Perché il Pakistan adesso tratta con i talebani

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L'invasione dell'Afghanistan per sradicare i talebani è fallita e il gruppo trova legittimazione anche in Pakistan

Nel 2001 le truppe americane invasero l’Afghanistan per sradicarne i talebani, all’alba del 2014 oltre a quello di Kabul anche il governo del Pakistan è costretto a riconoscerli e a intavolare colloqui di pace. Là dove c’era un paese infestato da fanatici ora ce ne sono due. «Mission accomplished?»



La sede dei colloqui (Photo credit AAMIR QURESHI/AFP/Getty Images)

I COLLOQUI ALL’IMPROVVISO – I colloqui tra le autorità pachistane e i rappresentanti del TPP, principale gruppo combattente talebano nel paese sono cominciati a Islamabad, nella Khyber Pakhtunkhwa House pesantemente presidiata da polizia e militari pachistani, per ora si tratta di un meeting preparatorio, le parti dovranno accordarsi sulla road map dei colloqui veri e propri, anche se è difficile immaginare che possano accordarsi su tempi certi a questo stadio. Sette anni dopo l’insorgenza ufficiale dei talebani anche in Pakistan e dopo migliaia di morti lo scetticismo è d’obbligo, così come la capacità di entrambi i negoziatori di farsi garanti di altri gruppi e forze che sulle due sponde potrebbero avere interessi o volontà divergenti.

IL TIRA E MOLLA NELLE AREE TRIBALI – Per anni i soldati pachistani sono andati al periodico assalto della aree tribali, per anni si sono dispiegati nella zona e poi si sono ritirati, spesso sconfitti. Ma anche quando hanno vinto, una volta smobilitato il grosso delle truppe il tessuto civile non ha saputo opporre resistenza al ritorno dei talebani, sempre più determinati e sempre più in rotta con il governo pachistano. Solo nell’ultimo anno gli attacchi e gli attentati del TPP hanno provocato centinaia di vittime in tutto il paese, di preferenza tra sciiti, cristiani e militari, cercando di proporsi come protettrice dei musulmani e in particolare dei Pashtun, l’etnia egemone a cavallo del Khyber Pass e maggioritaria in Afghanistan.



Diffusione della lingua pashto e dei Pashtun

IL GRANDE RISIKO SULLA LINEA DURAND – I motivi dell’emergere del TPP sono diversi, ma è ovvio che il primo motore è stato l’invasione dell’Afghanistan, seguito poi da quello che è stato considerato come un tradimento d’Islamabad con la concessione del permesso agli americani di pattugliare e bombardare le aree tribali con i droni, permesso accordato da Musharraf e poi rinnovato prima da Zardari e ora da Sharif. Un altro contributo decisivo lo ha fornito l’alleggerimento delle tensioni con l’India dopo l’attentato di Mumbai, che paradossalmente ha finito per avvicinare gli storici nemici e ha spinto quelli che alle frontiere del Kashmir combattevano gli infedeli indù  a trasferirsi dove le occasioni erano migliori. A differenza dell’Afghanistan il Pakistan non corre il rischio di essere conquistato dai talebani, sia perché nel paese la maggioranza della popolazione è Punjabi e insensibile a certi richiami pur se musulmana, sia perché l’esercito pachistano con tutti i suoi difetti è una potenza e non solo perché dispone delle atomiche, che finora si sono dimostrate un deterrente soprattutto nei confronti delle smanie di certi strateghi americani.



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IL PROBLEMA PASHTUN – La casta militare pachistana è il vero perno del paese, una potenza con codici e cultura propria, che vive pienamente la modernità e che non potrebbe mai sottomettersi all’oscurantismo talebano. I Pashtun rimasti al di qua della linea Durand, la riga con la quale i britannici divisero Afghanistan e Pakistan,  sono una modesta minoranza nel loro paese, circa 30 milioni su 180 milioni d’abitanti, dall’altra parte della frontiera sono invece molti meno, circa 12 milioni, ma rappresentano il gruppo etnico maggioritario e quasi la metà della popolazione. Il loro antico sogno sarebbe la creazione del Pashtunistan,  che negli ultimi tempi è invece tramontato per molti, sostituito dalla prospettiva del califfato islamico.

COME SI SONO CONVINTI – Ai colloqui si è arrivati alla pachistana e cioè in maniera imprevista. Molti ne sostenevano la necessità, ma in effetti sembrava che proprio tra i talebani non ci fosse il consenso per considerare l’ipotesi come realistica, si faticavano a trovare gli interlocutori per sedersi attorno a un tavolo e anche il governo non sembrava molto convinto. Poi qualche settimane fa il TPP ha attaccato il quartier generale dei militari a Rawalpindi e qualcosa è cambiato. Arrivato sul luogo del delitto, il presidente Sharif ha cominciato a sentire la rabbia Punjabi, che si è levata alta chiedendo vendetta. Fiutata l’aria, ha autorizzato praticamente il ministro della difesa alla guerra aperta contro il TPP, visto che poco dopo l’aviazione ha ricevuto l’ordine di bombardare i rifugi del gruppo. Di fronte a una tale rabbia si dice che i leader del TPP siano rimasti scioccati e abbiano chiesto colloqui immediati con il governo. Al che Sharif ha sospeso tutto e deciso di andare a vedere le loro carte.

IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA – La difficoltà nel trovare portavoce per il TPP non si è però dissolta come per magia, tanto che il gruppo è arrivato a chiedere a Imrna Khan, a capo del PTI, di far parte della loro delegazioni. Invito che il politico, ex campione di polo e stella del jet set ha declinato con imbarazzo. L’essere stato uno dei più convinti sostenitori del dialogo con i talebani non significa che sia dalla loro parte e preoccupa che i talebani abbiano avuto difficoltà a capirlo, ma il problema della mancanza di persone adatte evidentemente è reale, tanto che alla fine è stato imbarcato anche uno come Sami-ul-Haq «padre dei talebani». Ma soprattutto personaggio decisamente impresentabile agli occhi dei non-talebani e anche a parte di questi.

COSA VOGLIONO – La richiesta principale dei talebani locali è la fine dei bombardamenti dei droni, che nelle ultime settimane si sono rarefatti, perché colpiscono i loro alleati qaedisti, ma anche perché turbano la vita delle province di frontiera e quando non ci prendono uccidono civili a anche affiliati al TPP, che dall’alto non si possono proprio distinguere dai qaedisti e per di più come loro si aggirano in gruppi armati. Il loro obbiettivo è invece come sempre lo stato islamico, ma per quello non è tempo e probabilmente non lo sarà mai, potrebbe essere invece il tempo per un governo d’ispirazione talebana delle province Pashtun, anche se non è chiaro se il governo sia disposto a concederla. Per ora l’aspirazione maggiore delle parti sembra essere quella di contenere la violenza e a suo modo è una notizia positiva, anche se non piacerà agli americani e anche se una ritrovata quiete in Pakistan corrisponderà quasi sicuramente a un aumento della pressione sull’afgano Karzai, che già da tempo teorizza d’includere i talebani nel suo governo. Il «sindaco di Kabul» però a differenza del collega Sharif fuori dalla sua capitale protetta dalle truppe occidentali conta poco o niente e probabilmente in presenza di candidati talebani perderebbe anche la dubbia legittimazione che si è conquistato con gli ultimi brogli elettorali, spalancando le porte di Kabul al ritorno dei talebani. Correva l’anno 2001, sembravano sbandati e sconfitti, invece l’azione voluta da Bush ha solo contribuito a spargerli e a seminare il seme del fanatismo islamico anche in Pakistan.