Burkina Faso: bruciano il parlamento e il governo ritira il referendum
30/10/2014 di Mazzetta
Dopo che i manifestanti hanno dato alle fiamme il parlamento, le sedi del partito di governo e gli uffici della televisione di stato, il presidente Blaise Capaoré, giunto al potere con un golpe nel 1987 e da allora dittatore informale, ha rinunciato al referendum per la modifica costituzionale che gli avrebbe permesso di candidarsi ancora.
COMPAORÈ SI È CONVINTO – Blaise Compaorè ha ritirato il discusso progetto di referendum costituzionale che gli avrebbe permesso di ripresentarsi alle elezioni l’anno prossimo. Compaoré comanda il paese, al quale ha dato l’assetto di una repubblica presidenziale, fin dal 1987, quando con un golpe andò al potere dopo aver ucciso Thomas Sankara, da allora assurto al rango di martire africano nell’immaginario globale. Compaoré una volta giunto al potere strinse forti legami con Francia e Stati Uniti, privatizzò quel che era stato nazionalizzato e strinse una morsa sul potere che gli ha permesso di controllare il paese per quasi 30 anni.
UNA FARSA DI DEMOCRAZIA – Il Burkina Faso, che proprio alla rivoluzione di Sankara deve il suo nome, un tempo era conosciuto come Alto Volta, è un piccolo paese povero e senza sbocchi sul mare, nel quale Compaorè finora è riuscito, con le buon o con le cattive, a fare quello che gli pare. La situazione dei diritti umani e civili è pessima, la libertà di stampa un miraggio e le possibilità che il regime metta fuori gioco gli oppositori con mezzi drastici è decisamente frequente. Per questo alle ultime elezioni ha preso parte poco più di un milione di abitanti burkinabé (il termine con il quale s’identificano), circa un decimo degli aventi diritto di voto in un paese che conta circa 17 milioni d’abitanti.
LA RISPOSTA DELLA PIAZZA – Negli ultimi tre giorni la capitale Ouagadougou ha assistito a imponenti manifestazioni, che oggi sono si sono trasformate in rivolta aperta. I manifestanti hanno bruciato le auto davanti al parlamento e hanno poi invaso e devastato l’edificio. I manifestanti hanno distrutto una statua del presidente e messo a fuoco anche parte della sede della televisione di stato, oltre ad alcuni uffici pubblici e a diverse sedi del partito di governo, con le forze di sicurezza che si sono mostrate del tutto impossibilitate a trattenere una folla a tratti oceanica, ma mai violenta nei confronti delle persone. Negli scontri si sono registrati diversi feriti, ma per fortuna la risposta dei militari è stata contenuta e non si è arrivati alla strage, come ad esempio successe durante la repressione delle proteste nel 2011. Oltre al ritiro del referendum i manifestanti chiedono le (improbabili) dimissioni del presidente e del governo, accusati di mantenere il paese in miseria e di governare con la forza dell’intimidazione.
CI RIPROVERÀ – Così il governo, che aveva finora resistito alle pressioni in tal senso da parte dell’UE, della Francia (referente coloniale) e degli Stati Uniti, ha annunciato il ritiro del referendum costituzionale. È però difficile pensare che il presidente, 63 anni e quindi relativamente giovane rispetto ai colleghi dittatori africani di lungo corso, possa rinunciare al suo progetto di permanenza al potere solo per questa battuta d’arresto, da qui al prossimo voto probabilmente il paese vivrà altre tensioni e altre proteste, Campaorè e gli uomini del suo regime non sono tipi da mollare il potere senza battersi fino alla fine e solo una pressione soverchiante unita alle censura di Parigi potrebbe arrivare a conseguire un vero regime change nel paese. Uno scenario ancora difficile da ipotizzare, perché l’opposizione al regime è frammentata e divisa e perché la Francia tradizionalmente è abbastanza restia alla sostituzione dei leader che in un modo o nell’altro garantiscono stabilità e fedeltà agli interessi francesi nelle ex colonie.