore che sarebbero state risolte solo attraverso la contribuzione pubblica per il servizio universale, che come vedremo più avanti ammonta a 230 milioni di euro l’anno.

IL RUOLO DEL TAGLIO DELL’IMU – Soldi freschi ed importanti che aiutano il settore (o almeno, Trenitalia Cargo) ad andare avanti. A dimostrarlo le parole del viceministro che ha riconosciuto come «abbiamo tutt’ora un 25% in più dei costi del trasporto su ferro rispetto alla gomma e il taglio degli ultimi mesi di 300 milioni di euro destinati al traffico ferroviario dovuto alla manovra per cancellare l’Imu, sacrifica il futuro dell’Italia». Quindi il taglio dell’Imu ha colpito anche il trasporto merci. De Luca ha poi ricordato che il potere di mercato dei porti italiani sta lentamente scemando a causa della mancanza d’infrastrutture in grado di sostenere la domanda ed il trasporto delle merci. La soluzione passerebbe quindi da un rinnovamento della aree retroportuali.



40 PER CENTO DI TRAFFICO IN MENO – La colpa è però anche della burocrazia. Continua De Luca: «esistono troppe autorità competenti, viviamo in un Paese dove la realizzazione di un’opera pubblica diventa un calvario. C’è un’eccessiva frantumazione istituzionale e di competenze che aumenta le difficoltà. L’Italia è un Paese dove vige il parassitismo e c’è un’ inerzia di lussi che non possiamo più permetterci. Siamo a punto limiti per reti portuali, aeroportuali, ferroviari e rischiamo di uscire fuori mercato». Con il risultato che l’Italia ha perso il 40 per cento delle quote di traffico tra il 2008 ed il 2012. Ma certo non è tutta colpa sua. Anche l’Europa in un certo senso ha agevolato tale situazione. Perché un conto è non avere la struttura, un altro è doversi trovare ad affrontare difficoltà logistiche insormontabili, oltre che incomprensibili.



UNA BABELE EUROPEA – Aldo Maietta, responsabile Sviluppo Business di Cargo Trenitalia, se la prende con le regole europee che prevedono un’incentivazione per la sostituzione degli impianti frenanti con altri più silenziosi, regole che potrebbero mettere fuori gioco le aziende italiane, se private di un efficace sostegno normativo che agevoli tali sostituzioni. Mentre per Mauro Pessano, amministratore delegato di Captrain Italia Srl, il problema è sopratutto infrastrutturale: «Il fatto che esistano cinque tensioni differenti, otto catenarie differenti, 25 sistemi Atp e 4 scartamenti nell’Unione Europea non aiuta lo sviluppo del sistema ferroviario». Pessano, ripreso da Ferpress, continua sciorinando numeri che confermano come la scarsa attitudine all’adeguamento da parte del sistema paese sta portando l’Italia ad arretrare dal punto di vista del mercato.

L’IMPEGNO DI RFI – Dal 2008 al 2012 i volumi del traffico ferroviario merci sono diminuiti del 40 per cento ed oggi il trasporto ferroviario in Italia rappresenta solo il sei per cento del mercato merci, mentre in Europa la media si attesta al 12 per cento e raggiunge il 15-17 per cento in Francia e Germania. Fuori mercato la Svizzera che, come vedremo, viaggia intorno al 60 per cento. E per approfondire la questione burocratica lanciata da De Luca, Pessano ricorda che solo le Asl locali a giudicare se un treno può essere guidato da un solo agente, anche se le normative in questione sono state approvate dall’agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria. Intoppi su intoppi che limitano quindi la competitività delle nostre aziende. Tuttavia Pessano riconosce l’impegno di Reti Ferroviarie Italiane che provvede a modernizzare le linee nel tentativo d’incentivare il trasporto su rotaia.

LE MODIFICHE SULLA TRIESTE-MILANO – Sul tema Trasporti Italia ci spiega che la stessa Rfi il 2 ottobre scorso ha concluso i lavori dell’autostrada viaggiante Trieste-Milano con l’adeguamento strutturale sulla sagoma delle gallerie dell’ultimo tratto, quindi tra Brescia e Milano. Ora potranno viaggiare carri semirimorchi con larghezza fino a due metri e cinquanta ed altezza fino a quattro metri e dieci, aprendo la strada ai treni con semirimorchi, casse mobili e container high cube. Ogni treno, secondo Rfi, libererà la rete stradale da circa 10.000 camion trasferendo da asfalto a ferro oltre 250.000 tonnellate di merce e riducendo le emissioni di CO2 di circa 6.000 tonnellate. Numeri importanti che permetterebbero il rilancio del trasporto su rotaia. Eppure questo anziché crescere, diminuisce. Perché?

