Il Palasharp di Milano ha fatto una brutta fine

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La tensostruttura nata per sostituire il palazzo dello sport gravemente danneggiato dalla storica nevicata del 1985 è in stato di totale abbandono dal 2011. Oggi qui vivono topi e disperati senza né riscaldamento né servizi igienici offuscando il ricordo dei grandi concerti del passato

Una brutta fine. Si puo’ dire solo questo relativamente al crollo (metaforico) del Palasharp di Milano, nato come provvisorio e che ha rappresentato in più di 20 anni un luogo di aggregazione e divertimento per milanesi e non solo.



AL POSTO DEL PALAZZONE – Dicevamo provvisorio. La struttura è stata eretta in pochi mesi dalla famiglia di Divier Togni nel 1985 a causa del crollo, avvenuto qualche mese prima, del Palazzone, ovvero il Palazzo dello Sport di Milano, collassato sotto l’eccezionale nevicata dell’epoca che restò nella storia di tutto il nord Italia. Di quella costruzione all’epoca straordinaria è rimasto un piccolo bosco interdetto all’accesso del pubblico a fianco dello stadio di San Siro. La tensostruttura poteva contenere solo 10 mila dei 18 ospitati dalla vecchia struttura ed avrebbe avuto un carattere temporaneo. Sarebbe stata cioè smantellata una volta risolta la questione “palazzetto dello sport”.

I CONCERTI – Ed invece eccoci qua a raccontare una nuova, avvilente storia, che ha come protagonista il bene pubblico, qui sotto forma di spazio destinato ad attività di svago e culturali. Il primo evento fu nel settembre del 1986, un concerto di Frank Sinatra e qui vi giocò la squadra di basket locale, l’Olimpia Milano, prima che aprisse il Forum di Assago, nel 1990. Nello stesso anno venne ospitato anche Luciano Pavarotti per inaugurare i Mondiali di Calcio italiani. Qui si esibirono anche gli Slayer, gli Ska-P, venne ospitata la Festa dell’Unità e vennero accolti i fedeli della madonna di Medjugorje.



TUTTO FIGLIO DELL’ABUSIVISMO – E’ opportuno tuttavia ricordare che la struttura, nata come Palatrussardi e poi chiamata rispettivamente: Palavobis, Palatucker, Mazdapalace ed infine Palasharp nacque in ossequio alla migliore tradizione italiana: fu infatti un abuso edilizio. La struttura ricevette due autorizzazioni provvisorie per strutture mobili. Ma il Tar Lombardo stabilì che tali permessi non erano adeguati visto che parliamo di una tensostruttura costruita in metallo e cemento armato. Quindi non poteva essere mobile. Allora venne concessa una deroga in sanatoria attraverso un nulla osta regionale. Solo il Consiglio di Stato riuscì a stabilire nel 1997 che la sua costruzione “rientrava nell’esercizio delle funzioni amministrative comunali di promozione di attività ricreative e sportive”.



VIA PER L’EXPO – Insomma, ci vollero 12 anni per capire che quello che venne realizzato da Darix Togni era previsto dalla legge grazie ad un’apposita deroga. Eppure un elemento così importante della storia di Milano oggi è abbandonato a sé stesso, vittima del degrado, della dimenticanza e della mancanza di un progetto serio. Il palazzetto dello sport rimase in piedi per tre anni mentre i proprietari discutevano il da farsi. La struttura, parzialmente collassata a causa del peso della neve caduta, si rovinò al punto tale che ne venne decisa la demolizione. E la paura per il Palasharp è che possa fare la stessa fine. Il palazzetto, chiuso nel 2011 per fare spazio ad un “qualcosa” legato ad Expo -ne parleremo- è oggi abbandonato a sé stesso, alle intemperie ed al degrado.

L’ABBANDONO – Siamo andati in mattinata per monitorare la situazione e ci siamo imbattuti in alcune persone le quali, sacchetti della spesa alla mano, passavano attraverso uno spazio praticato nella recinzione, protetto da un albero, per andare in quella che è diventata la loro casa. Si, perché il Palasharp oggi è diventato terra di nessuno. Il degrado è ovunque. I parcheggi, una volta ben tenuti, sono oggi spaccati ed ospitano pezzi di vetro e parte dell’arredamento interno della struttura. Anche i cartelli pubblicitari rimasti all’epoca dell’ultimo avvenimento, tra cui spicca uno del Corriere della Sera, stanno lì ad guardare il tempo che passa ed a deperire.

