Il silenzio di Massimo Bossetti e quel cellulare spento la notte in cui scomparve Yara
19/06/2014 di Stefania Carboni
Massimo Giuseppe Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio è accusato di aver «adoperato sevizie e di aver agito con crudeltà». Omicidio aggravato con l’aggravante della crudeltà. Il capo di imputazione formulato dalla Procura di Bergamo spiega come l’indagato abbia colpito Yara «con tre colpi al capo e con plurime coltellate in diverse regioni del corpo», «abbandonandola agonizzante in un campo isolato ne cagionava la morte». La ragazzina, secondo quanto riporta l’autopsia sul corpo, per freddo e di stenti e non per le ferite inferte dal suo aggressore.
YARA: LE TAPPE E LE PROVE – Yara scomparve il 26 novembre 2010 dopo essere uscita dalla palestra di Brembate dove seguiva i suoi allenamenti di ginnastica ritmica. Pochi, passi. La sua casa si trova a 700 metri. Alle 18.47 il suo telefonino fu agganciato alla cella di Mapello, un comune distante circa tre chilometri da Brembate, poi il silenzio. Solo tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011 il cadavere della ragazzina fu ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola, ad una decina di chilometri da Brembate. Uccisa sul posto e morta lentamente dopo che l’aggressore aveva agito contro di lei.
L’unica speranza di risalire al colpevole dell’orrore è quella traccia genetica, che il killer lasciò ferendosi con il coltellino usato per tagliare gli slip di Yara. Solo comparando i dna della zona si è riusciti ad arrivare a Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno e padre di Ignoto 1. Solo dalla relazione illegittima dell’autista (defunto prima della scomparsa della piccola) si è riusciti ad arrivare al 44enne di Mapello.
Non solo: nel referto dell’autopsia si parla di “polveri nei polmoni riconducibili a calce”. Bossetti è muratore e ad incastrarlo c’è anche l’analisi delle celle telefoniche. Bossetti (o meglio il suo cellulare) si trovava a Brembate in un orario compatibile con la scomparsa della giovane ginnasta. Quel cellulare farà una telefonata resterà spento fino alle 7.34 del giorno dopo. Un elemento a favore dell’accusa ma se dovesse essere ripetuto per controllare i cellulari di eventuali amici-complici «comporterebbe indagini lunghissime, al momento dunque ci sono accertamenti in corso», spiegano gli inquirenti.
LA FAMIGLIA DI BOSSETTI E LA CASA VUOTA – Sarà ora il giudice per le indagini preliminari, Ezia Maccora, la stessa che archiviò la posizione di Mohamed Fikri, se confermare l’emissione della custodia cautelare in carcere. Bossetti risulta scosso e provato dalla prima notte in prigione, persone vicine parlano di un uomo preoccupato per la famiglia. A Mapello la villetta dove abitava la famiglia Bossetti è vuota. «Sono andati da parenti – dicono conoscenti dei familiari – che abitano in zona, in un altro paesino qui attorno» per «proteggere per quanto possibile la loro privacy».