L’ANALISI EURISPES – Eurispes ci spiega che nonostante in Italia nei primi anni 2000 si sia investito con convinzione sulle reti ferroviarie, con un totale di 10.175 miliardi di euro nel decennio 1995-2005, è l’egemonia del trasporto su gomma a frenare la crescita del nostro Paese. I costi di quest’ultimo sono elevati, la consegna dipende dal tempo e dalle condizioni stradali ed ha un impatto sull’ambiente elevatissimo. Eppure gli investimenti strutturali negli ultimi 60 anni hanno spinto verso camion ed autoarticolati. Eurispes propone poi uno studio di Fercargo che dimostra come un treno merci europeo, per ogni tonnellata di carico, emetta nell’atmosfera 39 grammi di Co2. Un mezzo pesante Euro5 invece ne butta 81. Inoltre un treno merci equivale a 40 tir.

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UNA POLITICA INSENSIBILE – Eppure il traffico continua a scemare. Nel 2007 venivano prodotti in Italia 70 milioni di treni al chilometro, oggi invece il settore conta 42 milioni di treni-km. Ed ecco tornare la diminuzione del 40 per cento. Secondo Carlo Tosti, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulla Mobilità e i Trasporti «Il vistoso calo non è imputabile solo alla crisi economica, sicuramente rilevante, ma si deve considerare la totale assenza di qualsiasi politica di sostegno ad un comparto che in tutto il mondo è ritenuto fondamentale per la logistica e il trasporto delle merci». Finora invece la politica ha dato vita all’Authority dei trasporti o nulla più. O meglio, qualcosa è stato fatto, ma ad appannaggio di un unico soggetto.

QUEI CONTRIBUTI ESCLUSIVI A TRENITALIA – Trasporto Europa ha raccolto il lamento di Giacomo Di Patrizi, presidente di Fercargo, che ha ricordato come l’ultimo incentivo rivolto al trasporto intermodale fu il Ferrobonus, che fornì alle aziende clienti, e non alle imprese ferroviarie, un contributo di 28 milioni di euro, che portò ad una crescita del traffico merci. Oggi invece non accade più, tranne che per Trenitalia Cargo che riceve in via esclusiva 230 milioni di euro per obblighi derivanti dal contratto di servizio universale. E qui torniamo ai treni sovvenzionati dallo Stato diretti verso quelle zone altrimenti non economicamente sostenibili. Per Di Patrizi tale stanziamento non dovrebbe avvenire in regime di monopolio, tanto che sono stati proposti ricorsi al Tar ed al Consiglio d’Europa, anche se lo stanziamento sembra previsto fino al 2014, ma dovrebbe essere assegnato tramite concorso a tutti i soggetti coinvolti nel trasporto merci ferroviario.

L’INUTILITÀ DELLA MILANO-GENOVA E DELLA TORINO-LIONE – Il direttore di Federmobilità, Anita Serio, ripresa da Yahoo.it, ha poi aggiunto che il costo complessivo del servizio su rotaia in Italia è più alto del 20 per cento rispetto al resto d’Europa a causa della qualità dell’infrastruttura, degli effetti della bassa velocità commerciale, dei tempi di percorrenza inaffidabili, delle rotture di carico, delle complesse procedure amministrative. Sul tema dei contributi a Trenitalia Cargo è poi intervenuto, ripreso da TgCom, Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Liberazioni dei Trasporti, secondo cui nei primi tre mesi del 2013 si è registrato un altro calo del 10 per cento oltre al 40 già avuto nel periodo 2008-2012. Balotta si chiede perché l’esecutivo continua ad investire «su progetti costosi e privi di ogni priorità funzionale come il terzo valico Milano-Genova, oppure sulla Tav Torino-Lione. La tratta transfrontaliera del Frejus, infatti, risulta già sovradimensionata per gli attuali e i futuri incertissimi incrementi di traffico».