SPAZIO AI MUSULMANI – Alcune porte sono sfondate, così come i vetri. L’impianto dell’aria condizionata è lì abbandonato ed aperto senza alcuna cura. La vista dall’esterno è disarmante e sicuramente dentro le cose non vanno meglio. Siamo entrati approfittando di un piccolo buco nella recinzione all’ingresso di Via Sant’Elia. Davanti ci troviamo il telone montato ai tempi della giunta Moratti per accogliere i musulmani in preghiera in occasione della festa di fine Ramadan, l’Eid el-Fitr e per la preghiera del venerdi. Dentro sono rimasti i tappeti, alcuni distesi, altri arrotolati. Sulla destra una decina di bagni chimici perfettamente tenuti ed alcuni lavabi per i piedi installati per permettere le abluzioni dei fedeli.

CALCINACCI OVUNQUE – Fino a qui niente di strano, ma il peggio si nasconde dietro le transenne, ovvero nella pancia della balena bianca che guarda ormai stanca ed esausta. Anche qui ci sono due porte sfondate con vetri in frantumi. Entriamo e rimaniamo di sale al rumore di alcuni passi che si confondono nel buio della struttura. Del resto si entra in una terra di nessuno dalla quale è difficile uscire. Aspettiamo che questi spariscano e possiamo iniziare il nostro giro di perlustrazione della zona appartenente alle tribune non numerate. Quelli che erano gli spazi del bar sono sfondati. Ci sono calcinacci ovunque, un contatore dell’acqua per terra, effetti personali, un materasso, bagni pieni di qualsiasi cosa, lampade penzolanti.

BALENA VUOTA – Cerchiamo di avanzare ma il buio ed il freddo ci fermano. Non si vedrebbe comunque nulla e si sentono delle voci in lontananza, probabilmente amici della coppia di uomini entrata pochi minuti prima dal buco protetto da un albero dietro una collinetta artificiale di via Sant’Elia. Riconquistiamo l’uscita e proviamo a girare intorno rendendoci conto che il tutto è molto diverso da quanto appare sul satellite, ovvero di una struttura pulita, in ordine, sicura e confortevole. Oggi il Palasharp è una balena vuota, ferita, casa di disperati di ogni genere e di persone che dentro si muovono come fossero a casa loro (almeno a giudicare da coloro che passavano sigaretta in bocca sempre protetti dalla collinetta di Via Sant’Elia) ma che entrano come dei topolini attraverso le fessure.

CONVENZIONE SCADUTA – Che poi alla fine si tratta di scrupoli. Noi siamo entrati scavalcando a fianco dei botteghini. A fianco. E nessuno ha detto nulla, per quanto vi sia a pochissima distanza il parcheggio della fermata della metropolitana di Lampugnano. Ce ne andiamo ed una domanda ci rimbalza in testa: perché? Secondo i programmi, ed i proclami, la struttura sarebbe stata demolita il 30 aprile 2011 per fare spazio ai progetti in vista di Expo 2015. Invece non è successo. Le insegne dell’azienda tecnologica sono ancora lì anche se la convenzione è scaduta nel 2010. La data di abbattimento poi venne spostata al luglio 2011. A dichiararlo l’allora assessore allo sport Alan Rizzi il quale spiegò che tutto sarebbe iniziato il giorno dopo l’inaugurazione del nuovo Palalido.

LE BUONE INTENZIONI DI PISAPIA – La struttura di piazza Zavattari venne però buttata giù nel settembre 2012. Ed il Palasharp ha continuato a guardare la città dall’alto. All’epoca dell’annuncio da parte del Comune non si sapeva bene cosa sarebbe diventato lo spiazzo di via Sant’Elia e sopratutto non si sapeva che fine avrebbe fatto la cultura cittadina. Alan Rizzi parlò di un luogo di 8000 persone che avrebbe ospitato eventi musicali, tennis e pallavolo. E poi successe che la vecchia gestione andò via e la palla passò al nuovo sindaco, Giuliano Pisapia. L’assessore alla coesione sociale Marco Granelli disse confermò da appena insediato che si sarebbe trovata una destinazione all’area.

SERVONO SOLDI – Invece no. A quanto pare l’unica certezza è relativa alla derattizzazione (certo abbastanza complessa se consideriamo che ci troviamo nella zona dove sorge il Monte Stella) ma per il resto non si sa nulla. Simone Zambelli, presidente del consiglio di zona 8, competente per territorio, si augura che la struttura torni a vivere e ad ospitare eventi. Insomma tutti vogliono qualcosa ma poi bisogna passare alla cassa, e questo per Milano è un argomento abbastanza delicato. Come spiegato in tempi recenti da un esponente dei Radicali in Comune, il deficit corrente di Palazzo Marino, per il 2012, è di 500 milioni di euro. Ciò significa che sarà difficile per il Sindaco tirare fuori i 600 mila euro necessari per la demolizione.