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LA VERSIONE DI HUPAC – Secondo Balotta la soluzione è cedere Trenitalia Cargo, definito «un costoso carrozzone utile solo a impedire l’ingresso degli operatori privati» investendo invece sul traforo del Gottardo sfruttando il passaggio con la Svizzera. La prova della necessità di aprire ai privati è data dalle parole della Hupac, azienda di trasporti ferroviari svizzera, con un interporto situato nei pressi dell’aeroporto di Malpensa, che a Varese News ha spiegato quella che dovrebbe essere la ricetta per l’Italia. Gli svizzeri, nonostante la crisi, nel primo semestre 2013 hanno registrato un traffico stabile nonostante la concorrenza stradale con un volume di 327.366 spedizioni. Per Bernhard Kunz, direttore di Hupac, «Il sistema ferroviario deve fare tutto il possibile per garantire che la produttività aumenti ulteriormente. I processi fra trazione, terminali e domanda del mercato devono essere integrati in modo ottimale. Vi sono ampi margini di miglioramento che vogliamo sfruttare insieme ai nostri partner», ribadendo anche in questo caso l’importanza di adeguamenti all’Alptransit, il supertunnel del Gottardo. Secondo Hupac se ci fosse un adeguamento della linea fino al terminal della compagnia si potrebbe sfruttare un collegamento unico, contando sulla politica svizzera di transito merci.

IL CONFRONTO TRA FRANCIA, SVIZZERA ED AUSTRIA – Ma di che stiamo parlando, a livello numerico? L’osservatorio dei trasporti franco-italiani il 12 aprile 2013 ha prodotto un report nel quale vengono quantificati gli scambi tra Francia ed Italia sia attraverso il passaggio del Frejus sia attraverso la Svizzera, proponendo un confronto storico nel totale dei passaggi tra le Alpi. Nel 1984 tra Francia ed Italia passavano sulle strade 16 milioni di tonnellate di merci contro 10 milioni della ferrovia. Tra Svizzera ed Italia 14 milioni su ferro e due su gomma, tra Italia ed Austria otto milioni su ferro e 17 su gomma, per un totale di 36 milioni di tonnellate su strada e 32 milioni su ferro e 68 milioni di tonnellate in totale. Nel 2000 il traffico è aumentato passando a 137 milioni di tonnellate, diviso tra i 94 della gomma ed i 43 del ferro.

I NUMERI – In Francia il rapporto, in milioni di tonnellate, era di 40 per la gomma e 9 per il ferro, in Svizzera di 21 per il ferro e 9 per la gomma, in Austria 14 per il ferro e 45 per la gomma. Nel 2011 i milioni di tonnellate complessivi sono stati 149, 99 per la gomma e 50 per la ferrovia. Il rapporto invece è stato il seguente: Francia: 39 per la strada e 4 per la ferrovia. Svizzera: 26 per la ferrovia e 14 per la strada. Austria: 21 per la ferrovia, 46 per la strada. Appare quindi evidente che il trasporto su ferro è andato aumentando dove c’era possibilità di scambio come Svizzera ed Austria ed andato scemando in Francia, con una crescita vertiginosa del trasporto su gomma. Un processo lungo 17 anni che non può essere cambiato a colpi di decreto, anche perché i treni coinvolti non viaggiano a pieno carico.

IL RAPPORTO ITALIA-FRANCIA – Ad esempio, nel 2011 il traffico ferroviario totale al valico di Modane è stato di 11.209 treni merci mentre a Ventimiglia nel sono passati 971, meno di tre al giorno. Il grado di saturazione nel primo caso era di 389 su 1200 tonnellate, nel secondo di 566 su 1200. In totale tra Francia ed Italia sono passati 12.180 treni con un grado di saturazione di 403/1200 ed una cifra complessiva in milioni di tonnellate di 4.906.987. Interessante anche il dato di treni vuoti tra Francia ed Italia via Modane: 1400 dalla Francia verso di noi e 1500 viceversa. Questi dati confermano ciò che è stato detto in precedenza. L’esecutivo si fissa in progetti quando gli operatori del settore chiedono altro. Ad esempio, questi numeri non giustificano la Torino-Lione anche perché non c’è traffico.

DUE LINGUE DIVERSE – Di contro le aziende private chiedono investimenti infrastrutturali che consentano di usare ciò che già esiste, come la Hupac nel caso dell’Alptransit. Questa differenza si riscontra nelle politiche a favore del settore merci. In sostanza si parlano due lingue diverse. Da un lato si dice di voler agire per spostare il traffico ma dall’altro, come spiega Mercintreno, dal 2009 ad oggi è stata istituita solo un’Autorità dei trasporti. Restano i problemi burocratici, tecnologici e politici come il sovvenzionamento a Trenitalia e la richiesta d’aiuto da parte degli operatori privati. I volumi di traffico aumentano ma la ferrovia perde colpi. Certo non basta una nuova linea per cambiare le cose. Servono piccole azioni concrete che aiutino il trasporto su rotaia a ripartire. Questo chiedono gli operatori ed è questo quello che lo Stato, Rfi esclusa, non sta dando. (Photocredit Lapresse / Flickr)