LA TESTA DI MAIALE – Allora che succede? Semplice, sta lì in attesa del tempo che passa. Il progetto che possa diventare uno spazio per Expo sembra sempre più destinato a rimanere tale, visto che ormai la manifestazione si svolgerà tra due anni. Si vorrebbe valorizzare, ma chi si prende la briga di mettere a posto tutto? Si può demolire. E poi che succederà? Intanto il Comune tace. Anzi, fa sentire la propria voce sulla struttura il 23 novembre quando viene rinvenuta una testa di maiale in avanzato stato di decomposizione all’interno dell’area destinata alle preghiere. Un gesto incivile, certo, ma che non nasconde la vergogna della cosa bianca che guarda ed attende un gesto per chiudere la sua esistenza.

PROJECT FINANCING? – Tutto questo è un peccato anche perché questa struttura ha accompagnato nel bene e nel male l’evoluzione di Milano negli ultimi 28 anni a partire dalla nascita, sotto la giunta Tognoli. Allora era la città “da bere” ed il cane con le borchie di Trussardi rappresentava da solo un biglietto da visita invidiabile. E se vogliamo il Palatrussardi rappresentò uno dei primi casi di Project Financing, ovvero un privato realizza un’opera per conto di un ente pubblico e ne trae benefici.

L’INGRESSO DI TRUSSARDI – Divier Togni, il quale all’epoca dell’incidente aveva montato nell’area oggi occupata dal Palasharp un tendone per un circo, presentò al sindaco il progetto di una struttura polivalente da 9000 posti. I costi di costruzione, cinque miliardi e mezzo di lire, sarebbero stati a suo carico. A quel punto decise di far sponsorizzare il luogo e si rivolse a Nicola Trussardi il quale mise un miliardo sul piatto salvo poi con un colpo di teatro durante la conferenza stampa di presentazione del concerto di Frank Sinatra affermare che la struttura si sarebbe chiamata non Action come previsto ma PalaTrussardi.

LA PARENTESI TUCKER – Ed è questo il nome con cui viene ancora ricordata la struttura anche se appartiene al retaggio del passato. Sicuramente nessuno lo chiamerà mai “Palatucker” in quanto il fondatore dell’azienda Tucker, Mirco Eusebi, venne arrestato nel 2002 con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla violenza privata per via di un dispositivo, rivelatosi fasullo, che prometteva di eliminare l’inquinamento delle caldaie e risparmiare sulla bolletta del gas, è stato arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla violenza privata dopo alcuni servizi-denuncia di Striscia la notizia. Anzi, il contratto non venne mai firmato anche se Eusebi iniziò a chiamarlo “Palatucker”.

LE CIFRE – Divier Togni, creatore della struttura, affermò che la gestione ordinaria dell’impianto ammonta ad 800 mila euro l’anno. Una cifra importante che non si ripaga con i soli introiti delle manifestazioni. Inoltre sempre Togni ha confermato che per lui era impossibile sistemare l’impianto visto che viveva con concessioni biennali a causa della sua precarietà legale -della quale abbiamo parlato-. Infine è arrivato nel 2011 la proposta approvata dalla Giunta del’asta con concessione del diritto di superficie per un valore di 2.570.000 euro.

UNA FINE INGLORIOSA – L’affidamento -continuò il Comune- avrebbe avuto luogo a condizione che la durata non avesse superato i 30 anni. Alla scadenza l’Amministrazione comunale avrebbe potuto procedere al rinnovo della concessione o in caso contrario, con l’estinzione del diritto di superficie, sarebbe automaticamente divenuta proprietaria dell’immobile, senza versare alcun corrispettivo o indennizzo. Divier Togni si tirò fuori dalla lotta a causa delle condizioni non ideali. Il Comune rivendicò la proprietà. E dopo due anni la situazione è quella che vedete nelle foto. E quel che è peggio è che ora non si sa neanche a chi affidare la demolizione, segno che i progetti della giunta Moratti sono finiti in malora. E la balena bianca guarda la città dal suo posto privilegiato chiedendosi perché si è trasformata da luogo di gioia in casa della disperazione nell’indifferenza generale. (Photocredit Lapresse / Giornalettismo)